Ecco come stiamo messi noi, nelle parole di Michele Serra su Repubblica di ieri.
Dopo lunghi anni nei quali la crisi della sinistra, con la sua logorrea, il suo diluvio insopportabile di auto-analisi, le sue liti piccine, il suo tracollo culturale, ha tenuto banco, forse è ora di accorgersi che un problema almeno altrettanto grande, e grave, è la non-crisi della destra. La sua compattezza tetragona e certamente masochista, i suoi clubbini e circoletti ridicolmente nominati “Per fortuna che Silvio c’è” e “Silvio ci manchi” (i sorcini ai concerti vanno benissimo, ma il sorcinismo in politica è francamente penoso), il suo abbandono confidente e puerile alle parole e alle gesta del Capo, semplicemente non sono sane. Non lo sono oggettivamente, non lo sono perché strozzano il dibattito, la crescita delle persone, l’abitudine alla dialettica. Una destra che non discute con l’opposizione può anche giustificarsi con il clima di contrapposti livori, e di reciproche delegittimazioni. Ma una destra che non discute di se stessa, e con se stessa, che si manifesta solo con il coro stizzoso e poveraccio dei portavoce, con i titoloni apodittici e astiosi, con le falsità strumentali degli avvocati, con l’odio cieco per “i signori della sinistra”, con la certezza che il Capo abbia sempre ragione e solo una malefica congiura plutocratico-borghese possa disarcionarlo, è una destra perfino più malconcia della sinistra. Se l’antiberlusconismo ossessivo fa male alla sinistra, il berlusconismo ha già ammazzato la destra (è un antico problema quello di una destra normale, "europea", che in Italia non c'e'): e non è che se ne parli tanto. I consigli esterni sono sempre sgraditi, e anche sgradevoli da fare: ma se per esempio la piantassero di chiamarlo “Silvio”, e cominciassero a chiamarlo Berlusconi, parrebbe di cogliere un piccolo segnale di rinsavimento.
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