domenica 31 gennaio 2010

La lezione pugliese: "Le primarie in Campania non ci saranno


In Campania, il candidato per il centro sinistra sara' Vincenzo De Luca. Il motivo e' semplicissimo: le primarie fatte da De Luca contro un qualunque "bassoliniano" (leggi dalemiano) sarebbero state un successo a mani basse per il sindaco di Salerno , per cui nessuno vuole metterci la faccia e fare la figura di Boccia. L'effetto Puglia sta finalmente trainando il PD fuori dal pantano dalemiano.
Insomma Vincenzo De Luca, ce l'ha fatta. Sarà il candidato presidente del centrosinistra alle elezioni regionali della Campania. Lo rendono noto i segretari regionali del Pd, dei Verdi e dell'Api (Alleanza per l'Italia). "Si è presentato solo De Luca - spiega Enzo Amendola, segretario regionale del Pd - Quindi ora lavoriamo per un'ampia coalizione al suo sostegno. Le primarie infatti non ci saranno". Dopo la rinuncia arrivata in mattinata da Riccardo Marone, attuale assessore al turismo della Regione Campania, e dopo aver preso atto dell'assenza di altre candidature, il centro-sinistra ha scento l'unanimità e ha optato per delle "primarie di coalizione". "Con Vincenzo De Luca - spiegano Enzo Amendola (Pd), Bruno Cesario (Apl) e Francesco Emilio Borrelli (Verdi) - ci impegniamo a lavorare all'ampliamento della coalizione e alla definizione programmatica di un'alleanza in vista delle prossime elezioni regionali. Le risultanze di questo lavoro saranno valutate nei prossimi giorni negli organismi dirigenti dei partiti". Ora i tre segretari regionali dovranno aspettare di sapere se la decisione da loro assunta troverà il favore degli altri partiti, Italia dei valori compresa, e, soprattutto, se otterrà il via libera definitivo di una parte dell'apparato del Pd, legato al governatore uscente Antonio Bassolino, con cui i rapporti sono sempre stati tesissimi (ma non e' ancora detta l'ultima).

Nel Lazio invece buone notizie a favore di Emma Bonino, candidata del centro-sinistra alla presidenza della Regione. Il sì incondizionato a favore della radicale arriva da una rappresentate del mondo cattolico, Luigina Di Liegro, assessore regionale alle Politiche sociali. Secondo la Di Liegro, "la Bonino si è sempre spesa a favore dei più deboli, dei condannati a morte, delle vittime del genocidio in Ruanda e a favore delle donne del mondo". Per tutto questo "Emma è la persona giusta", quella che cioè potrebbe realizzare anche i propositi espressi da monsignor Mariano Crociata: "La realizzazione del bene più grande".

Sono invece "scelte contraddittorie" quelle fatte dall'Udc per le prossime regionali. Secondo il quotidiano Avvenire, il Partito di centro avrebbe eccessivamente puntato "sull'utilitarismo" tralasciando il "segno identitario di ispirazione cristiana". Il giornale dei vescovi italiani critica il segretario Casini per aver "esercitato una significativa centralità politica e rifiutato a priori intese globali e subalterne". In altre parole, Casini avrebbe puntato "più al risultato numerico atteso (e non garantito) che all'affermazione di un'autonomia politica basata su valori esplicitamente proclamati". Il riferimento non è casuale. Stando a quanto scritto nell'editoriale comparso sull'Avvenire, la scelta di schierarsi in alcune Regioni a fianco dei radicali di Pannella potrebbe rivelarsi "pericolosa soprattutto in zone, come quelle settentrionali, nelle quali il voto per l'Udc è soprattutto un voto di opinione, non appoggiato, come invece accade in alcune aree meridionali, sulla rete di presenze amministrative".

venerdì 29 gennaio 2010

E se finisse 8 a 5 per il centro sinistra?


"Se la candidata Udc-Pdl, alla fine, sarà Poli Bortone, in Puglia si perde come avevamo detto sin dall'inizio", spiega un dirigente democratico della maggioranza interna. Ma in attesa di capire come finisce nel tacco d'Italia, i democratici si sono mossi per evitare che i centristi facessero il salto anche in Liguria, dove l'accordo su Burlando sembrava nei giorni scorsi cosa fatta. "Credo che abbiamo un'intesa su Burlando", rassicura nel pomeriggio il leader centrista Pier Ferdinando Casini. Una rottura in Liguria avrebbe rischiato di provocare un terremoto a catena anche nel vicino Piemonte, l'altra regione del nord dove i centristi hanno deciso con fatica di appoggiare Mercedes Bresso."Avete visto Casini?", chiedeva ironicamente Franceschini, oggi pomeriggio, in Transatlantico, alludendo al fatto che se il Pd era pronto a buttare a mare Nichi Vendola in nome del laboratorio pugliese, il leader centrista non si è preoccupato di cambiare schema di gioco.
Eppure, allo stato dei fatti, la consultazione regionale potrebbe portare qualche bella sorpresa per il centrosinistra. Silvio Berlusconi, che può contare in base ai sondaggi e alla crisi nella quale versa il gruppo dirigente del Pd (ma non il suo popolo, in cerca solo di dirigenti all'altezza) su un ampio consenso presso gli elettori italiani, potrebbe perdere le prossime elezioni regionali del 28 e 29 marzo per 8 a 5. Paradossale? Se si guardano i numeri no. Sono tredici le regioni chiamate al voto - Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Calabria - e, vista la situazione odierna delle alleanze e delle coalizioni in lizza, il presidente del Consiglio potrebbe avere la brutta sorpresa di trovarsi sconfitto e con le opposizioni rinvigorite dal risultato delle urne.
La vittoria del centrodestra, allo stato attuale, si può assegnare ad occhi chiusi in Lombardia, Veneto e Campania è molto probabile (anche se qui le primarie del 7 febbraio, che potrebbero vedere in campo un duello diretto Bassolino - De Luca, in caso di vittoria del Sindaco di Salerno, potrebbero sparigliare le carte), anche grazie all'accordo tra Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini che ha portato ad alleanze locali dell'Udc con il Pdl a sostegno di candidati governatori di area ex-An, nel Lazio (qui e' comunque la partita piu' incerta) ed in Calabria. Altrettanto certa è l'affermazione del centrosinistra - a meno di veri e propri terremoti elettorali - nelle cosiddette 'regioni rosse', ovvero Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Umbria, con l'appendice sudista della Basilicata.In questo contesto, saremmo 5 a 5. La vittoria si gioca quindi in tre regioni, Piemonte, Liguria e Puglia, nelle quali appare però nettamente favorito il centrosinistra grazie alle decisioni dell'Udc. A Torino, infatti, il partito di Casini ha scelto l'alleanza con Mercedes Bresso per contrastare l'affermazione del leghista Roberto Cota ed in reazione alla sua espulsione dalle maggioranze uscenti di Lombardia e Veneto. Analoga scelta è stata fatta in Liguria dove il partito centrista appoggerà il governatore uscente, Claudio Burlando, a scapito di Sandro Biasotti, candidato del centrodestra. Quanto alla Puglia, la scelta dell'Udc di sostenere nella corsa alla presidenza della regione Adriana Poli Bortone, ex sindaco di Lecce ed esponente di spicco fino a poco tempo fa del centrodestra pugliese, potrebbe aiutare non poco Nicky Vendola nella conquista della riconferma a scapito dell'uomo del centrodestra, Rocco Palese, attualmente capogruppo Pdl in Consiglio regionale, voluto fortemente dal ministro per i Rapporti con le Regioni ed ex governatore a Bari, Raffaele Fitto.
Potrebbe quindi finire, come detto, 8 a 5 in favore del centrosinistra, il che significherebbe uno smacco per Berlusconi e per il Pdl. E questa sconfitta, inoltre, porterebbe al paradossale risultato che l'ex Forza Italia avrebbe un solo governatore, l'inossidabile Roberto Formigoni in Lombardia, mentre gli ex aennini ne avrebbero due (Renata Polverini nel Lazio e Giuseppe Scopelliti in Calabria), la Lega Nord si aggiudicherebbe con l'attuale ministro dell'Agricoltura Luca Zaia il popoloso Veneto. Quanto alla Campania nuovo presidente diventerebbe l'ex socialista (non si smentiscono mai) Stefano Caldoro. Un quadro agghiacciante per il premier che sta cercando di correre ai ripari. Questo pomeriggio ha infatti chiamato a Palazzo Grazioli, dove era in corso una riunione con i coordinatori nazionali del Pdl dedicata alla regionali, il ministro Fitto per cercare di avere assicurazioni sulla possibilità di vincere con Palese e, in subordine, di convincerlo ad un accordo sulla Poli Bortone. Conquistare la Puglia è infatti essenziale per ridurre la sconfitta 7 a 6 , ancora ‘onorevole' perché il centrodestra si aggiudicherebbe le regioni più popolose.

Liberamente tratto da Aprile

giovedì 28 gennaio 2010

Non una moda da seguire

di Alberto Rossini
La domanda impertinente di Prodi “ma chi comanda nel PD?” in maniera semplice ed un po’ provocatoria pone il problema nei suoi termini essenziali e senza fronzoli. E’ difficile rispondere, le scelte per le candidature qualche segnale però lo lanciano. In Puglia ha vinto Vendola che è passato, da vincitore, per le primarie contro Boccia proposto direttamente da Roma. Insomma ha vinto chi ha dimostrato di essere più radicato sul territorio e l’organizzazione centrale ha dimostrato di non avere il polso della situazione, di non essere in sintonia con i propri iscritti e simpatizzanti. Nel Lazio è candidata la Bonino che di fatto si è autoproclamata e il vertice del partito ha dato il via libera, sapendo che si parte da una oggettiva difficoltà, dopo lo scandalo Marrazzo. Quale idea di fondo c’è, però, alla base della candidatura Bonino? Difficile dirlo visto che il PD lancia a livello nazionale un’ipotesi di apertura al centro. Un ruolo non particolarmente adatto alla radicale Bonino. Una contraddizione abbastanza evidente.
A Venezia le primarie per il Comune le ha vinte Orsoni, sostenuto da Cacciari, non certo un fan del PD e sicuramente un non allineato. Insomma non un successo del PD ortodosso.
Infine nel Veneto il candidato, scelto senza primarie, è Bortolussi direttore della Confartigianato di Mestre (quella che è bravissima a studiare i dati sulle imprese) selezionato per contrastare Zaia. Anche qui il candidato del PD è uno non organico, uno fuori dagli schemi, votato dalla direzione regionale del partito a maggioranza.
Cosa dimostrano questi esempi? Da un lato la difficoltà ad applicare in tutte le situazioni lo stesso metodo. Ovvero le primarie non sono un imperativo categorico del PD. Mi pare che siano una possibilità che se si può si cerca di evitare. Spesso le primarie sono vinte non dal candidato ufficiale, ma dagli outsider più o meno autorevoli.
L’altro dato che emerge è che il PD a volte trova i candidati fuori dalle proprie file. Non c’è niente di male, soprattutto per chi ha la consapevolezza che deve allargare il proprio consenso elettorale, eppure non pare una scelta dalle solide fondamenta, sembra che avvenga un po’ per caso, senza una particolare riflessione preventiva. Altre volte emerge con chiarezza come il territorio faccia prevalere i propri interessi e la propria volontà rispetto a quanto vorrebbe l’organizzazione centrale.
Allora se le cose stanno così, ma certo la discussione andrebbe approfondita, il partito dovrebbe darsi fondarsi su una base federale in cui l’organizzazione centrale funge da coordinamento e da centro di elaborazione di idee e progetti, ma in cui le decisioni rispetto alle politiche locali le prende il livello territoriale più vicino o più competente rispetto al problema che si pone.
Era questa la proposta di alcuni esponenti del PD del nord (Cacciari, Chiamparino, Illy e altri) che però non è passata perché ritenuta pericolosa e possibile premessa di una divaricazione tra partito del nord e del sud. Ma se nei fatti le cose stanno già così e quando non si dà voce al territorio le cose vanno male, perché non cambiare. Del resto solo in questo modo i circoli, i livelli locali, avrebbero finalmente modo di contare di più. Di radicarsi sul territorio. Di proporre soluzioni innovative e diffondere buone pratiche.
Così una nuova classe dirigente potrebbe essere selezionata anche per aspirare ad un ruolo di livello nazionale, oggi spesso rappresentato da persone che sembrano non possano avere un ricambio. Questa potrebbe essere una forma partito che anticipa una diversa articolazione dello Stato. Un’anticipazione, non una moda da seguire. Da qui possono partire i ragionamenti rispetto alle visioni e agli obiettivi non banali da perseguire per convincere i cittadini e poi vincere il governo del territorio ai diversi livelli.

Una buona notizia


DI PIETRO: SERVE ALTERNATIVA - «A questo stadio dei lavori in corso per le regionali - afferma il segretario Pier Luigi Bersani - sono contento di poter dire che su 11 delle 13 regioni in ballo abbiamo consolidato un'alleanza che costituisce una base molto solida. Con l'eccezione di Campania e Calabria abbiamo stretto ovunque coalizioni e già lavoriamo sui particolari». Accanto al leader democratico c'è Antonio Di Pietro. «Questo è l'impegno che l'Idv prende nei confronti del Pd - scandisce -, per non lasciare questo Paese nelle mani di chi toglie ai poveri per dare ai ricchi e che inganna continuamente i cittadini. Abbiamo il dovere di costruire un'alternativa - spiega Di Pietro -. Ed è per questo che noi dell'Idv vogliamo un'alleanza per l'oggi e il domani, e per le Regionali l'abbiamo sostanzialmente raggiunta».

mercoledì 27 gennaio 2010

Strani testacoda


di Alberto Rossini
I problemi sono complessi ed è difficile trovare le soluzioni idonee. E così si verificano anche degli strani testacoda. A Milano l’aria è inquinata, di sicuro più di Rimini, però anche qui non possiamo dirci fuori dall’emergenza. La Lega che altrove critica le misure anti PM10, a Milano con uno dei suoi uomini di spicco propone misure drastiche.
Forse bisogna ripensare in maniera radicale il sistema della mobilità e non solo. Le proibizioni non bastano, però non si può stare fermi e aspettare solo che “passi a nuttata”.
Circolazione a targhe alterne a Milano per tutto il mese di febbraio e chiusura sperimentale del centro alle auto a partire dal primo marzo: sono queste le ricette della Lega Nord per combattere lo smog nel capoluogo lombardo e che, tra sabato e domenica, saranno sottoposte a un'informale consultazione cittadina nei gazebo del Carroccio". A lanciare la proposta, rivolta in primis al sindaco di Milano Letizia Moratti ma estesa anche al presidente della Provincia Guido Podestà e al governatore Roberto Formigoni, è stato il consigliere comunale della Lega Nord Matteo Salvini. «Siamo sicuri che i milanesi - ha affermato - così come coloro che vengono a Milano per lavorare, sapranno organizzarsi al meglio volendo dare priorità assoluta al miglioramento della qualità dell'aria ed alla buona salute dei nostri bambini in primis». Secondo Salvini, il provvedimento delle targhe alterne dovrebbe rimanere in vigore per un mese intero (quello di febbraio) dalle 7 alle 19, compresi i giorni festivi e essere seguito dalla chiusura sperimentale del centro storico a partire da marzo” (Da Varese News).

Tutto vero


No, non e' uno scherzo della rete. Il manifesto che vedete qui e' vero. E'stato pagato un pubblicitario per invitare gli elettori a "bocciare" Boccia...
P.S. I numeri ottenuti dal nostro insignificante sondaggio qui a fianco sono stati gli stessi di quelli di Gallipoli citta'.

Tanto rumore per nulla



Puglia, Casini: da soli, candidiamo Poli Bortone.

L'Udc andrà da sola in Puglia presentando come propria candidata la senatrice Adriana Poli Bortone. Lo annuncia Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, in una conferenza stampa a Montecitorio. "Abbiamo sempre detto che un progetto nuovo che ci comprendesse non era identificabile con il progetto Vendola. L'abbiamo detto prima e lo ribadiamo oggi con fermezzà. Casini si rivolge al Pd, "a quegli ipocriti appelli del Pd" che sollecita "a riflettere su ciò che la loro scelta comporterà".

Ovvero: essendoci il turno secco e non doppio, strada spalancata per Vendola per confermarsi Presidente della Regione. Accordandosi da subito con una strategia di questo tipo non si salvavano capra e cavoli?

Sempre che il vero problema non fosse l'acquedotto pugliese in dote per Caltagirone... Per chi non lo sapesse, quella nella foto e' la seconda moglie (o la terza? Boh... si e' perso il conto delle mogli del cattolicissimo Casini) di Casini: Azzurra Caltagirone.

martedì 26 gennaio 2010

E pensare che qualcuno nel PD le ha messe in discussione


REGIONALI: NANIA, PDL SI APRA A PRIMARIE IN PUGLIA

Roma, 25 gen. - ''Il risultato delle primarie in Puglia, con la netta vittoria di Vendola dimostra almeno due cose fondamentali: la prima, che il Palazzo non puo' imporre le proprie scelte ai cittadini in una democrazia che voglia essere veramente tale. La seconda, che il Popolo della Liberta' non puo' lasciare nelle mani del Partito Democratico l'esercizio di una pratica democratica, quale quella delle primarie, che si iscrive nella storia dell'elezione diretta e del presidenzialismo e non in quella del consociativismo e degli 'inciuci'". Cosi' il vicepresidente Pdl del Senato, Domenico Nania, che aggiunge: "Penso che in Puglia, come altrove, il centrodestra, nella scelta delle candidature sul territorio, dovrebbe aprirsi alle primarie per costruire quel Popolo della Liberta' di cui l'Italia ha bisogno".

192mila


Guardate bene. Guardate senza farvi confondere da giornalisti (o supposti tali) e dichiarazioni ad minchiam (prof. Scoglio docet). Il dato che deve far riflettere non e' la vittoria asperrima di Vendola (neanche D'Alema aveva sperato di vincere, non fatevi ingannare) su Boccia (servile a obbedire a D'Alema a candidarsi come suicida, Emiliano l'aveva capita da subito...). Il dato che ha fatto girare la testa a D'Alema (e al cortigiano Latorre, come rido...) e' stata, nella regione che ha inaugurato la stagione delle primarie (che soprattutto e' la sua!), l'immane lezione di democrazia delle primarie: alle urne si sono presentati in più di 192mila, incuranti delle lunghe code per l'esiguità dei seggi. Le urne sono rimaste aperte dalle 8 alle 21, in un clima di festa e senza alcun incidente. Dice Michele Emiliano (che conferma di non essere uno sprovveduto), facendo l'eco a Sergio Chiamparino:" Vendola ha meritatamente vinto le primarie impartendo al nostro partito (e soprattutto al suo gruppo dirigente, n.d.r.), e non a Francesco Boccia, una dura lezione che non può più essere ignorata. Anche la più razionale delle strategie politiche non può essere calata dall'alto - ha rincarato la dose - e non può essere attuata ignorando i sentimenti di rispetto e di affetto delle persone nei confronti di quei pochi politici che nel bene e nel male sono sintonizzati con il senso comune".

Non dobbiamo mai dimenticare che, al netto delle opinioni e del risultato pugliese, le primarie restano il migliore strumento di marketing politico del PD. E per 2 ragioni:

1) la gente (la nostra gente) se le aspetta perche' e', in questo momento storico, il nostro tratto distintivo: le parole di Vendola stavolta sono un manifesto : "In casa del centrosinistra il candidato alla presidenza della Regione Puglia non viene deciso a Palazzo Grazioli, ma da una porzione del corpo elettorale rilevante di 200mila elettori. Nessuno si deve sentire sconfitto". Il tema della partecipazione resta vincente, le primarie non hanno mai deluso e il candidato che ne esce e' un candidato non forte, ma fortissimo, che magari lascia strascichi nel partito (vedi Riccione), ma unisce gli elettori;

2) sono uno strumento elettorale straordinariamente tattico: chi sa chi e' il candidato della destra? Tutti parlano delle primarie del PD e non della candidatura di un signor nessuno per la destra. Immaginate la portata meramente elettorale di queste primarie (che gia' sono state una bomba mediatica) fatte subito prima (o il piu' vicino possibile) alla data delle elezioni "vere"(quelle di fine marzo). E comunque scommettete che Vendola vince anche a marzo?

In tempi non sospetti sostenevamo che o la strategia nazionale (che, beninteso, ci deve assolutamente essere) era sbagliata (con l'UDC a qualunque costo e a suo insindicabile giudizio) o gli uomini che la dovevano realizzare non erano adeguati ("i giovani gia' sperimentati" e i loro padrini): ecco, all'indomani di come sono andate le cose in Puglia, Lazio e Piemonte (cioe' le regioni-chiave in termini strategici), probabilmente entrambe le cose.
Bersani ha una grande occasione: dopo il 29 marzo, smetta di essere un segretario conto-terzi e inizi a pensare, per citare Curzio Maltese oggi su Repubblica, a "uccidere il padre" (o il padrino? Mah...).

lunedì 25 gennaio 2010

Clamoroso, Bersani: "Anch'io avrei votato per Vendola"


Bersani non si e' fatto sfuggire la ghiotta occasione per liberarsi dal giogo dalemiano in occasione delle primarie in Puglia e ha fatto sue le condiserazioni proprio di Nicky Vendola: "Hanno un rapporto nevrotico con la modernità e non hanno mai davvero chiuso i conti col passato. Ma di tutta la grande narrazione politica comunista, quelli come D'Alema hanno conservato un solo tratto, il fascino supremo del comando. L'illusione di poter imporre alla base qualsiasi scelta, per quanto impopolare, in nome del fine superiore del partito. Soltanto che questo fine superiore non esiste più. E alla lunga, senza un'utopia, una trascendenza, la gente prima o poi si stufa di obbedire".

L'impressione è che il "poi" sia arrivato di colpo, oggi, qui, in Puglia. Dove il Pd di D'Alema (ah, no, di Bersani...) rischia di correre incontro a una crisi dura, non soltanto locale, ma nazionale. Per la tigna dalemiana, per incapacità di fiutare il vento, per il "rapporto nevrotico con la modernità", và a sapere. Per dirne una, pare che tra i più delusi ci sia addirittura il Presidente del Consiglio.

Ma nei discorsi, negli umori, nei segni sparsi per le strade non c'è stata partita. Almeno a Bari e dintorni, dove si è giocata, cifre alla mano, la metà della partita. Bastava confrontare la mestizia delle sedi del Pd con l'allegra sarabanda giovanile di Fabrica, il quartier generale di Vendola. Confrontare i muti e radi manifesti di Boccia con gli squillanti e felicemente populisti del Comandante Nichi, "Solo con(tro) tutti". Misurare con lo sguardo i luoghi della contesa. Mentre i dirigenti del partitone viaggiavano per salette da convegno, sezioni desertiche e studi televisivi, Vendola attraversava bagni di folla e prenotava per il gran finale Piazza Prefettura, roba da ventimila persone, che soltanto il Berlusconi dei tempi d'oro è riuscito a riempire con un comizio. L'altro giorno è arrivato finalmente a Bari il segretario Pier Luigi Bersani per sostenere la candidatura di Boccia e l'evento non è riuscito a colmare le trecento poltrone di una sala della Fiera. E lì Bersani ha capito. "Voterei anch'io per Vendola, basta con D'Alema".

E a Rimini?

Chi è il Boccia (nel senso di Francesco) della situazione? E chi il Vendola?

Certo a Rimini la partita non è per le primarie alla Regione, la partita è tutta congressuale. Nel nostro PD. In ballo ci sono le cariche di segreteria (provinciale e comunale).

Chi avrà il coraggio suicida di indossare i panni del Boccia locale? Perchè chi pensa al PD di Rimini, pensa che finalmente qualcosa di nuovo ci sia, la Primavera riminese è pronta a dare l'assalto al cielo. E se la qualità che esprime ha un'identità tutta sua (a partire dal fatto che la Primavera riminese è tutta quanta con i piedi ben piantati dentro al PD), per la gente che mobilita e l'entusiasmo che scatena assomiglia molto di più a Vendola che a D'Alema (o Bersani).

P.S. In realtà Bersani non si è espresso affatto come abbiamo scritto. Ma ci sarebbe proprio piaciuto.

domenica 24 gennaio 2010

Elegantemente


Il giro di parole con cui elegantemente Ilvo Diamanti cerca di indicare come Bersani, o si sgancia da D'Alema approfittando della sua sconfitta personale in Puglia o affonderà.

La realtà si allontana

LIETTA TORNABUONI, su La Stampa di venerdi'

Non è piacevole dire certe cose (e del resto sono in tanti a non averne bisogno, ci arrivano da soli), ma sarà meglio fare attenzione a chi dice cosa e perché, prima di prendere per buona una notizia o una riflessione. Si capisce che credere ciecamente agli informatori è un’ingenuità, che nessuno è abituato a farlo: ma il periodo attuale è particolare, inconsueto.Non si vuol alludere al leader che oggi dice «diminuisco le tasse» e domani smentisce «non posso diminuire le tasse per via della crisi»: questa è la solita politica oppure sventatezza o mistificazione. C’è ora un meccanismo più generale, più complesso, che ci impedisce di conoscere le verità. Alla base di questo meccanismo sta il sistema pubblicitario della ripetizione: come la pubblicità ripete i suoi slogan finché non diventano realtà e sèguita a martellare le lodi dei prodotti, così un’informazione o un giudizio vengono ripetuti in sede soprattutto televisiva sino a essere creduti, a diventare un luogo comune, una collettiva idea ricevuta. Craxi era un grande statista? Un grande statista, un grande statista, un grande statista: alla fine quelle poche parole si trasformano in un dato di fatto, non ci si chiede più quali azioni e parole di Craxi giustifichino la definizione.Il secondo sistema è l’esistenza di una rete compatta di ripetitori: non che non esista chi dice il contrario, ma viene considerato un poveraccio con problemi psichici o un eccentrico oppure uno dell’opposizione importabile, peggiore del demente e dello stravagante messi insieme. Il terzo sistema è il disprezzo della realtà, il trionfo della frase fatta che accarezzano la pigrizia o la distrazione della gente verso tutto ciò che non la riguardi direttamente, personalmente. Il quarto sistema consiste nel non fornire mai prove, testimonianze o spiegazioni di quanto si dice, ma nel limitarsi alla affermazione apodittica, come nel passato remoto faceva Mussolini: «Vinceremo!». Grazie a questi sistemi, sempre più ci allontaniamo dalle realtà di carattere generale, politico, nazionale; sempre più abbiamo l’impressione di essere inadeguati e non capire; sempre più pensiamo ad altro. Così lo scopo è stato raggiunto.

sabato 23 gennaio 2010

Noi la pensiamo così


"Si possono cercare intese, ma non si può esternalizzare la leadership del Pd. Io credo in un'alleanza ampia che riguardi tutto il centrosinistra. Però non può essere una semplice somma di partiti. Abbiamo una presidente uscente che ha ben governato (Mercedes Bresso, n.d.r.). E anche l'Udc ha capito che c'erano tutte le condizioni per una convergenza. E' questo il punto: un governatore ha fatto bene o male? Se ha fatto bene continua. Le alchimie interne dei partiti non pagano. La gente non le capisce. [...] Se ci fosse, per ipotesi, una ragione per chiedere a Vendola di farsi da parte, dovrebbe essere perché non ha governato bene, non perché è sgradito all'Udc."

Sergio Chimaparino, oggi su Repubblica. Dal Ciwati.

Identità e compassione. Dell'impossibilità di un orgoglio nazionale


Quella che segue e' una riflessione interessantissima sul problema dell'identita' nazionale, problema troppe volte affrontato fuori tema (la nazionale deve cantare l'inno o no? f.i.), eppure fatto emergere sicuramente a propsito dall'ex presidente della Repubblica Ciampi.

di Alessandro Bertante [Questo intervento dell'autore di "Al Diavul" è apparso sul numero di gennaio di ReSet e postato da carmillaonline]

Alcuni giorni fa mentre ordinavo un caffè in un bar di Milano sono rimasto colpito da un'immagine di per sé innocua, o perlomeno che io credevo tale. Dietro al bancone stava in bella evidenza una grande bandiera italiana. Nessun altro simbolo o segno di commento, solo il tricolore bianco, rosso e verde. Osservandola per un minuto con la tazzina a mezz’aria mi sono reso conto di provare una forte sensazione di disagio. Quella bandiera mi sembrava una inutile ostentazione nazionalista. Guardai il barista, cercando nella sua fisiognomica e nel suo abbigliamento una giustificazione parafascista a tanto osare. Invece niente, era un cordiale professionista milanese. Uscito dal bar la sensazione di disagio mi è rimasta addosso.
Perché il tricolore mi fa questo effetto? Se mi fosse capitata la stessa cosa in Francia o Inghilterra non mi sarei nemmeno stupito. L’Union Jack è frequente nei pub inglesi e i francesi non hanno alcun pudore a esporre la loro bandiera. In Italia invece questa cosa mi sembra di cattivo gusto o comunque inopportuna. E se devo ritornare agli anni trascorsi nell’adolescenza e durante la fin troppo protratta giovinezza, ricordo sempre la stessa insofferenza ai simboli nazionali. Insofferenza che, sia chiaro, condivido con la stragrande maggioranza della mia generazione. Certo, io provengo da una famiglia comunista e non sono così digiuno di storia per non capire quanto l’eredità del Ventennio fascista e la tragica vergogna della seconda guerra mondiale abbiano minato profondamente l’orgoglio nazionale. Ciò nonostante, queste cause non mi sembrano sufficienti a giustificare un atteggiamento così negativo e reiterato. La questione non è cosi semplice e soprattutto non si riduce a un fatto estetico o a un mio problema soggettivo. Parliamo della mia generazione quindi, i trentacinque-quarantenni. Parliamo del nostro percorso di formazione culturale, per cercare di capire quali siano le cause di questa disaffezione nei confronti dell’idea stessa di patriottismo. Se devo tornare indietro a quando ho memoria, ricordo che negli anni Settanta il tricolore era quasi bandito. A parte i militanti neo fascisti che lo sventolavano insieme ai loro simboli, nessuno lo mostrava. Nemmeno a scuola era frequente vederlo appeso su di un muro, come se anche nelle aule ci si dovesse vergognare della nostra appartenenza nazionale. Ma di cosa dovevano essere fieri gli italiani? Di quale virtù esclusiva o coesione memorabile?Conclusa come sappiamo la seconda guerra mondiale, la mancanza di una mitopoiesi della vittoria – di norma cemento dell’identità nazionale - non poteva essere rimpiazzata dalla pur gloriosa pagina della Resistenza, perché non da tutti condivisa e minata nelle fondamenta dallo sbandierato internazionalismo del Partito Comunista Italiano. La nuova repubblica sorta nel dopoguerra nasceva monca, senza fare i conti con il proprio recente passato. Questa lacerazione è continuata per decenni e noi l’abbiamo ereditata. Come dicevo, la mia infanzia comincia negli anni Settanta, in un paese dove molti italiani erano convinti, a ragione, che lo Stato mettesse le bombe nelle piazze e sopra i treni. In un paese dove esisteva una realtà quotidiana tangibile e più o meno accettabile, ma anche un mondo occulto di interessi e trame inconfessabili. Trame antinazionali che nascevano per opporsi alla volontà popolare. Sono cresciuto in un paese dove nessuno mostrava mai attaccamento alla patria, perché la patria quando esisteva era vista come aliena e nemica. Sono cresciuto in un paese dove la grande massa dei ceti produttivi moderati votava la Democrazia Cristiana, partito adesso paradossalmente rimpianto ma allora ricettacolo di corruzione e clientelarismo, costretto dalla situazione politica internazionale a rimanere sempre al governo, senza mai lasciare spazio ad una alternanza che facesse pulizia negli àmbiti di potere troppo sedimentati. L’altra metà del paese invece votava PCI, un partito storicamente miope, anacronistico, compassato ma anche serio, efficiente, fatto di gente per bene che credeva in quello che faceva. Ma un partito fondamentalmente antinazionale, sebbene i suoi dirigenti si sforzassero di affermare il contrario. Alle feste dell’Unità si vendevano i gagliardetti dell’Unione Sovietica o i simboli dell’iconografia comunista, non il tricolore o le immagini dei martiri del Risorgimento. Negli anni Settanta nessuno era orgoglioso di sentirsi italiano. Quando finalmente finisce il decennio, gli anni Ottanta parlano già un altro linguaggio. Io sono adolescente e vivo nella metropoli invasa dall’eroina. Ma fuori dai quartieri bisogna fare i soldi e farli alla svelta, in una realtà sberluccicante che dimostrerà presto la propria inconsistenza. La macchina pubblicitaria macina miliardi mentre i mezzi di comunicazione di massa proiettano la gente comune in altri luoghi, reali o immaginifici, ma comunque a portata di mano. Gli italiani guardano fuori dai confini nazionali: del tricolore e della patria continua a non fregare niente a nessuno. Solo durante le grandi vittorie sportive lo spirito d’appartenenza si ridesta – e penso ai mondiali del 1982 -, ma è un fatto di costume, un rito collettivo che si spegne in una notte di festeggiamenti. Intanto il nuovo decennio è paradossale e rivoluzionario, certo più radicale del precedente con tutta la sua violenza e la sua mal risposta ideologia. Cambia il mondo a una velocità travolgente e solo chi non vuol vedere rimane ancorato alla vecchie formule, ai vecchi linguaggi e ai vecchi schieramenti. Molti giovani muoiono di overdose. Il decennio si chiude con il muro di Berlino che crolla fragorosamente davanti agli spettatori di tutto il mondo, impegnati a guardare uno spettacolo dopo tanti altri. La post modernità si mostra con la faccia garrula della mancanza di coscienza, dell’indistinto che non ammette selezione etica. Che succede quindi agli italiani? La fine della guerra fredda avrebbe potuto concorrere a riformare un forte sentimento di appartenenza nazionale. Era prevedibile e forse anche auspicabile ma così non è stato. Trascorsi un paio di anni, Tangentopoli arriva come una bufera, gettando fango sulla classe politica, sulle istituzioni e sull’idea stessa di stato di diritto. Io ho ventitré anni. Vedo franare ancora una volta la nostra autostima di cittadini perché le coeve stragi di mafia mostrano che l’eterna Italia delle trame continua a prosperare nell’ombra. In questo contesto di progressiva disgregazione, s’affaccia alla ribalta un nuovo partito, la Lega Lombarda - Lega Nord. Nata a metà degli anni Ottanta nella profonda provincia settentrionale, la Lega approfitta del crollo dei partiti della prima repubblica per fare nuovi proseliti con un programma molto chiaro, la secessione del Nord Italia industrializzato ed economicamente prospero dal Sud parassitario e clientelare. Considerata all’inizio come un fenomeno folcloristico e passeggero, all’inizio degli anni Novanta è già un movimento politico importante e strutturato con dei quadri professionisti e migliaia di militanti di base. Un movimento che mina alle fondamenta il concetto di patria. Altro che tricolore, nelle pizzerie padane sventola la bandiera di Alberto da Giussano. L’identità nazionale subisce un’altra formidabile botta. Ci penserà Silvio Berlusconi a unire le istanze della nuova destra post fascista e autenticamente nazionalista, alle urgenze separatiste di Umberto Bossi. Proveniente dalla grande palude della piccola borghesia impiegatizia, questo sconosciuto imprenditore lombardo, partendo dall’edilizia in meno di dieci anni ha creato un impero mediatico, acquisendo i tre maggiori network televisivi privati. È furbo, scaltro, vanitoso, carismatico, senza scrupoli e privo di alcun senso civico. Ma è capace o così si definisce. Durante gli anni Ottanta crea una mitologia sulla propria efficienza. Dopo tangentopoli, per salvare le sue aziende da una sacrosanta legge antitrust, si butta in politica. Il suo partito Forza Italia ha ottenuto un successo clamoroso, diventando l’espressione privilegiata della nuova borghesia italiana. Io ho trent’anni mentre lui viene eletto più volte Presidente del Consiglio. Ma viene anche sconfitto. Cade e si rialza, dimostrando energie insospettabili. Ma non cambia. Piuttosto involve, l’esperienza da premier lo trasforma in una sorta di caricatura dell’italiano medio anni Cinquanta, riportando all’estero la nostra immagine peggiore, dalla quale ci eravamo da poco tempo affrancati. Lui è l’italiano degli stereotipi razzisti. Si crede simpatico, fa le corna ai colleghi stranieri, schiamazza con la regina d’Inghilterra, racconta barzellette, si circonda di guitti con mandolino e si presenta con il bandana durante le visite ufficiali di altri capi di stato e confonde scientemente vita privata e funzione pubblica. Ciò nonostante il suo successo cresce e lui, non soddisfatto, continua nel suo processo involutivo. In età senile si riscopre seduttore e grande amatore, diventando lo zimbello di tutto il mondo civilizzato. Ma non degli italiani. Gli italiani lo amano. Berlusconi è accusato da svariate procure di una serie interminabile di reati ma gli italiani continuano ad amarlo senza condizioni. Anno dopo anno, l’affermarsi del potere berlusconiano contribuisce alla disgregazione culturale della nazione, il concetto stesso di società civile perde completamente di significato. Le cronache recenti ci raccontano che oramai in Italia si può fare qualsiasi cosa. Un giornalista di una televisione dei proprietà del premier può pedinare e filmare un magistrato violando la sua vita privata senza che questo gesto abbia reali conseguenze penali o perlomeno professionali. Non esistono più obblighi ne condivisioni di responsabilità. Le parole non hanno più importanza, il buon senso è visto come sintomo di estremismo. La verità diventa accessoria o addirittura superflua. In tempo di pace, un forte sentimento identitario nazionale nasce sempre dalla presunzione di un primato etico e morale. Ovvero, la nostra civiltà è superiore e noi siamo fieri di farne parte senza necessariamente condividere questa ricchezza con le altre nazioni. Negli ultimi dieci anni è sorto in Italia un nuovo tipo di nazionalismo, fondato sul malcostume e sulla rivendicazione di mediocrità eretta a sistema. Nasce così l’orgoglio degli evasori fiscali, degli approfittatori, dei conformisti, dei furbi e dei furbetti, dei nuovi mercati di schiavi e delle mamme delle veline. Un nazionalismo grossolano e volgare, senza basi culturali reali né classi sociali di riferimento ma che sfrutta allo stesso modo, e senza alcun pudore, le tragedie umane delle nostre guerre di pace e la retorica consunta e oramai improponibile degli “italiani brava gente”.Torniamo al bar quindi, alla domanda iniziale. Adesso ho quarant’anni, della mia vita in questo paese ho troppi ricordi amari. Se guardando il tricolore dietro al bancone provo disagio non c’è nulla di cui stupirsi. La ragione è semplice: non sono fiero di essere italiano. Quando vado all’estero sono imbarazzato e rimango sulla difensiva. In qualsiasi paese mi trovi - amministrato dalla destra o dalla sinistra, al Sud o al Nord dell’Europa - io mi vergogno della nostra condizione. Con la testa bassa guardo gli sguardi dei miei interlocutori e non vedo sdegno o sorpresa. No, io vedo compassione. Ci compatiscono di essere italiani.

venerdì 22 gennaio 2010

Per quel che contano

Se pensate che tutto questo sta succedendo perche' "qualcuno" non vuole fare le primarie perche' c'e' il rischio che "risultati a sorpresa rischino di mettere in crisi le alleanze", si capisce perche' i sondaggi sono, al momento (per quel che contano...) tutti favorevoli a candidati "sfidanti". Finora si diceva "i candidati PdL sono ben peggio": guardate chi candidano adesso...

Waiting for Binetti


Santa Maria Binetti intervistata dal Corriere spiega che ovunque lei deciderà prossimamente di andare (con Casini, con Rutelli, [inserire un partito a caso]) abbandonando sdegnata il PD, verrà seguita da “un movimento di elettori molto piu’ ampio di quanto non si possa immaginare”. Prima ha detto che se ne sarebbe andata (con il suo ampio movimento di elettori) se il PD avesse candidato la Bonino. Ora che l’ha candidata dice che farà campagna elettorale “contro” la Bonino e se ne andrà nel caso in cui la Bonino vinca. Con tutto questo fare e disfar valigie il suo ampio movimento di sostenitori si sarà ormai anche un po’ stufato.

giovedì 21 gennaio 2010

Molto piu' che primarie


Stavolta non sono solo primarie. Lui, qui, si sta impegnando con tutto e di piu'. La posta in gioco si e' fatta alta. Altissima.

Il cimitero del diritto


E con questi, c'e' qualcuno che intende dialogare o confrontarsi o discutere?

Giusto due righe


Giusto due righe. Giusto perche' la differenza e' risultata obiettivamente abissale.

L'intervento di Roberto Maldini (che e' il coordinatore di questo circolo) alla Conferenza Programmatica di lunedi' in veste di coordinatore del gruppo tematico di Diritti e Liberta' ha letteralmente entusiasmato un uditorio fortemente provato (elegante eufemismo...) dalla lunga serie di interventi che lo hanno preceduto. Sicuramente ha vertito a favore di Roberto l'essere stato preceduto da vari "tribuni" davvero poco inclini all'oratoria (certamente non tutti, ma troppi). E altrettanto sicuramente ha giocato a suo favore la possibilita' riservatagli di intervenire poco prima di Vasco Errani.

Ma la profonda sperequazione tra l'intervento di Roberto e il livello medio del resto della serata sarebbe stata ben poca cosa se si fosse limitata alla sua capacita' oratoria, la vera differenza e' stata quella contenutistica, che e' stata lo specchio della mole di lavoro politico svolta dal gruppo suo e di Giovanna Zoffoli. Troppi altri interventi (per carita', non tutti) sono apparsi davvero scolastici (a tratti financo imbarazzanti) e francamente soporiferi. Lunedi' sera, la differenza tra chi ha lavorato davvero sui temi assegnatogli e chi no, ha gridato vendetta al cospetto di Dio. Il futuro del PD riminese passa di qui.
P.S. Plausibilmente, qualcuno potra' ritenere questo commento un tantino benevolo verso Roberto, in qualche modo di parte. Bene, che questo qualcuno faccia una cosa: invece di fidarsi del nostro commento, chieda a chi era persente (ed erano in tanti). Gli riferiranno le stesse cose che avete letto, ma con commenti dai toni molto meno sfumati dei nostri.

Dello spoil system ovvero il vero oggetto del contendere



D'Alema, no a patti segreti con Casini.
"In Puglia nessuno pensa di vendere l'acquedotto pugliese".

(ANSA) - 18 GEN - 'Non c'e' un patto segreto tra me e Casini, c'e' la forza della politica, che poi e' la forza delle cose'. Cosi' Massimo D'Alema. 'L'Udc - spiega - e' all'opposizione insieme a noi al governo Berlusconi ed e' naturale che partendo da questo nascano delle convergenze'. Sono invece una 'totale sciocchezza' le indiscrezioni sulla privatizzazione dell'Acquedotto Pugliese cui Caltagirone, suocero di Casini, sarebbe interessato.
P.S. Sempre a proposito di spoil system, ma cambiando completamente scenario, leggete la testimonianza di come, anche in presenza di una amministrazione sana come quella dell'Emilia Romagna, non tutto sia rose e viole. E anche qui.

mercoledì 20 gennaio 2010

Not in my name


«Apprezzo il gesto dell’onorevole Pier Luigi Bersani di inviare domani, alla commemorazione di Bettino Craxi in Senato, in rappresentanza del Partito Democratico, il capo della sua segreteria politica, Filippo Penati (e qui si capiscono fin troppe cose..., n.d.r.)». È Stefania Craxi ad aggiungere l’auspicio che «questo primo passo segni un punto di svolta nell’atteggiamento sin qui tenuto dal suo partito nei confronti della vicenda umana e politica di Bettino Craxi, le cui idee innovative sono ormai patrimonio di tutti gli italiani».
Citanto Barbara Spinelli: "Ora si apprestano a celebrare il decennale di Craxi. Mi auguro che il presidente della Repubblica non si abbandoni a festeggiamenti eccessivi. E non ceda alla tentazione di associarsi a questa deriva generale di revisionismo e di obnubilazione della realtà storica sulla figura di Craxi. Anche perché la riabilitazione di Craxi non è fine a se stessa: serve a svuotare politicamente e mediaticamente i processi a Berlusconi e a tutti i pezzi di classe dirigente compromessi con il malaffare. Riabilitano un defunto per riabilitare i vivi. Cioè se stessi."

Sicuramente gli elettori del PD si sentono rappresentati...

La politica da bere (e i punti-fragola)



Il Corriere di oggi dedica ampio spazio alla débâcle nei sondaggi (e nell’immaginario) di The One, che non è un profumo o una canzone, ma Mr. Obama. La battuta la rubo a Jonathan Franzen, quello dello stupendo Le correzioni, che in un’intervista molto snob e molto lagnosa se la prende con New York Times e America varia (le casalinghe che sparlano di Tiger Woods in realtà attaccherebbero il presidente: sarà), e così spiega: «Questi incidenti sono fatti su misura per Twitter, blog e tv. Le big corporation e i repubblicani traggono vantaggio dal tenere il dialogo lontano dai contenuti veri. Gli attacchi anti-Obama non si basano sui fatti ma sulla fantasia.»Il problema è quando il dialogo è lontano dai contenuti veri, e in cambio non c’è neanche qualche status succulento da intercettare sui network. Penso all’estenuante Craxeide. Bravo, cattivo, statista, tangentista, da commemorazione, da rimozione. Tutto si tiene. Da noi non sarà colpa dei tweet, ma dei soliti giornali, che – ora parlo di Repubblica – titolano un intervento di Penati «Rivalutare il socialismo della Milano da bere». Ma la notizia c’è. E poi capisci perché ti dicono: «Non voglio rinnovare la tessera del Pd.» Io la tengo, ma solo se in cambio ci danno i punti-fragola. Soprattutto ora che bisogna comprare i drink. (Che poi, anche qui, la contemporaneità: almeno, «nella fantasia», Obama è scivolato mangiando sushi.


di mattiacarzaniga

P.S. Comunque, al di la' della bassa riconoscenza correntizia, ci deve essere un perche' ben piu' dolorosamente prosaico a giustificare la candidatura perdente in partenza di Penati in Lombardia.

martedì 19 gennaio 2010

CON BONINO PER IL PD PIU' PROFITTI CHE DANNI



Il Sole 24 Ore - 19 gennaio 2010 di Piero Ignazi


Strano destino, come sempre del resto, quello dei radicali. In occasione delle elezioni del 2008 la tormentata contrattazione per il loro ingresso nelle liste del Pd divenne la cartina di tornasole della capacità di "aprirsi" del Pd. La loro esclusione avrebbe significato che il partito di Veltroni era oligarchico, chiuso, autoreferenziale e non sapeva cogliere le espressioni meno irregimentate della società civile (di cui si ritenevano i radicali espressione). Alla fine, con il plauso di tanti osservatori, l'accordo si fece. Quella scelta di integrazione così forte - non un apparentamento ma l'immissione diretta dei radicali nelle liste democratiche - non sollevò particolare sconcerto tra le fila dei cattolici del Pd. Qualche mugugno ma nulla più. Ben diversa fu la reazione delle gerarchie ecclesiastiche che tuonarono contro la presenza di anticlericali divorzisti, filoabortisti e quant'altro. Di conseguenza, come dimostrato dalle indagini postelettorali di Itanes, i cattolici si spostarono in massa verso altri lidi, soprattutto l'Udc. Oggi, nel Pd, di cattolici non ne sono rimasti molti. C'è sì molto ceto politico, entrato nei vari organismi di partito e nelle assemblee rappresentative grazie ai dosaggi contrattati al momento della nascita del partito. Ma elettori e militanti cattolici sono ormai ridotti a una piccola schiera. Per questi motivi - la fanfara suonata all'ingresso dei radicali nel 2006 e la successiva liquefazione del serbatoio elettorale e militante cattolico - è paradossale e quasi incomprensibile il fuoco di sbarramento alzato contro la candidatura di Emma Bonino alle regionali del Lazio. Le due maggiori critiche sono infatti contraddittorie o inconsistenti. Prima critica: la candidatura è venuta dall'esterno, anzi è stata addirittura "imposta"; e il Pd l'ha subita. E quindi il Pd è un partito debole e facilmente penetrabile. C'è da scommettere che se invece la proposta fosse stata respinta, gli stessi critici avrebbero usato un argomento di segno opposto: il Pd è un partito chiuso, settario, insensibile alle voci non allineate e così via. Insomma, ogni opzione non andava bene, "a prescindere". Seconda critica: allontana l'elettorato cattolico. Ma come il caso Marrazzo insegna, i candidati espressione dell'ambiente cattolico non garantiscono comportamenti in sintonia coni valori dichiarati. Le persone di fede apprezzano certamente di più chi dichiara a viso aperto di avere riferimenti culturali diversi, ma anche grande sensibilità verso le posizioni più lontane da sé, come tutta la storia dei radicali dimostra, rispetto a chi si dichiara allineato al mainstream confessionale e poi fa tutto altro. Se quindi i radicali andavano bene nel 2008, non si capisce perché siano diventati il diavolo due anni dopo. Infine, si dimentica che esiste un elettorato di sinistra radicale, assai più ampio di quello cattolico potenzialmente orientato verso il Pd, che rappresenta il vero bacino di riserva del partito di Bersani. Questo elettorato può essere recuperato dalla candidata radicale, mentre quello cattolico è in gran parte disperso anche perché i valori di riferimento dei "cattolici democratici" sono marginali nella chiesa ratzingeriana. Il caso Bonino ha messo in luce, una volta di più, la difficoltà del Pd a far convivere tradizioni culturali diverse in assenza di riflessioni degne della sfida; ma offre anche l'opportunità, proprio per il profilo della candidata, per una discussione vera su temi alti, dalla bioetica a stili e scelte di vita diversi da quelli codificati dalla religione e dalla tradizione, dal multiculturalismo alle nuove povertà, dall'anomia urbana alla sviluppo ecologicamente sostenibile.

La politica dei pochi


Intervista a Nicola Latorre - "Non usare le primarie contro Bersani "
di Carlo Bertini, la Stampa 18 gennaio

E' bene che sia chiaro che la stagione della personalizzazione della politica, causa di tanti guasti anche a sinistra, ormai è finita». Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori del Pd, si prepara ad una settimana di passione, «ventre a terra», per far vincere a Francesco Boccia domenica prossima il secondo round delle primarie pugliesi contro Nichi Vendola, che non ne vuole sapere di tirarsi indietro. Una ritrosia, quella di Vendola, condivisa con il collega Agazio Loiero che in Calabria non vuole rinunciare a candidarsi anche se il prezzo di un'alleanza con Casini è quello di farlo accomodare sugli spalti. Dunque Latorre manda un avviso ai naviganti sulle partite da chiudere, rivolto anche alla minoranza dei veltroniani, perché se qualcuno avesse la tentazione di trasformare le primarie pugliesi in un terzo tempo del congresso sarebbe responsabile di «un suicidio politico».

I vostri governatori si mettono di traverso. Una ribellione al potere romano?
«Nel Mezzogiorno l'esasperata personalizzazione della politica ha riproposto una forma aggiornata di notabilato, da parte di chi si considera insostituibile e non mette in conto di poter fare gesti di umiltà che caratterizzano i veri leader politici. Nel Nord un esempio straordinario è Chiamparino, che ha una forza politica dirompente e che sceglie di mettersi alla guida della lista a sostegno della Bresso, proprio lui al quale era giunta una forte sollecitazione a candidarsi (pressioni su Chiamparino finalizzate a tentare di non ricandidare la Bresso invisa all'UDC, n.d.r.). Dunque, la strategia dell'alleanza con l'Udc la stiamo facendo non per un calcolo di potere o elettorale o come un'operazione di Palazzo. Il nuovo Pd di Bersani sta cercando di rinnovare la classe dirigente» (come no! come candidando Penati in Lombardia o come troppi di quei "giovani gia' sperimentati" che hanno dato prova di scarsissime capacita' proprio nei vari gruppi dirigenti usciti vincitori dalle primarie in quelle regioni che oggi sono sulla bocca di tutti, n.d.r.).

Questo è un nobile effetto collaterale, ma la verità è che volete vincere a tutti i costi, o no?
«Certo c'è anche questa componente. Ma emerge che da un lato c'è la prospettiva di costruzione dell'alternativa a Berlusconi e dall'altro chi si impegna a fare "ammuina" perché resti per i prossimi cent'anni, cioè tutti quelli che ci dicono che siamo subalterni e ci accusano di fare inciuci»(...non saranno "inciuci", ma com'e' che tutte le cariche "offerte" all'opposizione sono "offerte" al "piu' amato dalla magioranza", dal Copasir al Ministero degli esteri europeo? Mah...).

Ma intanto questa strategia deve passare un primo esame. Partendo dal cappotto di undici a due per voi del 2005, quante regioni riuscirete a portare a casa? - «Il risultato del Pd alle europee ci consentirebbe di vincere solo in tre regioni (e si capisce che Latorre e' un fervido sostenitore della vocazione maggioritaria del PD, n.d.r.) e sarebbe una sciagura. Credo che il voto di marzo non potrà mai confermare i numeri del 2005, ma sarà una tappa significativa di un percorso che ci consenta di poter vincere le prossime politiche. Ma fare previsioni porta male, come accadde nel 2000».

In Puglia domenica si giocano le primarie. C'è il rischio di un fuoco amico su Boccia per regolare i conti interni al Pd?
«Le primarie sono un mezzo e non un fine, che è la costruzione di una coalizione intorno ad una candidatura vincente. Il fuoco amico sarebbe gravissimo e confermerebbe le voci maligne, a cui non voglio dan credito, secondo le quali c'è chi spera in una sconfitta del Pd per riaprire il congresso dopo le regionali (e non come D'Alema che ha sempre ardentemente sperato nel successo sia di Prodi che di Veltroni....! n.d.r.). In Puglia la partita è difficile perché Vendola ha una notevole popolarità tra i militanti. E se su questo si innestasse un calcolo vigliacco di regolare conti per rimettere in discussione una linea politica, diventerebbe un suicidio. Vedremo in questa settimana il tasso di impegno di tutti. Comunque sarebbe facile scoprire il gioco e ricordo che dopo le primarie ci sono le elezioni vere, con un partito che dovrà presentare le sue liste. Qualora emergessero strani segnali, questa seconda fase ne sarebbe notevoimente condizionata»(non sapevo che le candidature le decidesse Latorre, io ingenuo pensavo ci fossero organi di partito per questo, n.d.r).

Sta dicendo che a quel punto la spartizione dei nomi in lista sarebbe tutta da vedere?
«Ci siamo capiti» (e qui siamo all'avvertimento para-squadrista, n.d.r.).

Ultima domanda: cosa è successo con la Bindi che vi ha accusato di barattare il Veneto con l'Udc e di essere troppo subalterni agli alleati? La sua carica di presidente è in bilico?
«Ma no! Rosy sulle primarie interpreta le istanze movimentiste con una particolare radicalità. E poi lei aveva la preoccupazione che questa alleanza con Casini venisse fatta sacrificando il ruolo fondamentale del Pd. Ma, se si guarda bene, bisogna riconoscere che Bersani in condizioni proibitive (...chissa' a causa di chi, mah...? n.d.r.) sta riuscendo a mettere insieme forze di opposizione distanti tra loro su molti temi, come noi, la sinistra, l'Idv e l'Udc. Che è da considerare un primo piccolo miracolo politico ("nonostante" Latorre e non certo "grazie a" Latorre, n.d.r.). Quindi ha confermato il ruolo centrale del Pd e comunque Rosy stia tranquilla, noi siamo davvero un partito democratico» (Noi chi?).

lunedì 18 gennaio 2010

Conferenza progammatica


Con Civati e Pap Khouma




Sotto l'ormai rodata regia di Roberto Maldini, stavolta insieme a Giovanna Zoffoli, grande partecipazione (solo posti in piedi) e importanti contenuti alla presentazione di Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano, il libro di Giuseppe "Pippo" Civati.

La Conferenza Programmatica del PD riminese si arricchisce di una pagina importante. L'intervento molto appassionato di Pap Khouma (arricchito dagli aneddoti sui suoi trascorsi riminesi) ha lasciato in bocca a tutti i partecipanti alla serata un sapore di autenticita' che, unito alla riflessione politica, ha reso questo evento uno dei meglio riusciti dell'intera Conferenza Programmatica.

Il dibattito che ne e' seguito, nel solco della tradizione del nostro circolo, e' stato acceso e ricco di contributi da parte dei partecipanti.

Tra i tanti, e' bello perche' importante, sottolineare gli interventi di diversi rappresentanti dei vari gruppi etnici del nostro territorio.

Davvero trasversale tutto l'uditorio. Molti giovani nelle prime file e giovane anche Filippo Pecci, il moderatore della serata.



Ha concluso l'evento un intervento del segretrio provinciale del PD Andrea Gnassi.

domenica 17 gennaio 2010

Calabria: un'alleanza che va dalll'Udc all'Idv?


Da L'Unita' del 16 gennaio

«Ricordati, domenica dalle 8 alle 21 di non andare a votare». Indietro tutta, per puntare all’allargamento della coalizione. Iscritti e votanti, che fino a ieri mattina hanno ricevuto per sms l’invito di recarsi ai gazebo, possono riporre la scheda elettorale: le primarie, ha annunciato il segretario regionale del Pd Carlo Guccione, sono sospese. Missione compiuta, aggiunge Guccione: «Il mandato era un’alleanza più vasta a cominciare dall’Udc. L’ho realizzato». Decisione presa con il viatico del presidente uscente Agazio Loiero: «Se il fine è allargare la maggioranza e crearne le condizioni preliminari, ben venga la sospensione». Il passo indietro Il passo indietro di Agazio Loiero era ormai atteso non solo dai suoi avversari ma anche dai sostenitori, perché peggio di tutto sarebbe stato andare alle urne col Pd lacerato. «Guardi - diceva lui ieri sera - che anche da Rifondazione ai Verdi, da Sel al Pdci, ai socialisti erano tutti per la sospensione delle primarie». E Giuseppe Bova, che ha firmato con Loiero la legge regionale sulle primarie: «La priorità è una coalizione nuova e vincente. E mi ero spinto a proporre, in caso di mia vittoria, per la presidenza della Regione una candidatura diversa dalla mia persona». Lo scrittore Santo Giuffrè, assessore alla provincia di Reggio per Prc: «Per noi le priorità sono battere le destre e la ‘ndrangheta. Rinnovare nella sanità». La riserva Udc non è ufficialmente sciolta e il candidato del Pdl, il sindaco di Reggio Scopelliti, fa ancora buon viso a cattivo gioco: «Con l’Udc rapporti eccellenti, a livello locale e nazionale». Affermazione, sul piano nazionale, un po’ temeraria che poggia sul temporeggiare del segretario Cesa: «Assumeremo le nostre decisioni il 22 gennaio». E il candidato in pectore, Roberto Occhiuto, Udc che gode di stima anche a sinistra per le sue prese di posizione su personaggi non candidabili, usa il bon ton dovuto al territorio (e agli Udc orientati a destra): «Sarà il partito regionale ad aprire una riflessione». E insiste sul rinnovamento: «La candidatura del presidente non è di per sé garanzia di cambiamento. Bisogna vedere quale progetto si andrebbe a costruire».


Incognita Idv. Per il presidente della Provincia di Reggio Calabria, Pino Morabito (Pd) sono sviluppi che «fanno stare più tranquilli». E spera che anche l’Idv, caduta la pregiudiziale verso Loiero, possa entrare nella coalizione: «Udc e Idv hanno avuto ottimi risultati in Calabria ed è importante anche che Occhiuto sia di Cosenza», realtà più grande di quella destrorsa di Reggio Calabria. Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris saranno oggi in Calabria per valutare la situazione. Dice Di Pietro: «Callipo è un ottimo candidato e noi non gli toglieremo l’appoggio sacrificandolo a logiche di partito. Sarà lui a valutare». Anche perché, aggiunge, «Bisogna vedere cosa cambia nella sostanza perché non è detto che scompaiano i burattinai». Però precisa ancora: «Non è un’accusa verso Occhiuto, che non conosco».

Bon chance, Paolo Cosseddu


Questa e' una storia che ci piace e ve la segnaliamo.

sabato 16 gennaio 2010

RIMINI, REGIONE STRANIERA?





















Domenica 17 Gennaio ore 17.00
Sala del Buonarrivo Corso D’Augusto 231 / Rimini

RIMINI, REGIONE STRANIERA?
Libertà come multicultura.

Partendo da una fotografia statistica della situazione riminese curata da Rossella Salvi (Ufficio Statistica provincia di Rimini), con la presentazione del nuovo Libro “Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano” di Giuseppe Civati: un pomeriggio in cammino sulla via tortuosa dell’integrazione e della lotta al razzismo.

Con
Giuseppe Civati
(scrittore e esponente PD)
e
Pap Khouma
(scrittore e giornalista)


Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano

Un libro denuncia, un pamphlet per aprirci gli occhi su un tema che facciamo finta di ignorare e dal quale ci sentiamo ormai immuni: il razzismo. A soli 34 anni, Giuseppe Civati, scrittore e consigliere regionale del Partito democratico, presenta il suo quarto libro (la prefazione è a cura di Nando Dalla Chiesa) Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano.

Organizza
Diritti&Libertà! Gruppo di Lavoro PD/Rimini – verso la Conferenza Programmatica RN-2010
Per info
335 5617903
dirittiliberta@libero.it
http://www.dirittiliberta.blogspot.com/

Puglia e Calabria: always on the run


Ennesimo colpo di scena nel Pd Pugliese: il candidato in pectore Francesco Boccia, dopo che nella serata di ieri aveva annunciato di non essere piu' diponibile alle primarie, sembra di nuovo pronto ad accettare la sfida delle primarie contro il governatore uscente Nichi Vendola. E' questo l'inatteso sviluppo della lunga riunione con il segretario regionale Sergio Blasi che già ieri sera aveva incitato Boccia ad un ''atto di coraggio''. «Sono disponibile a candidarmi alle primarie se non cambia la coalizione»: ha detto Francesco Boccia arrivando nella sede del Pd di Bari dove è prevista una riunione alla quale parteciperà anche Massimo D’Alema, in vista dell’assemblea di domani mattina del partito nella quale si dovranno decidere le alleanze e il candidato per le prossime regionali in Puglia. Alla domanda se è disposto ad essere il candidato del Pd malgrado l’indisponibilità dell’Udc alle primarie, Boccia ha risposto: «La partecipazione dell’Udc non è una cosa indifferente, è importante». Ed al termine della riunione dei Democratici pugliesi ha ripetuto: sì alle primarie se lo vuole l'assemblea. Francesco Boccia sarà il candidato del Pd alle primarie contro Nichi Vendola per le prossime regionali in Puglia se domani mattina l’assemblea regionale del Pd approverà la proposta sulla consultazione nei gazebo. La conclusione è arrivata al termine della riunione dei Democratici pugliesi, che è durata oltre quatto ore e alla quale hanno partecipato Massimo D’Alema, lo stesso Boccia ed esponenti della minoranza del partito.

In Calabria dopo settimane di trattative il Pd ha deciso di fare un passo indietro e di affidare ad un candidato centrista le sua chanche di successo. Non a caso il segretario del Pd della Calabria, Carlo Guccione, ha sospeso le primarie già fissate per il 17 gennaio, ma Agazio Loiero (governatore uscente) non ci sta e conferma la sua candidatura. Con molta probabilità, sarà il parlamentare Roberto Occhiuto, esponente delll'Udc calabresea guidare il centrosinistra alle prossime regionali."Il mandato - dice Guccione - che mi era stato dato nell'ultima assemblea regionale del 2 gennaio di esperire tutti i tentati possibili per realizzare un'ampia coalizione, a cominciare dall'Udc, e, una volta verificata tale disponibilità, a sospendere le elezioni primarie, si è realizzato".
P.S. Ci rifiutiamo di credere che quanto riportato qui sia stato fatto con intenti censori, per mettere un argine "conservatore" all'evoluzione "progressista" del PD (e' infatti sulla rete che la perplessita' di gran parte dei sostenitori del PD sulle strategia elettorali sta' "rischiando" di diventare decisiva).

venerdì 15 gennaio 2010

Craxi e Gambadilegno


Vista la trovata del comune di Alessandria di intitolare una strada a Craxi (intitolandone, per compensazione, a una decina di altri personaggi quasi tutti un tantino piu' meritevoli,...e ci vuol poco...), il PD di San Giuliano appoggia la proposta di intitolarne una a Craxi anche a Rimini (qualcuno, ad imperitura memoria, sta ripubblicando le sue lettere). E per, rendere chiaro il concetto, rilanciamo per intitolarne una anche a Pietro Gambadilegno (nella foto).

giovedì 14 gennaio 2010

La Puglia finalmente, il Veneto chissa'


VENEZIA - Corsa solitaria alle prossime elezioni regionali in Veneto per L'Italia dei Valori (Idv), che sosterrà con una propria lista Massimo Donadi alla presidenza. Lo ha deciso il coordinamento regionale del partito di Di Pietro che ha così ufficializzato il "divorzio" dal Pd dopo «aver purtroppo preso atto - spiega una nota - che il Pd sembra ormai procedere con uno schema non condiviso e trattative unilaterali al di fuori di ogni logica di confronto dettate da convenienza soggettiva e scelte tutte interne, di cui gli altri soggetti dovrebbero solo prenderne atto». L'Idv ritiene che «l'elettorato di centrosinistra abbia bisogno di un forte segnale di chiarezza e coerenza» e ha dato mandato al coordinatore regionale Gennaro Marotta di avviare tutte le azioni necessarie per la presentazione alle elezioni regionali di lista con proprio candidato presidente.
Insomma pare che il Pd preferisca l'Udc De Poli a Laura Puppato (che e' del PD). Donadi si chiede: «Come è possibile sostenere chi oggi è al governo con Galan?».
E non e' ancora finita...

BARI - Primarie in Puglia il 30 gennaio tra Nichi Vendola e Francesco Boccia. La notizia non ha ancora i crismi dell’ufficialità, ma l’ipotesi di sbloccare l’intricata matassa ai gazebo, dopo essere stata più volte evocata e poi smentita nelle ultime settimane, sta riprendendo decisamente quota. La situazione si è sbloccata stamattina, quando il pressing di Massimo D’Alema su Pier Ferdinando Casini ha ottenuto un risultato decisivo: il via libera del leader Udc, che ha assicurato che il suo partito starà alla finestra, confidando in una vittoria di Boccia su cui poi confluire in campagna elettorale. In caso di vittoria di Vendola, invece, l’Udc prenderà altre strade: molto probabilmente un apparentamento con il candidato del Pdl o, in subordine, una corsa in solitaria.

mercoledì 13 gennaio 2010

Stavolta che corra Penati, poi pero' basta. E se lo dice il segratario...


Il Pd che Pierluigi Bersani ha in mente sarà più forte nel nord del Paese. "Voglio un partito - ha detto il segretario - che investa il massimo di autorevolezza in questa parte d'Italia". E dopo aver sostenuto la candidatura dell'ex presidente della Provincia, Filippo Penati, alle prossime regionali, Bersani ha annunciato di voler puntare su nuove forze. "Intendo valorizzare - ha concluso - risorse politiche di nuova generazione in questa realtà". Tradotto: "avevo dei debiti (politici) da saldare. Fatto questo, si cambia".
Speriamo davvero. Per vincere.

PARLA IL PRESIDENTE: PRIMARIE PD O SI SNATURA IL PD


Non ha dubbi Rosy Bindi: se il Pd non decidera' la strada delle primarie per i candidati presidenti in Puglia e Lazio potrebbero esservi pesanti conseguenze. "Dalle prossime 36 ore dipendono molte piu' cose di quel che si possa immaginare", ha sottolineato la presidente dell'Assemblea del Pd in un'intervista alla Stampa. Senza primarie, ha ammonito, "rischiamo di snaturare il Pd. Se ci sono degli equivoci meglio chiarirli subito". E quanto al risultato delle elezioni, Bindi non e' pessimista: "Le elezioni regionali andranno meglio di quel che qualcuno ipotizza". Dunque, anche se la situazione in Puglia e' intricata "c'e' assolutamente tempo per rimediare". Per Bindi, "non e' pensabile di immaginare di vincere in Puglia - o di considerarlo un laboratorio politico - rompendo con la sinistra di Vendola". E "la strada per uscirne e' una sola: le primarie". Quanto alla posizione di Pier Ferdinando Casini, "occorre aprire all'Udc, ma va fatto con la lucidita' di chi ha in testa una strategia politica per il futuro" e "nessuno gli ha chiesto di fare il capo del centrosinistra". Anzi. "Io resto convinta che Casini sara' un ottimo capo del centrodestra liberato da Berlusconi", ha spiegato, "Casini e' un alleato fondamentale in questa fase, ma noi non possiamo permetterci di rompere con tutta la sinistra". Stesso ragionamento anche nel Lazio. "E' inutile che stia a ridire la mia stima per Emma Bonino", ha spiegato, ma "se il Pd dovra' sostenerla e' giusto che la scelga in un confronto aperto: altrimenti tutto sembrera' un modo persino troppo evidente per permettere a Casini di sostenerla".

martedì 12 gennaio 2010

Curzio Maltese sulle posizioni del Circolo di San Giuliano

E' bello vedere che l'analisi di Curzio Maltese coincide per larghi tratti con la nostra... Quindi, o siamo davvero molto bravi noi o l'analisi e' davvero banale.

Tutte le piste dell'inguacchio pugliese, come lo chiamano qui, per dire di un inciucio andato male, portano a lui, la volpe del Tavoliere, il leader Massimo (D'Alema). Magari capiva più di politica estera che non d'Italia e forse non ci libererà mai da Berlusconi. In compenso, nel far fuori chiunque gli possa fare ombra nel centrosinistra, D'Alema è sempre infallibile. Uno dopo l'altro, Prodi e Cofferati, Veltroni e Rutelli. Liquidata la pratica nazionale, è tornato nelle sue terre e in un mese ha schiantato i due miti locali, Michele Emiliano e Nichi Vendola. In cambio, s'intende, di un grande disegno. Il professor D'Alema aveva deciso che nel laboratorio pugliese dovesse nascere la nuova creatura del centrosinistra. Un mostro invincibile e un po' Frankenstein, con dieci partiti, una gamba di Casini qua, un braccio di Di Pietro là, un piede comunista e uno ex fascista, innestati sul corpaccione inerte del Pd. Ma il colpo di fulmine che doveva animarlo non è arrivato. Così l'inventore è ripartito sul destriero per Roma, lasciando il fido assistente Nicola Latorre (l'amante delle primarie...) a fronteggiare incendi e forconi. E l'incendio avanza, dilaga. "Al posto del nuovo centrosinistra allargato, si rischia di avere la spaccatura nel Pd, a Bari come a Roma", commentano allarmati i militanti. Di ora in ora s'incarognisce la battaglia fra i candidati, che alla fine potrebbero essere quattro. Due nel centrosinistra, Nichi Vendola e Francesco Boccia, e due a destra, Antonio Distaso, candidato ufficiale del Pdl, e la finiana Adriana Poli Bortone. "Di questo passo" è la sintesi dello scrittore Gianrico Carofiglio "le elezioni di marzo si presentano come un evento dadaista".
Chi avrebbe mai potuto immaginare una simile triste fine per la primavera pugliese. I fatti non contano più nulla. Bari la stanno ammazzando il pettegolezzo e le televisioni. Da un anno la città sta sulle prime pagine per storie di malaffare e cocaina, escort e appalti, e parentopoli. Alla fine gli stessi pugliesi vi si specchiano. Eppure, al netto di scandali tutti ancora da dimostrare, di processi da celebrare chissà quando, Bari e la Puglia rimangono agli occhi di chi arriva l'unico pezzo d'Europa a sud di Roma, l'unica area meridionale non riducibile a una Gomorra di rifiuti, mafie, frane, rivolte, collasso sociale. Lo sanno tutti, a destra e a sinistra. Lo dicono le statistiche, gli indicatori di crescita per cui la Puglia è seconda alla sola Lombardia. Lo vedono gli inviati sull'eterno "caso Bari" come i trecento clandestini sbarcati l'altro giorno dall'inferno di Rosarno nel lindo aeroporto di Palese. Non si capisce allora la ragione di questa guerra balcanica nel centrosinistra. Se non appunto per via della condanna a essere il "laboratorio della politica nazionale". "Un'antica iattura - commenta il sociologo Franco Cassano - Dai tempi di Aldo Moro, giù fino al pentapartito e ora a questa vicenda. È chiaro che la partita era nazionale. Era il segnale di un ritorno al primato dei partiti. Basta Vendola e basta pure Emiliano. Basta con le primarie, che qui in Puglia sono nate, almeno quelle vere. Basta con la cosiddetta società civile. La ricreazione è finita. Un progetto coloniale che qui ha sempre fallito e che considero sbagliato. Ma al quale si potrebbe riconoscere una dignità se almeno fosse stato chiaramente esposto. Invece si è andati avanti a colpi di vertici segreti, trovate tattiche. Il risultato è lo scoppio del laboratorio. Ora se il centrosinistra vuole salvare la faccia deve fare una veloce retromarcia e tornare alle primarie". Primarie, primarie ripetono gli intellettuali pugliesi, ma anche la gente al mercato. E ormai le primarie le vuole anche mezzo Pd romano. "Perché sono nello statuto del partito" ricorda la presidente Rosy Bindi. "Ma prima ancora sono iscritte nel senso comune" aggiunge un pugliese ormai romanizzato come il produttore di cinema Domenico Procacci. La pressione è forte e ieri i delegati dell'area Emiliano, entrati in assemblea per votare a favore di Boccia, sono usciti dicendo "primarie". Nell'imbarazzo dello stesso sindaco Emiliano, che di imbarazzi ne ha avuti e ne ha procurati molti in tutta la vicenda, compresa l'impronunciabile richiesta di una legge ad personam per candidarsi alla Regione. A opporsi è rimasto quasi soltanto Francesco Boccia, che sui manifesti a favore delle primarie ironizza pesante: "La solita sinistra da bere che Vendola si è conquistato con le consulenze in regione. Fare le primarie oggi significa perdere subito l'Udc, quindi il progetto di nuova alleanza". Ma intanto le centinaia di giovanissimi volontari che lavorano per Vendola non hanno l'aria da salotto, le migliaia di messaggi sui web non li paga la Regione. Gli strateghi hanno molto sottovalutato il fenomeno Vendola, che è mediatico prima che politico. Il compagno Nichi è un combattente. L'aveva annunciato fin dalla prima riunione con D'Alema: "Se credete di farmi fuori o che io mi faccia da parte, vi sbagliate. Io vado avanti, farò il martire. Che alla fine, paga sempre". E l'ha fatto benissimo, il martire dell'orrida casta politica, soprattutto in televisione da Santoro. Oggi paradossalmente sembra lui, il governatore uscente, il capo della rivolta contro il palazzo. Vendola ha dalla sua argomenti popolari e contro di lui veti incomprensibili. Perché alla fine non lo vogliono più? Perché Casini, che pure gli testimonia grande stima personale, non vuole Vendola? Perché è gay? Perché è comunista? Oppure perché non vuole privatizzare l'acquedotto pugliese, magari al gruppo Caltagirone? Perché i dipietristi non lo vogliono? Perché non ha cambiato la sanità pugliese? Ma in procura negano di avere nulla a carico del governatore. "Tranne un'intercettazione dove cercavo di "raccomandare" come primario un ex docente di Harvard, vedi che colpa" dice l'interessato. Non sarà allora perché non ha mai dato un assessore all'Idv in giunta? Sospetti, dietrologie. "Le solite fesserie dei giustizialisti" liquida Nicola Latorre. E magari sarà vero. Ma vi sarebbero meno sospetti e dietrologie se il Pd avesse messo in campo un criterio chiaro. Le primarie vanno bene per eleggere il segretario regionale e quello nazionale, ma non per il candidato governatore. L'alleanza con l'Udc è irrinunciabile in Puglia, ma era facoltativa nel Lazio. Non si capisce neppure chi comandi oggi nel Pd, se D'Alema o Bersani (noi, Bersani, lo definimmo il segretario conto-terzi, n.d.r.), che nella vicenda pugliese, dove il partito si gioca la faccia, non s'è ancora mai visto. Oppure magari comanda Casini, tecnicamente segretario di un altro partito, o forse nessuno. L'unica cosa certa è che il laboratorio è fallito e qualcuno deve prenderne atto. Tira aria di ritirata strategica. Il primo a fiutarla è stato Antonio Di Pietro, che ora è pronto a tornare sul nome di Vendola: "Lui o un altro, ma in fretta. O 'sto candidato lo vogliamo scegliere dopo le elezioni?".