martedì 31 agosto 2010

Nord e Sud, un'unità che va ritrovata


Riproponiamo anche noi l'articolo di Galli Della Loggia segnalato dal Ciwati e lo facciamo perche' ci pare emblematico sia per il merito che per il momento storico in cui vien scritto: dicevamo qui che avevamo l'impressione che l'aria (a partire da quella che respiriamo noi, a Rimini) stesse cambiando, forse per il nostro specifico (dagli attacchi sui giornali alla determinazione con cui vogliamo le primarie per la corsa a sindaco, suffragati esplicitamente da Bersani), o forse per la clamorosa deriva del governo o, piu' probabilmente, per la combinazione di tutti questi fattori.

Se anche Galli Della Loggia trova un modo per connotare l'iniziativa del Partito Democratico come decisivo (in questo caso nella sua azione unitaria), e' un altro segno che si aggiunge a una percezione di un crescente consenso che condividiamo. Come abbiamo scritto anche ieri, speriamo che sia solo l'inizio e che l'azione politica segua da vicino il contingente gioco delle alleanze che potrebbe (a insindacabile giudizio di Fini e soci, ahime' e' cosi'...) portare alla fine di questo governo.

di Ernesto Galli della Loggia
Una questione domina su tutte le altre della politica italiana e in vario modo le riassume tutte: il problema dell'unità nazionale, ovvero il problema di come tenere ancora insieme il Nord e il Sud del Paese.È chiaro, per chi sa vedere, che siamo ad uno di quei momenti in cui la politica è chiamata a fare i conti con una vera e propria svolta storica: la fine della prima Repubblica ha significato molto di più di ciò che allora ci è sembrato. Ha significato anche la fine degli equilibri economico-sociali (e della relativa ideologia) che avevano reso possibile e accompagnato la secolare industrializzazione-modernizzazione italiana. Con ciò è giunto ad un suo punto critico anche il secolare patto nazionale la cui forma, risalente al vecchio Statuto Albertino, la Costituzione del '48 aveva, sì, profondamente innovato, ma in un certo senso ripreso e confermato.Il compito che sta ora davanti al Paese è quello di rifondare questo patto. Di rifondare l'unità italiana rinsaldando l'unione tra le due parti decisive della Penisola, il Sud e il Nord. Chi saprà farlo - è facile prevederlo - s'installerà al centro del sistema politico divenendo la forza egemone per un lungo tempo avvenire. Il partito o lo schieramento che vorrà provarci, che aspirerà al ruolo di partito nazionale, dovrà però guardarsi innanzi tutto da un pericolo mortale: quello di apparire (e/o di essere) un partito «sudista» (è il pericolo di cui invece non sembra accorgersi l'Udc, che così perde ogni credibilità «nazionale» cui pure dice tanto di aspirare, dopo che si è proclamata espressamente Partito della nazione). Incorre in tale pericolo qualunque posizione - come quella del partito di Casini, appunto - la quale, lungi dal capire il fondamento reale del «nordismo» (lo chiamo così per brevità) attribuisce invece a Bossi e alla pura e semplice esistenza della Lega l'origine dei problemi; rifiutandosi cioè di riconoscerne e soprattutto capirne la loro sostanza e portata reali. Quasi che, se non ci fossero né Bossi né la Lega, il Nord non creerebbe più fastidi e tutto andrebbe a posto.Non è così. La protesta del Nord si fa forte dell'esistenza di problemi reali (inefficienza dell'amministrazione centrale, scarsità d'investimenti infrastrutturali, livello altissimo della fiscalità, a cui si può aggiungere la meridionalizzazione degli apparati statali): problemi che tra l'altro per una parte significativa non sono specifici del Nord, bensì generali dello Stato italiano, anche se al Nord se ne sente di più il peso. E sta proprio qui, direi, la differenza decisiva con il «sudismo», con la protesta che negli ultimi tempi il Mezzogiorno ha a sua volta mostrato di voler mettere in campo come rivalsa antinordista all'insegna del rivendicazionismo risarcitorio per il proprio mancato sviluppo.Infatti, almeno nella sua vulgata di massa, quella del Sud si presenta come una protesta che non tiene assolutamente conto, non fa menzione neppure, di quello che pure tutti gli osservatori imparziali hanno indicato da decenni come tra i principali, o forse il principale ostacolo di qualunque possibile sviluppo del Mezzogiorno. Vale a dire la paurosa, talvolta miserabile pochezza delle classi dirigenti politiche meridionali, specie locali, protagoniste di malgoverno e di sperperi inauditi, ma che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori.Accade così, che mentre la protesta «nordista» ha corrisposto alla nascita e all'affermazione in loco di una nuova classe politica (quella della Lega), quasi del tutto diversa dal passato e assai polemica verso di esso, comunque la si voglia giudicare; viceversa la protesta «sudista», proprio per questo suo dato di partenza di irrealtà, è disponibile ad ogni uso e già oggi viene inalberata dai più variegati spezzoni e reduci di tutte le formazioni politiche meridionali degli ultimi decenni mentre palesemente si candida a diventare il refugium peccatorum di tutti i trasformismi e gli opportunismi politici che prosperano a sud del Garigliano. In tal modo privando di ogni dignità politica e di ogni futuro le sue pur esistenti ragioni, e condannandosi a rappresentare esclusivamente l'ennesima chiacchiera da comizio.Un partito che oggi volesse avere una funzione davvero nazionale dovrebbe dunque partire da qui. Dal capire senza esitazione le fondate ragioni del Nord e cercare di combinarle con quelle del Sud. Che ci sono, ma non sono presentabili all'opinione pubblica del Paese con qualche possibilità di successo fintanto che non le si strappa dalle mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra, da Napoli a Palermo, nel modo sciagurato che sappiamo.

lunedì 30 agosto 2010

Del doppio cerchio



E' senz'altro vero che non si puo' navigare a vista senza una strategia volta a far cadere, con ogni mezzo, Berlusconi e questo governo "pitreista", ivi incluso sfruttare le sue clamorose spaccature. E' pero' altrettanto vero che allo stesso tempo si deve, appunto, sviluppare la linea politica (che parole antiche, eh...?) di "un'altra Italia" e magari farlo con qualche parola chiave ( "in poche parole, un'altra Italia"... ricordate?)

Gia' la Giovanile ha affrontato l'argomento: le alleanze affascinano senz'altro piu' i dirigenti che gli elettori.
Un po' piu' di politica piacerebbe forse di piu'.

Non si puo' certo chiedere tanto ad un'allenza che (oggi come oggi) dovrebbe andare da Vendola a Casini passando per (non riesco neanche a dirlo...) Fini, ma questo passa il convento: e' bene infatti tenere a mente che solo i voti di Futuro e Liberta' potranno (a loro insindacabile giudizio!) fare cadere questo governo e se dovesse davvero farlo cadere certamente non lo farebbe gratis, ma con una prospettiva precisa... Soprattutto per questo, qualche argomento, per di piu' fortemente strategico anche in termini di marketing elettorale, secondo me scalderebbe il cuore e costituirebbe i tratti distintivi del PD in un futuro che vada oltre le immediate contingenze, magari per vincere le prossime elezioni (visto che prima o poi si votera' e si potra' pure correre il rischio di vincere visti gli scenari) e per fare un'Italia quanto piu' possibile lontana dai 16 anni di Berlusconi che abbiamo vissuto, indipendentemente da Grande Alleanza o vocazione maggioritaria.

Esempi: sul lavoro e sulle relazioni industriali come la pensiamo (su queso blog, per il paradigmatico caso Fiat, abbiamo gia' ammesso la nostra monomaniacalita'...)? Sull'acqua pubblica fino a qualche mese fa dovevamo presentare un disegno di legge in alternativa sia al decreto Ronchi che al referendum, ma non se ne sa piu' nulla (o almeno io non ne ho trovato traccia)? Sulle intercettazioni siamo tutti daccordo? Ma soprattutto, quale legge elettorale proponiamo visto che questa dovra' essere il pilastro del "doppio cerchio"? Quanti sono daccordo con questa (che comunque e' l'unica di cui si sia concretamente parlato)?

Poi aggiungo che vorrei vedere rispolverata quella che fu la Bindi-Pollastrini (o pensiamone un'altra se quella pare datata, ma pensiamola!) in modo da avere un perno su cui incernierare quell'immenso partimonio che laici e cattolici hanno in comune, almeno tra gli elettori del PD, e non lasciare che l'opportunismo clericale che questa destra evoca sempre e solo a comando, ci colga impreparati.

Et in cauda venenum: sull'anomalia del conflitto d'interessi mettiamo un freno alle parole in liberta' di qualche eterno "giovane"!

Intanto, qui sotto, Bersani viene in Emilia Romagna (tra i fedelissimi...) a presentare il "doppio cerchio".

Bersani viene qui, in Emilia, a spiegare meglio il suo disegno. Pontelagoscuro di Ferrara, Reggio, Ravenna, davanti a tutti emiliani come lui. Il segretario del Pd vuole un «nuovo Ulivo», che metta assieme le forze progressiste (dall'Ulivo di Prodi e Veltroni, nel '96, Rifondazione era fuori). E vuole un'«alleanza democratica» con questo Ulivo e con le forze contrarie al berlusconismo e preoccupate per la democrazia. Per fare un governo d'emergenza e anche per un patto elettorale. «Doppio cerchio», lo ha chiamato ieri il segretario. E se l'Ulivo rinnovato si può pensare con Pd, Di Pietro, Vendola, socialisti e pezzi di società civile, l'«alleanza» si allarga all'Udc di Casini, ad aree come quella rappresentata da Montezemolo. Fino a Gianfranco Fini? «Tutti quelli che...», ha risposto il segretario e voleva dire sì, fino anche a Fini, se ci sta a portare fuori l'Italia dalla deriva populista di Berlusconi. E al presidente del Consiglio, che lo accusa di rilanciare «ammucchiate da Prima repubblica», Bersani risponde così: «È lui che pretende di governare con una compagnia che si insulta e si manganella tutti i giorni. La sua è un'ammucchiata».
Bersani arriva sotto il sole di Pontelagoscuro direttamente dalle ferie sarde, asciutto e abbronzato. Nel viaggio in macchina da Roma ha preso mentalmente nota dei consensi arrivati alla sua proposta politica. Gli uomini del suo schieramento e quelli del vicesegretario Letta, e Rosy Bindi, certo, ma anche ex segretari un tempo distanti come Franceschini e Fassino. Un partito alla vigilia dell'autunno tornato quasi compatto. Se si fa eccezione per Giuseppe Fioroni, rappresentante dei cattolici popolari, che teme l'emarginazione della componente moderata dal «nuovo Ulivo». E se si eccettua Walter Veltroni, che martedì sul Corriere si era pronunciato per un Pd alleato solo con chi sottoscrive un programma comune e contro «sante alleanze».
Quali differenze restano fra il suo percorso e quello di Veltroni? Bersani (che a Tremonti dice che «farebbe meglio a citare meno Berlinguer e a rispettare la 626», la legge sulla sicurezza definita «un lusso») riflette e risponde: «Credo che attorno alla mia proposta del "doppio cerchio" si possa riconoscere tutto il partito». Sia Veltroni sia Bersani pensano che se ci sarà la crisi del governo Berlusconi, ci vorrà un esecutivo di emergenza allargato a ogni oppositore. Sul dopo, Veltroni punta ancora sulla vocazione maggioritaria del Pd con pochi partner «riformisti», Bersani sull'alleanza ampia. «La vocazione maggioritaria - ha detto ieri il segretario - è quella del fratello maggiore. Il Pd è il fratello maggiore di tutte le forze che si oppongono a Berlusconi».
Poi, ci sono le valutazioni degli esterni, possibili alleati futuri del Pd. Dice Casini che «è positiva l'intenzione di Bersani di riorganizzare l'area della sinistra democratica». «Contento», si dice Di Pietro, che Bersani voglia ricostruire un nuovo Ulivo, ma prima, a suo parere, occorre «passare per le urne».

sabato 28 agosto 2010

Lepanto 2010




Visto il successo (sara' vera gloria?) che sta riscuotendo la Grande (Santa?) Alleanza, vediamo di mettere un pò di carne al fuoco e sperare che comunque vada come a Lepanto (e pure un pò meglio, và...).

venerdì 27 agosto 2010

Romanzo epistolare


Alla lettera di Veltroni fa eco la lettera di Bersani.
Alla vocazione maggioritaria fa eco la Grande Alleanza.
Ce ne sarebbe da discutere, no?

Commenterei, alla larga, riportando una battuta trovata in rete:

Domani mi aspetto sulla Gazzetta dello Sport la lettera di Mastella: "Anch'io ho qualcosa da dire, tre anni fa mi esclusero dal governo. Se non ci fosse stata quell'inchiestina malevola oggi saremmo qui a governare...".

giovedì 26 agosto 2010

Quegli errori da evitare


So che sembriamo monomaniacali sulle vicende di Fiat di queste settimane, ma a noi pare davvero un passaggio politicamente critico. Dico politicamente a partire dalla perftta sottolineatura che Tito Boeri traccia qui di seguito (ieri mattina su Repubblica). Infatti il problema dell'eventuale dipartita di Fiat dall'Italia non puo' essere il punto, il punto piuttosto e' un'azione politica (quella invocata dal Presidente Napolitano) volta a quello sviluppo industriale, a partire dalle relazioni che lo regolano, che in Italia questo governo sta irresponsabilmente ignorando (ricordiamo che ancora non c'e' un ministro al posto di Scajola, l'interim ce l'ha ancora Berlusconi). Quando sento parlare di crisi della politica a partire da questi passaggi, mi ribolle il sangue: non e' crisi della politica, e' solo politica classista e pure cialtrona.

di TITO BOERI

Il Presidente Napolitano ha chiesto alla Fiat 1 di rispettare le sentenze e quindi di reintegrare a tutti gli effetti i tre lavoratori prima licenziati e poi riammessi solo formalmente senza poter esser messi in condizione di lavorare.Nel ricordare opportunamente i principi cardine di uno stato di diritto, il capo dello Stato ha auspicato che si creino le "condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". Perché il Presidente ha inteso riferirsi a questioni di portata così generale anziché limitarsi al caso specifico dei tre lavoratori che lo avevano interpellato? E perché Fiat ha affrontato uno scontro così duro a Melfi, incorrendo nella censura della massima autorità dello Stato, in un momento in cui in Italia, a Pomigliano, sono in gioco accordi ben più importanti per il suo futuro? Marchionne è oggi impegnato nella realizzazione di un piano industriale ambizioso che, come negli Stati Uniti, richiederà la massima collaborazione dei lavoratori. Perché allora apre un nuovo terreno di conflitto che ricompatta il sindacato e che schiera anche l'opinione pubblica, gran parte della stampa e la stessa classe politica dalla parte dei tre lavoratori che dovevano essere reintegrati?

Alcuni hanno parlato di mobbing, un tentativo di convincere i lavoratori ad autosospendersi, a lasciare volontariamente l'azienda. Anche nelle squadre di calcio i "lavoratori" in esubero, indesiderati, vengono costretti ad allenarsi a parte, non possono lavorare assieme al gruppo. Formalmente per non contaminare il morale degli altri. In verità per convincerli ad andarsene e risparmiare così sui loro ingaggi. Ma se la famiglia Agnelli si occupa oggi quasi esclusivamente della Juve, e tenderà a farlo ancora di più dopo lo scorporo che ne diluisce la quota di controllo in Fiat-auto, la multinazionale Fiat ha oggi strategie che vanno ben al di là del problema di tre lavoratori in uno dei suoi impianti. Oggi Marchionne può permettersi di scegliere il sistema di relazioni industriali e il sistema prevalente in Italia proprio non gli va. Come presumibilmente non va bene a molte altre aziende che potrebbero investire da noi e che non lo fanno. Il fatto è che non esiste in Italia un sistema di relazioni industriali che vincoli al rispetto di un accordo raggiunto prima di realizzare un grande investimento, prima di costruire un nuovo impianto. Fiat vuole tutelarsi contro il rischio che l'accordo raggiunto a Pomigliano possa essere vanificato una volta che l'azienda ha realizzato l'investimento, rinunciando a farlo in altri paesi. Non vuole trovarsi in una condizione in cui una minoranza di lavoratori possa indire uno sciopero per rimettere in discussione i contenuti dell'accordo siglato prima di realizzare l'investimento. Bloccando la produzione che, in uno stabilimento fortemente automatizzato, può essere interrotta avvicinandosi a uno dei radar che costellano la catena di montaggio. È quanto, secondo l'azienda, sarebbe avvenuto a Melfi, quando i lavoratori hanno convocato un'assemblea lungo il ciclo di produzione avvicinandosi troppo ad un sensore "allo scopo di bloccare la produzione". Un sistema di relazioni industriali deve essere in grado di prendere impegni vincolanti per le parti. Questo è un presupposto perché ci sia contrattazione, perché i lavoratori possano far valere le loro ragioni. Se non c'è modo di impegnarsi in modo credibile, non ci sarà l'accordo, dunque non ci sarà l'investimento. Cosa fareste voi sapendo che un vostro potenziale assicuratore può ridiscutere i contenuti della polizza che state negoziando, riducendo la protezione che vi ha offerto quando avete pagato il premio assicurativo, una volta che avete avuto un incidente? Scegliereste un altro assicuratore in grado di impegnarsi al rispetto dei contenuti della polizza sottoscritta. Un sistema giudiziario in uno stato di diritto serve a permettere che i contratti vengano rispettati. Per questo Fiat ha commesso un grave errore nel non applicare la sentenza di primo grado, anziché limitarsi a cercare di far valere le proprie ragioni in un successivo grado di giudizio. Ma il problema rimane. Come quello affrontato a Pomigliano, dove la Fiat ha scelto di creare una nuova società per assicurarsi il rispetto di un contratto aziendale che avrebbe altrimenti potuto essere impugnato se riconosciuto in violazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, applicabile alla "vecchia compagnia". Anche questo è un problema che non può essere ignorato. Il fatto è che il nostro sistema di relazioni industriali funzionava finché c'era un'intesa di fondo fra i diversi sindacati e quindi gli accordi da questi sottoscritti impegnavano tutti i lavoratori. Funzionava anche quando le aziende di una categoria avevano esigenze relativamente simili e quindi contratti sottoscritti a livello nazionale per un insieme di aziende non troppo diverse tra di loro erano adattabili alle diverse realtà aziendali. Oggi queste due condizioni non ci sono più. Il sindacato è diviso al suo interno e le aziende presenti nel nostro paese hanno esigenze talmente diverse che si fatica a chiudere i contratti a livello nazionale. Basti pensare che l'accordo normativo per i metalmeccanici risale addirittura al 1972, come ha ricordato Pietro Ichino. Per questi motivi raccogliere l'invito di Napolitano a un "confronto pacato e serio", significa varare rapidamente una legge sulle rappresentanze che permetta ai lavoratori, azienda per azienda, di scegliere i loro rappresentanti, offrendo a questi ultimi la possibilità di impegnarsi al rispetto delle intese raggiunte. Nel caso in cui l'accordo non piaccia, i lavoratori potranno cambiare i rappresentanti alle successive elezioni aziendali. Per questi motivi un ministro del Lavoro che ha fatto di tutto per dividere il sindacato deve oggi prendere atto della vera natura del problema, imponendo che il tema delle rappresentanze venga inserito nell'agenda di fine legislatura. Deve anche ammettere nei fatti che quello "storico accordo" del 22 gennaio 2009 sulle nuove regole della contrattazione non è palesemente in grado di governare "l'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". E' tempo allora di riaprire il tavolo sulla riforma del sistema di contrattazione, facendo di tutto questa volta perché un accordo vero venga trovato. Vero significa anche che deve impegnare chi poi dovrà applicare queste regole, a partire dalla Cgil, il sindacato che oggi ha il maggior numero di iscritti.

mercoledì 25 agosto 2010

My friend, Sergio


Nel cuore dell'estate, il sito della Giovanile Democratica riminese ha postato una bella riflessione a commento di un pezzo di Luciano Gallino sulla condotta sindacale (o antisindacale?) di Fiat. Oggi Gad Lerener su Repubblica si rifaceva in qualche modo alle conclusioni di Gallino (in soldoni, Fiat vuole andare allo scontro che avere un alibi per andarsene dall'Italia) sottolineando come la distanza tra la Fiat di Valletta, (A.D. negli anni '50, nei quali le ritorsioni antisindacali furono epocali) e quella di Marchionne sia abissale. L'analisi è secondo me particolarmente acuta nel notare come negli anni '50 si era costretti a tener conto di fattori contigentemente storici (un mondo bipolare, riconverisione post-bellica, diritti) mentre oggi Marchionne può tranquillamente operare in beata solitudine. Il che non vuol dire che sia più facile (anzi, la gestione aziendale in scala globale sicuramente non è uno scherzo), ma vuol dire che l'assordante silenzio del governo gli lascia tutto lo spazio di manovra che richiede (la dice lunga che l'unico a parlare dell'argomento sia stato Matteoli: avanti, chi sa dire, così su due piedi, di cosa è il ministro Matteoli...? Vabbè, comunque, è il Ministro delle infrastrutture e trasporti...). Inutile aggiungere le dichirazioni di Bossi secondo cui Fiat dovrebbe salvare solo la produzione piemontese: siamo alle barzellette.
E' proprio questo orizzonte privo di condizionamenti a essere il tratto decisivo della vicenda Fiat Melfi-Pomigliano, o meglio, l'elemento nuovo è la possibilità di Marchionne di agire con la mera gestione aziendale come unico orizzonte cui far fede. La strategia ipotizzata da Gallino, per quanto pienamente plausibile, a me pare sovradimensionare la visione dell'azienda. Fiat vuole uscire dall'Italia? E allora cosa fa? Sceglie uno scontro, evidentemente pretestuoso, con 3 delegati Fiom, ottenendo un'ondata di impopolarità e indignazione che da molto tempo non si vedeva? Io non credo proprio... Per dismettere uno stabiliemento (e spostare la produzione altrove) basta molto meno, leggi Thyssenkrupp. L'unico stabilimento destinato alla chiusura inesorabile è Termini Imerese e lo è esclusivamente per motivi di capacità produttiva e non per motivi di condizioni contrattuali.
Se agisce così è solo perchè, molto più semplicemente, ha ora, grazie alla latitanza del governo, mano libera per intimidire tutti i suoi dipendenti e le organizzazioni sindiacali (anche quella Cisl il cui leader è stato in odore di elevazione a ministro...) e rendere le condizioni contrattuali, diciamo così, quanto più omogenee al resto degli stabilimenti del gruppo nel mondo.

Oggi a visitare gli stabilimenti di Toledo, stato dell'Ohio (Stati Uniti) c'è andato (con tutto quello che significa) il vice presidente Joe Biden. Così, per dire.

martedì 24 agosto 2010

COME VA L'ECONOMIA: NOTIZIE SPARSE DI AGOSTO


Alberto Rossini ci segnala quanto segue.

Da La Voce.info
di Francesco Daveri 09.08.2010

Capire cosa succede all’economia di un paese è complicato. Ma di certo non si può affermare, come hanno fatto di nuovo i media nei giorni scorsi, che la produzione industriale e il Prodotto interno lordo sono ai massimi quando i dati dicono che siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi. E non si può guardare al superindice Ocse solo quando dà buone notizie.
Perfino da sotto l’ombrellone o dalla cima di una montagna un utente dei media italiani potrebbe porsi la domanda: l’economia va bene? O almeno, se non va ancora bene, va meglio? Ecco una sequenza di titoli presi da vari giornali e Tg che potrebbero orientare la risposta.


NOTIZIE SPARSE DI INIZIO AGOSTO
Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2010: “Sono aumentate del 9,8 per cento a luglio le richieste di cassa integrazione rispetto a giugno. L'incremento è attribuibile all'aumento di ore autorizzate per cassa integrazione straordinaria. L’Inps sottolinea la forte ciclicità del dato“Tg 1 e Tg2, La Stampa e il Messaggero del 6 agosto: “Produzione industriale +8,2, al top dal 2000”Tutti i giornali e i Tg del 6 agosto: “Istat: pil in crescita dell'1,1 per cento in un anno. L'incremento annuo del Pil è il più alto dall'inizio della crisi”I titoli riportati sopra ci aiutano a rispondere alle domande su come va l’economia? A mio parere, no. Un po’ il mondo è complicato: il mercato del lavoro risponde con ritardo all’evolversi dei fatturati e delle vendite delle aziende. Il che rende a volte inevitabile l’alternarsi di notizie apparentemente contraddittorie. Un po’ è che i dati sono pubblicati in modo sfalsato: i dati sul Pil (relativi al secondo trimestre 2010) escono in ritardo rispetto a quelli sulla Cig (di luglio 2010) e sulla produzione industriale (di giugno 2010). Anche questo porta all’alternarsi di notizie contrastanti a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. Ma c’è anche che i media non fanno abbastanza per aiutarci a capire. Provo a spiegare.


PRODUZIONE INDUSTRIALE, PIL E MERCATO DEL LAVORO Come già scritto tre mesi fa in un precedente articolo, la produzione industriale di oggi è lontana dall’essere ai massimi (allora si diceva dal 2006, oggi ci si spinge fino al 2000). Era ai massimi nell’aprile 2008 (valore dell’indice: 109.2). Oggi (giugno 2010) è a 88.5. Ha toccato il minimo di 80.4 nel marzo 2009. Il +8 virgola qualcosa che registra l’istat per il giugno 2010 è rispetto al dato di giugno 2009, che era ancora un dato molto vicino al minimo del marzo 2009. Per un’altra volta, un titolo più equilibrato per la notizia sarebbe stato: “Industria, prosegue il recupero” oppure, se il dato congiunturale (mese corrente sul mese precedente) è particolarmente buono: “Industria, accelera il recupero”. Un modo equilibrato di dare la notizia (né da corvi né da pigri) suggerirebbe di raccontare che nell’economia italiana (a) le cose vanno meglio ma (b) siamo lontani dall’aver recuperato i livelli pre-crisi. Avevamo perso 29 punti di produzione industriale, ora ne abbiamo recuperati 8, circa il 28 per cento. Manca ancora il 72 per cento.Cose simili potrebbero dirsi per il Pil. Sotto riporto i dati relativi al livello del Pil trimestrale a valori concatenati (vuol dire che si toglie l’inflazione) dal trimestre precedente all’inizio della crisi e il suo grafico dal 2000, nel quale per comodità di lettura il livello del Pil è stato posto uguale a 100 nel 2000. Il tutto copiato e incollato dal comunicato dell’Istat.


E NEI PROSSIMI MESI? Un’altra domanda (la gente sotto l’ombrellone e in cima alle montagne non ha molto da fare) potrebbe essere: e nei prossimi mesi le cose andranno ancora meglio? Qui, volendo fare un po’ di informazione estiva si potrebbe guardare a come va un indicatore che circa un anno fa era improvvisamente diventato molto popolare quando si trattava di annunciare il più presto possibile che la crisi era finita. Si tratta del super-indice Ocse, un indicatore riassuntivo di tante variabili (come ordini industriali, aspettative di consumatori e imprese, prezzo del petrolio, condizioni del credito) che di solito prevedono con un anticipo di circa sei mesi come andrà il ciclo economico. Proprio il 6 agosto, tra l’altro, l’Ocse ha pubblicato l’aggiornamento sull’evoluzione di questo indice.Ecco le prime righe del comunicato Ocse: “OECD composite leading indicators (CLIs) for June 2010 point to a possible peak in expansion. The CLI for the OECD area decreased by 0.1 point in June 2010. The CLIs for France, Italy, China and India all point to below trend growth in coming months, whilst the CLI for the United Kingdom points to a peak in the pace of expansion. Stronger signs of a peak in expansion have also emerged in Brazil and Canada, and in the United States the CLI has turned negative for the first time since February 2009. The CLIs for Japan and Russia point to future slowdowns in the pace of expansion but for Germany the CLI remains relatively robust.”Il grafico dell’indice per l’Italia è qui sotto. La svolta c’è stata tra febbraio e marzo 2010. L’indice segnala quindi cattive notizie per il terzo trimestre 2010.
Il grafico dell’indice per l’Italia è quello all'inizio dell'articolo. La svolta c’è stata tra febbraio e marzo 2010. L’indice segnala quindi cattive notizie per il terzo trimestre 2010.

Più in generale, il superindice Ocse indica nubi in addensamento per i mesi a venire. Per ora i segnali sono piccoli. Francia e Italia, che l’indice aveva più o meno correttamente indicato più di un anno fa come i primi paesi che sarebbero usciti dalla recessione, sono indicati come i paesi in cui potrà verificarsi presto un “downturn” (flessione). Flessione è meno di recessione, perché potrebbe essere solo un episodio di crescita negativa e non una sequenza. Peraltro ci sono brutte notizie anche per gli Usa e per Cina e India. Buone notizie solo per la Germania. Il problema dei prossimi mesi sarà quindi se la Germania potrà fare la locomotiva dell’Europa (e del mondo) se il resto del mondo rallenta e se, per quanto ci riguarda, gli esportatori italiani - che per ora hanno portato sulle loro spalle il Pil – riusciranno a fare nuovi miracoli nei prossimi mesi.I media italiani – concentrati sui commenti alle magnifiche e progressive sorti del Pil e della produzione industriale – si sono dimenticati di riportare questi dati e quindi non ci aiutano a riflettere su questi temi. L’anno scorso invece ad esempio il Sole 24 ore del 7 agosto 2009 e anche i Tg titolavano: “Segni di miglioramento nel superindice Ocse”. Nella migliore delle ipotesi sembra che sotto l’ombrellone o in cima alle montagne non ci siano solo i lettori ma anche quelli che fanno i media. Un’altra possibilità è che prevalga un’atmosfera tipo “non disturbare il manovratore”. E’ troppo chiedere più passione per i dati e meno “tifo” a chi diffonde l’informazione economica?

lunedì 23 agosto 2010

Ramble on




Vagabondiamo. Tra i 5 punti di accordo usciti dal vertice di sabato della maggioranza più inquisita della storia (tangentopoli era Disneyland al confronto) nemmeno viene citato il lavoro e la disoccupazione. Nulla di nuovo, questa destra governa cosi'. E il dissenso, questa destra pitreista, lo intimidisce con i dossier passati ai giornali di famiglia. Berlusconi governa cosi'. Tanti leggono la stasi di oggi più con il timore di Berlusconi per le elezioni (vedi l'Unita' di domenica) che non con il senso di responsabilita' che invece giustamente il Partito Democratico invoca. E lo invoca a partire dalla crisi economica che il governo nemmeno intende affrontare. Cio' nonostante, il vagabondaggio estivo restituisce un dato nuovo. Almeno in citta', la musica e' cambiata.


Saranno stati i primi effetti delle scelte del nuovo corso Pd a partire dalla "blindatura delle primarie" (ci saranno Andrea Gnassi e Nando Fabbri? O magari chi altri ancora?), sara' il redde rationem tra finiani e berlusconiani o forse ancora la nemesi innescata a Rimini da una parte della stampa ad alzo zero su Emma Petitti (per certi versi simili, seppur con altri soggetti ma con il medesimo risultato, a quanto gia' visto nei mesi che hanno preceduto il congresso), ma come dicevamo, l'aria e' cambiata.


Per come la si percepisce, se si dovesse mai andare a votare nel breve volgere di qualche settimana (penso all'irresponsabile ipotesi di elezioni anticipate), io credo che Rimini ci restituirebbe un risultato per il Partito Democratico fino a oggi forse insperato (del tutto indipendentemente dal risultato nazionale).


Se e' vero che la campagna elettorale sara' necessariamente intensa e "tutta da fare", se le primarie che la precederanno saranno le prime della storia riminese (grazie a Lino Gobbi e, appunto, a Emma Petitti che le hanno innescate e fortemente difese), se e' vero che il trend morettianamente negativo del Pd di tutta l'Emila Romagna sembrava inquietare senza che ricette adeguate venissero azzardate con coraggio, e' altrettanto vero che ora sta prendendo corpo quella percezione "nuova" del PD riminese che dicevamo, l'idea cioe' che quelli che per qualcuno sono ancora i paradisi perduti delle decisoni nelle stanze chiuse sia acqua (finalmente) passata, che una nuova fase sia finalmente (e faticosamente!) avviata.


Io credo che tutto cio' voglia dire che era di questa svolta che la gente aveva voglia e forse bisogno.

giovedì 19 agosto 2010

Voi siete qui - La newco del mondo libero


Di nuovo sulle strategie di Fiat riproduciamo un pezzo pubblicato da Alessandro Robecchi. Sarebbe ironico se non fosse drammatico.


Grazie alle nostre talpe nella sede centrale Fiat, a Detroit, siamo giunti in possesso dei futuri piani di sviluppo dell’azienda americana. Eccoli.
La Fiat Lapa, burinissima e riconoscibile dai tatuaggi sulle portiere, verrà prodotta nel Borneo meridionale. L’accordo prevede sgravi fiscali per i prossimi duemila anni ad aziende guidate da figli di scrittori imbolsiti il cui nome cominci per E e finisca per lkann. Per ogni operaio assunto, il governo darà alla Fiat l’equivalente di ottomila dollari in banane. Marchionne si è mostrato interessato. Il Corriere della Sera ha lodato la maturità dei sindacati locali.
La Fiat Kakka, la monovolume di forma cilindrica allungata, sarà prodotta in Corea del Nord. I sindacati nordcoreani sono entusiasti per il salto di qualità salariale dei loro iscritti: “Una banana al mese per una famiglia nordcoreana è come vincere al totocalcio”. I turni di lavoro di 32 ore consecutive con una pausa per il bagno di ventisei secondi sono considerati lussi occidentali, “esagerati” secondo La Stampa di Torino.
La Fiat Sòla, la macchina sportiva per fughe veloci, si produrrà molto probabilmente in Brasile. Il governo si impegna a fornire alla Fiat sgravi fiscali, soldi in contanti per ogni operaio assunto e incentivi per tutti i manager con la panza che si presentino in maglione anche se ci sono 54 gradi all’ombra. Tutto in anticipo, così quando Fiat dirà che non se fa più niente, avrà già incassato un discreto gruzzoletto e potrà annoverare la Fiat Sòla tra i suoi successi.
La Fiat Panda. Dovevano farla a Pomigliano, ma disgraziatamente il sindacato non è collaborativo come quello di Pyongyang. In linea con lo stile Fiat, chiuderà anche Mirafiori e il nuovo modello si costruirà in Serbia, con un nuovo nome. Si chiamerà Fiat Rappresaglia: per ogni macchina costruita si licenzieranno quattro lavoratori italiani. I rastrellamenti sono già cominciati a Termini Imerese e risaliranno la penisola nei prossimi mesi.

martedì 17 agosto 2010

Godiamoci queste vacanze “volatili”


di Loretta Napoleoni


È tempo di vacanze e l’Europa è intenta a fare i preparativi per raggiungere mari e monti sullo sfondo dell’onnipresenza della recessione economica. Non è infatti vero che l’economia occidentale ha girato l’angolo e che il Pil mondiale ha ripreso a salire, come sostengono alcuni governi. Le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale per l’Europa, annunciate pochi giorni prima dei risultati dei test sulla solvibilità delle banche, parlano di una crescita anemica di appena l’1%. I dati sfornati a luglio negli Stati Uniti - la vecchia locomotiva economica del mondo – parlano chiaro: da quelli sulla disoccupazione a quelli dell’industria immobiliare mostrano una ripresa dalla recessione. La tanto temuta lettera W sta per diventare il simbolo dell’andamento di una crisi con due picchi e due valli. E da un paio di mesi l’occidente scivola inesorabilmente lungo la seconda. Persino la Cina, la moderna locomotiva dell’economia mondiale, si è inceppata. Il rallentamento della crescita economica di questo paese, previsto per il 2010 ed il 2010, contribuisce a rafforzare lo scetticismo riguardo alla ripresa mondiale. Per quasi tre anni, l’economia cinese ha sostenuto quella mondiale continuando a consumare una quantità ingenti di materie prime per modernizzare il paese e producendo prodotti a basso prezzo, che hanno frenato la caduta della domanda mondiale. Ebbene anche in questa fucina economica l’attività sta rallentando.Viene spontaneo chiedersi se al ritorno dalle vacanze ci aspetta un autunno di lacrime e sangue, anche perché le prime conseguenze dei programmi di austerità varati dai governi occidentali, molti con la supervisione del Fmi, si faranno sentire in autunno. Dalla Grecia fino al Portogallo, dalla Gran Bretagna all’Italia, i primi a rendersene conto saranno gli operai. Mentre i dipendenti pubblici vedono allontanarsi la meta della pensione di qualche anno, gli operai perdono il lavoro. E sicuramente la disoccupazione e’ il tallone d’Achille di questa recessione, come lo fu della Grande depressione. Lo sostiene ormai gran parte degli economisti mondiali. Tra le critiche più agguerrite alle politiche anticongiunturali dei paesi occidentali c’e’ la visione a breve termine che ha portato politici come Obama a cercare di risollevare un’economia in caduta libera a causa del debito indebitandosi ulteriormente. Gli europei sono stati costretti a fare marcia indietro solo perché lo spettro dell’insolvenza della Grecia ha minacciato la moneta comune. Ed adesso si trovano in un vicolo cieco dal momento che i tagli imposti non solo aumenteranno i tassi di disoccupazione, che in Europa hanno già raggiunto il valore medio de 10%, ma rischiano di falciare le gambe alla ripersa economica.Sul fronte finanziario la volatilità è ormai diventato l’aggettivo che meglio descrive il funzionamento dei mercati. Quelli delle monete si sono trasformati in gigantesche montagne russe dove le quotazioni dei tassi si muovono come vetture impazzite. Anche i mercati azionari ed obbligazionari sono in preda all’incertezza e questo conferma l’esistenza di ingenti quantità di denaro che al momento non sanno bene dove ubicarsi. La Svizzera ne è diventata uno dei ricettacoli più sicuri e, dato che in autunno la volatilità, anche le tendenze a rivalutare il franco si faranno sempre più pressanti. Austerità, disoccupazione, crescita anemica e volatilità, ecco cosa ci aspetta dietro l’angolo. E mentre nel Vecchio continente operai ed impiegati pubblici scenderanno in piazza per protestare, nel sud del mondo il commercio tra i Paesi Bric quello tra sud-sud continuerà ad aumentare, conquistando un’altra fetta di mercato globale che un tempo apparteneva all’occidente. Godiamoci allora queste vacanze, che probabilmente saranno sicuramente memorabili anche perché potrebbero essere le ultime per un lungo periodo!

domenica 15 agosto 2010

Buon ferragosto



Da una grigliata, che mi è tornata in mente, così.


«Ah, la mossa di Fini…»

«Cioè, avete paura del fascismo? Dopo quindici anni di Berlusconi?»

«Fini è uno furbo.»

«Fini è un coglione.»

«Fini è Fini.»

«Siamo un paese di borboni, di burocrati, di arraffoni, qualcuno crede che si possa fare politica?»

«Quel cestino di pane ha più leadership di Vendola.»

«Perché, ve lo immaginate Fini con le Carfagna, le Gelmini, le Brambilla? Con Tremonti?»

«La colpa è della Fiom.»

«Ma lo sanno tutti che in Italia il bipolarismo non esiste, c’è solo una specie di unica roba, ormai neanche più al centro.»

«Almeno la Dc ci ha fatto diventare da poveracci a settima potenza del mondo. Era la settima, no?»

«Fini non mi dispiace.»

«Fini ora come ora mai, ma magari, con un Montezemolo…»

«Tanto se si torna a votare vince Berlusconi.»

«L’unico, in questo paese, è Marchionne. L’unico.»

«E Bersani? Mamma Bersani…»

«Il Trota è un mito della sinistra. Dei giornali di sinistra. Dei giornali fighetti di sinistra.»


«Mi passi quella salsiccia, per favore?»


di Mattia Carzaniga

sabato 14 agosto 2010

Da Fiat-Chrysler a Chrysler-Fiat


Fiat, trimestre rosa per Chrysler. E Marchionne alza il target 2010
L'azienda archivia i mesi da aprile a giugno anche con il calo delle perdite e dell'indebitamento netto. Marchionne: "Impossibile non alzare gli obiettivi, il Gran Cherokee è il veicolo migliore della storia della casa di Detroit"

NEW YORK - Chrysler archivia il secondo trimestre con un utile operativo di 183 milioni di dollari, in crescita del 28% rispetto ai primi tre mesi dell'anno. Lo comunica la società, sottolineando che i ricavi sono risultati pari a 10,5 miliardi di dollari, in aumento dell'8% rispetto ai tre mesi precedenti. Nel secondo trimestre Chrysler ha inoltre ridotto le perdite a 172 milioni di dollari contro i 197 milioni del primo trimestre. Gli obiettivi finanziari per il 2010 "rimangono invariati (incluso il break even operativo), ma saranno probabilmente rivisti al rialzo sulla base dei risultati del terzo trimestre 2010".


Rialzo del target. Un rialzo che da possibile diventa in breve sicuro. La conferma arriva dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, durante la conferenza stampa a commento dei dati diffusi oggi. Considerando i risultati del secondo trimestre, che hanno messo in luce "numeri importanti", ha detto Marchionne, "è "matematicamente impossibile" non ritoccare al rialzo gli obiettivi per il 2010. L'andamento del gruppo Chrysler, continua Marchionne, dovrebbe migliorare nel 2011.Il nuovo Grand Cherokee, è "il veicolo migliore prodotto nella storia di Chrysler", ha continuato l'amministratore delegato, sottolineando che il colosso di Detroit ha finora ricevuto "70.000 Ordini per la vettura". Per fare fronte alle richieste, la società sta "valutando se aggiungere un terzo turno di lavoro all'impianto di assemblaggio cherokee assembly".


I dati. A fine giugno, la disponibilità di cassa è aumentata a 7,8 miliardi di dollari, 7,367 miliardi dei primi tre mesi, grazie al contributo positivo del cash flow del secondo trimestre di 474 milioni di dollari. Chrysler - precisa la nota - ha ancora a disposizione linee di credito per 2,3 miliardi di dollari dal Tesoro americano e dai governi del Canada e dell'Ontario, il che porta la "liquidità disponibile oltre i 10 miliardi di dollari". L'indebitamento netto industriale è stato ridotto a 3,4 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre la quota di mercato di Chrysler negli Stati Uniti è salita al 9,4% dal 9,1% dei primi tre mesi."L'utile operativo nel secondo trimestre", afferma Marchionne, "conferma che il gruppo Chrysler sta procedendo in linea con gli obiettivi annunciati il 4 novembre 2009, fermo restando il fatto che uno straordinario lavoro si prospetta davanti a noi". L'Ad sottolinea poi che "secondo le attese, il 2010 si sta concretizzando come un anno di transizione e stabilizzazione. Il gruppo deve continuare il proprio percorso di crescita con rigore, massima disciplina e focalizzazione sugli obiettivi".Il gruppo, dice l'Ad, "deve continuare il proprio percorso di crescita con rigore, massima disciplina e focalizzazione sugli obiettivi". I dati Chrysler hanno avuto ripercussioni immediate sulle azioni Fiat a Piazza Affari. Il titolo, in salita per tutta la mattinata fino a superare quota 10,43 euro, ha subito una brusca inversione dopo la diffusione dei dati sui conti Chrysler, finendo per perdere l'1,95% a 10,01 euro.


Da Repubblica del 10 agosto

venerdì 13 agosto 2010

Addio acqua del sindaco


A Milano. Il decreto Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici sta per entrare in Lombardia. Il servizio di erogazione dell'acqua finirà nelle mani di tante società miste, controllate al 60% dalle singole Province. Le restanti quote azionarie saranno però messe sul mercato attraverso gare pubbliche, con la possibilità, tutt'altro che remota, che anche i privati entrino nel business dell'acqua. La liberalizzazione è pronta. La Regione Lombardia approverà in giunta prima dell'estate la nuova legge che recepirà le direttive del decreto Ronchi. Materia complicata, quella della gestione e dell'erogazione dell'acqua dei rubinetti. Il quadro legislativo è complesso e in continua mutazione. C'è il decreto Ronchi, ma c'è anche la bocciatura arrivata dalla Corte costituzionale alla precedente legge regionale. Un vuoto normativo a cui il Pirellone porrà rimedio già nelle prossime settimane. Ieri l'assessore all'Ambiente Marcello Raimondi ha incontrato i presidenti delle province lombarde per concordare le linee-guida della prossima legge regionale.
Lo schema di partenza è confermato: ci sarà un soggetto gestore, la Provincia, che sostituirà gli Ato, le agenzie territoriali destinate a immediata scomparsa, e ci sarà poi un soggetto erogatore. La liberalizzazione imposta da Ronchi interverrà proprio qui: si creeranno, in pratica, tante società miste controllate dalle singole Province che dovranno però affidare, attraverso gara pubblica, la gestione del restante 40% del pacchetto azionario. L'opposizione di centrosinistra è scettica. «L'acqua - dice il capogruppo pd in provincia Matteo Mauri - è un bene raro e da preservare. Oggi più che mai deve diventare un diritto universale da garantire a ciascun individuo e in quanto tale non deve essere soggetto alle dinamiche di mercato e il suo servizio non deve essere determinato esclusivamente dall'incontro di domanda e offerta. Vigileremo e faremo la nostra parte fino in fondo per impedire che si privatizzi una risorsa così preziosa».
Anche in Comune ieri s'è parlato di acqua e dei suoi costi. Dopo l'aumento di sei centesimi al metro cubo (da 0,54 a 0,60) decisa settimana scorsa, il piano tariffario prevede un ulteriore ritocco di due centesimi per l'anno prossimo. «Ma nel 2027 - hanno assicurato l'assessore al Bilancio Giacomo Beretta e il rappresentante dell'Ato - l'acqua milanese costerà soltanto 0,72 centesimi». Soddisfatto il verde Enrico Fedrighini: «Il piano di investimenti sulla rete idrica pubblica milanese presentato in Commissione rappresenta una risposta credibile alle spinte legislative della Regione verso la privatizzazione del settore». Dall'acqua alle auto. Ieri i presidenti della Province lombarde si sono incontrati a Palazzo Isimbardi per parlare (anche) degli effetti della manovra di Tremonti. Al governo chiedono per il futuro fonti d'entrata certe e stabili. La riscossione del bollo auto, per esempio, da sfilare alle Regioni e da affidare alle Province. «Il bollo auto - ha spiegato il presidente milanese Guido Podestà - ci consentirebbe di modulare i nostri interventi su un gettito costante».
P.S: anche di questo dibatteremo non appena il sito del PD riminese tornerà attivo.

giovedì 12 agosto 2010

Unicredit annuncia 4.700 esuberi. Il sindacato: "Contagiati da effetto Fiat"


Oggi l'incontro tra l'a.d Alessandro Profumo e i sindacati. Lando Sileoni (Fabi Cisl) : "Si vuole modificare il contratto nazionale di lavoro.

Prevediamo da settembre un aspro e duro confronto"
da repubblica del 4 agosto - ROMA - Unicredit prevede di tagliare 4.700 posti di lavoro nel 2011-2013. È quanto si apprende da Lando Sileoni della Federazione Autonoma Bancari Italiana (Fabi Cisl) che commenta: "L'effetto Marchionne Fiat ha purtroppo contagiato, come un effetto domino, anche il Gruppo Unicredit. Proprio qualche giorno fa il presidente dell'Esecutivo dell'Abi, Francesco Micheli, e il neo presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, prendevano pubblicamente le distanze dal nuovo modello di relazioni sindacali e industriali inaugurato da Marchionne nella Fiat, che scarica solo sui lavoratori il costo delle riorganizzazioni e delle fusioni". La comunicazione arriva dopo l'incontro di oggi tra l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo e i sindacati, durante il quale si è iniziato il confronto per definire il percorso teso a raggiungere l'obiettivo di tagli del personale previsto nel piano di riorganizzazione noto come Banca Unica, Bancone, Insieme per i clienti o One 4C, mai quantificato dal gruppo.Secondo Sileoni si vuole "modificare profondamente l'attuale contratto nazionale di lavoro che da settembre le organizzazioni sindacali dovranno discutere in Abi. Delle due l'una: o Profumo pensa di farsi un contratto nazionale a parte, perché intende in questo piano industriale modificare profondamente le attuali previsioni contrattuali in tema di assetti inquadramentali, mobilità territoriale e professionale, nuove flessibilità d'ingresso sul lavoro, oppure ha deciso di imporre al settore del credito quel modello organizzativo che ha presentato oggi a Milano alle organizzazioni sindacali", aggiunge Sileoni. E ha concluso il rappresentante sindacale: "Non condividiamo comunque i 4.700 esuberi che secondo Unicredit esistono all'interno del Gruppo. Non abbiamo sentito una parola sulla conferma a tempo pieno dei lavoratori precari presenti attualmente nel gruppo, né sulle politiche d'assunzione del gruppo per i prossimi anni, come non esiste per la seconda volta dal 2007 ad oggi un vero piano industriale, peraltro previsto per legge, che garantisca i lavoratori e le organizzazioni sindacali", conclude. Alla luce di ciò "prevediamo da settembre, quando inizierà la trattativa con le organizzazioni sindacali, un aspro e duro confronto non solo sui numeri ma soprattutto su quel modello organizzativo che dal 2007 ad oggi ha prodotto esclusivamente la fuoriuscita dal gruppo di 10mila lavoratori oltre ai 4700 dichiarati oggi, e di altri 1500 lavoratori che hanno seguito la cessione ad altre banche di 500 sportelli Unicredit".

mercoledì 11 agosto 2010

Spazio/Tempo e la fisica della politica.






















La fisica della politica non è una scienza esatta.

Nel nostro circolo dove sono iscritti o comunque partecipano molti giovani (ventenni e trentenni), ci siamo sempre appassionati al tema: come dire, abbiamo studiato.

Anzi, immeritatamente ci siamo spesso anche dovuti sorbire noiosi pipponi sul nuovismo, sull’usato sicuro e via dicendo. Ma ci sta.


Come ci sta il banner che campeggia da sempre su questo blog: il ruggito del peluche, liberamente tratto da un articolo di D'Avanzo del 2008, e che a ben vedere – e da sempre – è stata la nostra visione delle cose, sul tema dello spazio/tempo anagrafico nella fisica della politica (per chi sa leggere clicchi qui).


Per cui mi stimola il piccolo dibattito nato –in questo scorcio d’estate – sul tema del rinnovamento - che per sintesi e media aritmetica (20+40=60/2=30) - chiamerò, per esemplificazione, il tema o la riscossa dei "trentenni" ripreso ampiamente - per esempio - sul blog dei Giovani Democratici.


Rifletto allora sul significato di innovazione e sul dato anagrafico.

Io credo che l’innovazione passi davvero per il ricambio generazionale.

Ma le generazioni - nella fisica della politica - come le misuro?

E postulo, sennò non mi interessa a priori, quanto segue: che l'innovazione serve a risolvere i nuovi problemi, non a fare nuovi dirigenti.


Allora, qual è questa generazione che deve andare alla riscossa? 2 ambiti per identificarla e per capirci: quello delle politiche del lavoro, e quello più in generale della rappresentanza politica.


Parto dal tema più importante: il lavoro, la precarietà.

In Italia, la media di età dei contratti a gestione separata (i cosiddetti para subordinati, i contratti di collaborazione o partite Iva più o meno per forza) è di 42 anni. Questo significa - a far i conti della serva - che probabilmente in Italia la vita di molti 30enni e 50enni ha le stesse condizioni, senza contare che uno dei fenomeni più complicati che saremo chiamati come comunità a gestire è e sarà nei prossimi mesi la re-immissione sul mercato del lavoro di molti over 50 che il lavoro l'hanno perso, con tutte le difficoltà che questo - è ovvio - comporta. Quello che in gran parte del resto d'Europa più facilmente può essere ricondotto alla categoria della flessibilità - lì davvero generazionale perché coincidente con un periodo fisiologico e davvero anagraficamente circoscritto - per noi è tema invece di una precarietà sempre più cronica che tocca un 30enne come un 50enne. Qual è questa generazione?


Sul piano della rappresentanza politica, della partecipazione alla vita politica, invece torno a metter nero su bianco quello che da sempre (cioè dalla nascita del PD) abbiamo sostenuto e cioè che quello che importa è una generazione di trentenni (30, nel senso della solita media) che riempie i nostri partiti e la nostra politica, insomma un partito di giovani e non semplicemente una classe dirigente di giovani tout court (magari i soliti). Per dirla con Civati: "il Pd deve diventare il partito dei giovani italiani. Non il partito dei giovani dirigenti, ma il partito dei giovani elettori."


E comunque, per quanto riguarda anche la classe dirigente?

Bene: io credo davvero che ci siano in giro per l’Italia trentenni che stimo e che mi fanno sentire un po’ meno preoccupato quando si mettono in gioco e quando non demordono. Trentenni che in virtù del loro semplice essere trentenni – e cioè, per quasi fisiologica volontà, nuovi, dinamici e non omologati - stanno sul pezzo alla ricerca costante della nuova frontiera e non immobili nella trincea. Questi trentenni compongono il mio ideale partito dei giovani.


Così, nel mio ideale partito dei giovani, ci vedo per esempio quel trentenne di ottantacinque anni di Alfredo Reichlin, quel trentenne di trentacinque anni di Pippo Civati, quella trentenne di cinquantatre anni di Laura Puppato, quel trentenne di quarantanove anni di Gianni Cuperlo, quella trentenne di quarantasette anni di Concita de Gregorio, quel trentenne di trentacinque anni di Matteo Renzi, quella trentenne di quarantotto anni di Paola Concia e tanti altri trentenni e altre trentenni come loro.


Nel mio ideale partito dei giovani ci sono trentenni, di tutte le età, con denti (nel senso di D'Avanzo) e volontà tali da prendere in mano - assieme - questo paese, queste regioni, queste città, e dargli una speranza concreta di ripresa e di riscossa.


Spazio/tempo nella fisica della politica non sono riferibili ad una scienza esatta. Anzi porta a sorprendenti scoperte (come i giovani leoni senza denti di D'Avanzo).


Scriveva Emily Dickinson in una sua poesia, con molta semplicità, una cosa molto vera:


La distanza che c’è tra noi

non la conti in miglia e in mari

La distanza che c'è tra noi è determinata dalla Volontà

E non dall’equatore


E per quanto riguarda la fisica della politica, ciò è uguale certamente anche per il tempo, le generazioni e l’età.


martedì 10 agosto 2010

La paura di votare che non conviene al Pd


Lo hanno detto un po' tutti e anche noi da subito, in tempi non sospetti, ma se poi lo ribadisce anche Ilvo Diamanti...

Se i democratici si presentassero con questo gruppo dirigente e questa coalizione, perderebbero. La loro insicurezza costituisce la principale fonte di sicurezza per l'attuale maggioranza di governo. Visto che anch'essa ha molto da temere da nuove elezioni di ILVO DIAMANTI

L'IPOTESI di elezioni anticipate sembra preoccupare soprattutto il Centrosinistra. In particolare, il Pd. Per ragioni di numeri, anzitutto. Se si presentasse con questo gruppo dirigente e con questa coalizione - l'asse con l'IdV di Di Pietro - perderebbe. Poi, perché dovrebbe affrontare i propri dubbi, irrisolti, circa le alleanze, gli obiettivi, i valori. L'insicurezza del Pd - e del Centrosinistra - costituisce la principale fonte di sicurezza per l'attuale maggioranza (si fa per dire...) di governo. Visto che anch'essa ha molto da temere da nuove elezioni. Come farebbe Berlusconi a giustificare una crisi, in tempi così difficili per l'economia? La defezione di Fini e dei suoi fedeli, inoltre, modificherebbe sostanzialmente l'identità territoriale di questa maggioranza. Se si votasse davvero in novembre, il Centrodestra si presenterebbe con i volti della triade Berlusconi, Bossi e Tremonti. Vero partito forte: la Lega. Principale prodotto di bandiera: il federalismo. Insomma: un'alleanza politica "nordista". Berlusconi e il Pdl avrebbero concreti motivi di temere il voto. Perché in Italia, per vincere le elezioni (governare, ovviamente, è un altro discorso), bisogna disporre di un elettorato "nazionale". Distribuito sul territorio in modo non troppo squilibrato. Come la Dc, nella prima Repubblica, e Forza Italia, nella seconda. I principali baricentri, non a caso, dei governi del dopoguerra. Il Pci, invece, nella prima Repubblica ha conosciuto fasi di grande espansione, ma è sempre rimasto ancorato alle regioni "rosse" dell'Italia centrale. Quanto al Centrosinistra, nella seconda Repubblica, in quindici anni di esperimenti, non è riuscito a superare i vincoli territoriali - ma anche politic - ereditati dal passato. Il progetto dell'Ulivo, guidato da Prodi, dopo il 1995 ha viaggiato sospeso fra Ulivo dei partiti e Partito dell'Ulivo. Ha, comunque, delineato un soggetto politico di tipo italo-americano. Dove coabitassero posizioni politiche e culturali molto diverse e perfino lontane tra loro. Come i Democratici negli Usa e la Dc in Italia (un esempio evocato spesso da Parisi). L'Ulivo, erede dei partiti di massa (democristiani e comunisti, soprattutto), ma "nuovo", per identità e metodo di selezione del gruppo dirigente e dei candidati. Le primarie ne sono divenute il marchio. Un'alternativa all'organizzazione tradizionale e, nel contempo, al partito mediatico e personale, imposto da Berlusconi. L'Ulivo di Prodi evoca un soggetto politico di coalizione, "largo" ed eterogeneo. Ha vinto due volte - o, forse, una volta e mezzo. Nel 1996 e nel 2006 (quando al Senato ha perso quasi subito la maggioranza). Ma si è rivelato incapace di garantire stabilità e coesione. Da ciò, nel 2007, il passaggio al Pd, guidato da Veltroni. Partito riformista, sorto con l'obiettivo di "attrarre" gli elettori dell'area di sinistra e soprattutto di centro, senza troppi compromessi e mediazioni. Correndo contro Berlusconi e il Pdl "da solo". O quasi. Un unico alleato, l'IdV. In risposta al PdL, che si apparenta con la Lega. Le primarie, parallelamente, non servono più a scegliere il candidato premier. Dunque, non sono aperte all'intera coalizione (come nel 2005). Diventano, invece, una sorta di competizione congressuale per scegliere il gruppo dirigente e il segretario. Il problema è che il Pd non solo ha perso le elezioni del 2008 (esito prevedibile). Ma, in due anni, ha cambiato tre segretari, mentre la sua base elettorale si è ridotta sensibilmente. Pdl e Pd, nel frattempo, si sono indeboliti - parecchio - rispetto ai partner (Lega e IdV). E ciò ha ridimensionato l'idea del bipolarismo "bipartitico", sostenuta da Veltroni e Berlusconi nel 2008. Oggi, infatti, ci troviamo di fronte a un bipolarismo frammentato, che neppure Berlusconi riesce a controllare e pone al Pd serie difficoltà. Il bacino elettorale alla sua sinistra, nel frattempo, si è prosciugato. Oltre tre milioni di elettori: spariti. Esuli. In sonno. Oppure intercettati dall'Idv. Mentre al centro si fa spazio un nuovo aggregato che ambisce a fargli concorrenza. (Anche se l'attuale legge elettorale scoraggia ogni ipotesi di "terzo polo"). Per cui il Pd, quando evoca un governo istituzionale, che scriva una nuova legge elettorale e gestisca l'emergenza economica, più che alle difficoltà del Paese pare rispondere alle proprie. L'ipotesi, peraltro, non appare praticabile. Osteggiata dalla maggioranza, troverebbe in disaccordo anche le opposizioni. (C'è dissenso sulla legge elettorale fra Pd, Udc, Sinistra...) Meglio - molto meglio - che il Pd si prepari alle elezioni. Senza scorciatoie. Con le attuali regole. E dica, quindi, "come" e "con chi" le intenda affrontare. Da solo o con pochi amici: non può. Perderebbe. Insieme all'IdV, oggi, il Pd potrebbe giungere intorno al 35%. Il Pdl, con la Lega, otterrebbe almeno 8 punti percentuali in più. Poi c'è l'incognita dell'astensione, che ha colpito pesantemente anche il centrosinistra, negli ultimi anni. Il Pd, per questo, deve chiarirsi e chiarirci. Con chi intende presentarsi? Quali formazioni e quali leader? L'esperienza del passato suggerirebbe la ricerca di intese molto larghe, senza pregiudizi. A sinistra e al centro. Attorno ad alcuni obiettivi di programma. Pochi e precisi. Relativi all'economia e al lavoro, alla legalità, alle regole istituzionali, al rispetto dell'unità nazionale, alla legge elettorale. Insomma: proponendo il programma delineato per il governo istituzionale alla verifica elettorale. Un'alleanza che, come l'Ulivo nel 2005, scelga il candidato - i candidati - con il metodo delle primarie. Ma senza vincitori annunciati. Primarie aperte. Dove possano competere - e vincere- Bersani, Di Pietro, Letta, Chiamparino. Ma anche Vendola, Casini, Rutelli, Tabacci. E altri candidati ancora, noti e meno noti. L'ipotesi non è entusiasmante e si presta, ovviamente, a critiche. Una su tutte. Si tratterebbe di un collage antiberlusconiano e antileghista. Osservazione fondata, che non ci scandalizza. D'altronde, questa legge elettorale non l'abbiamo voluta noi. E l'asse Berlusconi-Bossi oggi costituisce un metro di misura e di riferimento - politico e istituzionale - non eludibile.Tuttavia, da parte del Pd, ogni ipotesi, ogni idea - anche diversa da questa - è meglio dell'attuale afasia. Non temiamo le elezioni - per noi, anzi, sono ottime occasioni di lavoro. Temiamo, assai più, l'assenza di alternative e di speranze. Questo bipolarismo imperfetto tra un centrodestra che non ci (mi) piace e un centrosinistra (oppure centro-sinistra) che non c'è.

lunedì 9 agosto 2010

Diritto unico e contratto unico


Leggiamo con vivo interesse le riflessioni riportate dalla redazione dell'attivissimo blog di Fontanelle sul diritto del lavoro. Oltre che essere scritto con grande competenza fa trasparire una accesa passione per l'argomento. Sarà quindi ancora più interessante discurerne.

Le obiezioni mosse al documento votato dall'Assemblea Nazionale di fine maggio (l'Assemblea del "vogliamoci bene"...) erano inerenti al passaggio dall'idea di "contratto unico" (ne esistono un paio di versioni, di Boeri e di Ichino) a quella di "diritto unico". Tali obiezioni, che sono andate ben oltre la mozione Marino (come si afferma con una certa leggerezza nell'articolo) financo ad avere riflessi nel congresso stesso delle Cgil, partivano ovviamente dalla disparità tra lavoro a tempo indetermianto, ormai largamente minoritario, e lavoro a tempo determinato, ormai largamente maggioritario, maggioranza che raggiunge livelli ai più inimmagianbili tra i giovani.
Il dato della provincia di Rimini dell'anno 2009 sulle assunzioni testimonia come, su 10 contratti di lavoro stipulati, uno solo (uno solo!) sia a tempo indetrminato.
L'attenzione del "diritto unico" invece pare focalizzarsi su una parificazione, in primis, tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti (ben inteso, del tutto legittimamente), infatti cito testualmente: "così si possono superare le divisioni del mondo del lavoro che sono molte: non solo quelle fra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato, ma anche fra lavoro autonomo dipendente e parasubordinato". L'aspetto tecnico per ottenere tale risultato resta abbastanza oscuro, mentre è chiarissimo come tale obiettivo sarebbe costosissimo. Stupisce d'altro canto l'osservazione che "le imprese italiane non possono pensare di battere la concorrenza internazionale puntando sui bassi salari e sulle basse tutele": ah sì? E chi lo dice? E il tentativo di Marchionne di "pomiglianizzazione" cos'è? Non è puntare su bassi salari e basse (o bassissime) tutele? Si corre il rischio così di offrire una pericolosa sponda a un governo (o a quello che ne rimane) che per voce di Sacconi ora parla, da un lato, di sostituire lo "statuto dei lavoratori" con uno "statuto dei lavori" e, dall'altro, basa il proprio non-agire sull'assenza di una politica industriale .

Ma di tutto ciò l'autore dell'articolo (di cui non ho trovato la firma) pare rendersene perfettamente conto nel momento in cui certifica le perplessità di cui sopra asserendo che "se si tratta di collaboratori, partite Iva o simili che fanno lo stesso lavoro dei dipendenti, essi vanno tutelati come tali perché sono falsi lavoratori autonomi. Per riconoscere questo non si tratta di inventare nuove leggi o nuovi “contratti unici”. Si tratta di far rispettare le leggi esistenti, di rafforzare controlli e ispezioni." C'è una lontananza abissale tra una non-soluzione come quella del "raffrozare le ispezioni" e ottenere la contrattualizzazione di quei lavoratori. Chi lo accerta? Chi lo certifica? E su quali basi? Chi dice che in un'azienda una mansione sia "da partita iva" o da dipendente?

Evidentemente il problema si sposta su di un piano politico. Quali categorie del lavoro urgono di difesa? Domanda retorica, nel senso che tutte vanno difese, certo, ma è evidente che ci sia un assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti per mezzo dei contratti "atipici" (che come abbiamo visto sono sempre più "tipici"...) e che tale assalto non trova argine nella legge. Uno degli aspetti chiave della proposta Boeri/Ichino è quello di mettere un freno a questi strumenti limitandone l'uso alla fase di ingresso nel posto di lavoro e penalizzandone (fiscalmente e non con generiche ispezioni) il suo prolungamento e, contemporaneamente, produrre un aumento progressivo nel tempo delle tutele del lavoratore.

Insomma, non senza una certa rozza, ma efficace semplificazione, si può dire che sono due le anime, felicemente conviventi e plurali, nel PD: c'è una parte del PD che opera con un "occhio di riguardo" alla galassia di quelle piccole e medie imprese, che sono il tessuto produttivo più solido della nostra economia (che ha comunque anche in Tremonti, per dire un nome, un più che fervido sostenitore...) e ce n'è un'altra parte, forse più "popolare", che vorrebbe essere più vicina alla grande massa dei lavoratori (eteronegeneamente mai così variegata come in questi anni), nè autonomi nè dipendenti, che, numericamente sono la maggioranza della popolazione attiva di questo paese e che, forse, ancora non ha trovato una forza politica disposta a frasene carico.
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E' ovvio che si tratti di due facce della stessa medaglia. La sfida starà proprio nel trovare una sintesi operativa, in termini di proposta, tra queste due anime.

domenica 8 agosto 2010

Gli ultimi giapponesi del PD


Oggi 8 agosto è l'anniversario della liberazione dell'isola di Guam dall'invasione giapponese a opera dell'esercito americano avvenuta nel 1944.

Il punto è che fu soltanto nel 1972 che Shoichi Yokoy, soldato dell'esercito giapponese, ultimo anziano difensore di Guam, fu fatto prigioniero da due cacciatori mentre era intento a pescare nel torrente Talofofo. Come nei numerosi casi precedenti di tanti altri soldati giapponesi mai arresi, la stampa internazionale dette grande rilievo alla notizia. Resistere per così tanto tempo era davvero incredibile. Al momento della sua cattura, il malandato Yokoy conservava ancora un vecchio fucile Arisaka con pochissime munizioni e una bomba a mano consunta dalla ruggine. Rientrato in Giappone, Yokoy visse come un disadattato e morì il 23 settembre 1997, non prima di avere pubblicato un avvincente libro di memorie.

Voi direte che magari non è esattamente un anniversario memorabile. Daccordo, non lo sarà, ma ci offre uno spunto attualissimo. Shoichi Yokoy ricorda da vicino certi novecenteschi dirigenti del PD (ormai pochi, per la verità) che nutrono ancora una inveterata avversione (certamente più opportunistica che ideologica) per le primarie.

Ovviamente, non è una colpa. E' solo la storia che li supera.