lunedì 9 agosto 2010

Diritto unico e contratto unico


Leggiamo con vivo interesse le riflessioni riportate dalla redazione dell'attivissimo blog di Fontanelle sul diritto del lavoro. Oltre che essere scritto con grande competenza fa trasparire una accesa passione per l'argomento. Sarà quindi ancora più interessante discurerne.

Le obiezioni mosse al documento votato dall'Assemblea Nazionale di fine maggio (l'Assemblea del "vogliamoci bene"...) erano inerenti al passaggio dall'idea di "contratto unico" (ne esistono un paio di versioni, di Boeri e di Ichino) a quella di "diritto unico". Tali obiezioni, che sono andate ben oltre la mozione Marino (come si afferma con una certa leggerezza nell'articolo) financo ad avere riflessi nel congresso stesso delle Cgil, partivano ovviamente dalla disparità tra lavoro a tempo indetermianto, ormai largamente minoritario, e lavoro a tempo determinato, ormai largamente maggioritario, maggioranza che raggiunge livelli ai più inimmagianbili tra i giovani.
Il dato della provincia di Rimini dell'anno 2009 sulle assunzioni testimonia come, su 10 contratti di lavoro stipulati, uno solo (uno solo!) sia a tempo indetrminato.
L'attenzione del "diritto unico" invece pare focalizzarsi su una parificazione, in primis, tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti (ben inteso, del tutto legittimamente), infatti cito testualmente: "così si possono superare le divisioni del mondo del lavoro che sono molte: non solo quelle fra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato, ma anche fra lavoro autonomo dipendente e parasubordinato". L'aspetto tecnico per ottenere tale risultato resta abbastanza oscuro, mentre è chiarissimo come tale obiettivo sarebbe costosissimo. Stupisce d'altro canto l'osservazione che "le imprese italiane non possono pensare di battere la concorrenza internazionale puntando sui bassi salari e sulle basse tutele": ah sì? E chi lo dice? E il tentativo di Marchionne di "pomiglianizzazione" cos'è? Non è puntare su bassi salari e basse (o bassissime) tutele? Si corre il rischio così di offrire una pericolosa sponda a un governo (o a quello che ne rimane) che per voce di Sacconi ora parla, da un lato, di sostituire lo "statuto dei lavoratori" con uno "statuto dei lavori" e, dall'altro, basa il proprio non-agire sull'assenza di una politica industriale .

Ma di tutto ciò l'autore dell'articolo (di cui non ho trovato la firma) pare rendersene perfettamente conto nel momento in cui certifica le perplessità di cui sopra asserendo che "se si tratta di collaboratori, partite Iva o simili che fanno lo stesso lavoro dei dipendenti, essi vanno tutelati come tali perché sono falsi lavoratori autonomi. Per riconoscere questo non si tratta di inventare nuove leggi o nuovi “contratti unici”. Si tratta di far rispettare le leggi esistenti, di rafforzare controlli e ispezioni." C'è una lontananza abissale tra una non-soluzione come quella del "raffrozare le ispezioni" e ottenere la contrattualizzazione di quei lavoratori. Chi lo accerta? Chi lo certifica? E su quali basi? Chi dice che in un'azienda una mansione sia "da partita iva" o da dipendente?

Evidentemente il problema si sposta su di un piano politico. Quali categorie del lavoro urgono di difesa? Domanda retorica, nel senso che tutte vanno difese, certo, ma è evidente che ci sia un assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti per mezzo dei contratti "atipici" (che come abbiamo visto sono sempre più "tipici"...) e che tale assalto non trova argine nella legge. Uno degli aspetti chiave della proposta Boeri/Ichino è quello di mettere un freno a questi strumenti limitandone l'uso alla fase di ingresso nel posto di lavoro e penalizzandone (fiscalmente e non con generiche ispezioni) il suo prolungamento e, contemporaneamente, produrre un aumento progressivo nel tempo delle tutele del lavoratore.

Insomma, non senza una certa rozza, ma efficace semplificazione, si può dire che sono due le anime, felicemente conviventi e plurali, nel PD: c'è una parte del PD che opera con un "occhio di riguardo" alla galassia di quelle piccole e medie imprese, che sono il tessuto produttivo più solido della nostra economia (che ha comunque anche in Tremonti, per dire un nome, un più che fervido sostenitore...) e ce n'è un'altra parte, forse più "popolare", che vorrebbe essere più vicina alla grande massa dei lavoratori (eteronegeneamente mai così variegata come in questi anni), nè autonomi nè dipendenti, che, numericamente sono la maggioranza della popolazione attiva di questo paese e che, forse, ancora non ha trovato una forza politica disposta a frasene carico.
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E' ovvio che si tratti di due facce della stessa medaglia. La sfida starà proprio nel trovare una sintesi operativa, in termini di proposta, tra queste due anime.

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