mercoledì 25 agosto 2010

My friend, Sergio


Nel cuore dell'estate, il sito della Giovanile Democratica riminese ha postato una bella riflessione a commento di un pezzo di Luciano Gallino sulla condotta sindacale (o antisindacale?) di Fiat. Oggi Gad Lerener su Repubblica si rifaceva in qualche modo alle conclusioni di Gallino (in soldoni, Fiat vuole andare allo scontro che avere un alibi per andarsene dall'Italia) sottolineando come la distanza tra la Fiat di Valletta, (A.D. negli anni '50, nei quali le ritorsioni antisindacali furono epocali) e quella di Marchionne sia abissale. L'analisi è secondo me particolarmente acuta nel notare come negli anni '50 si era costretti a tener conto di fattori contigentemente storici (un mondo bipolare, riconverisione post-bellica, diritti) mentre oggi Marchionne può tranquillamente operare in beata solitudine. Il che non vuol dire che sia più facile (anzi, la gestione aziendale in scala globale sicuramente non è uno scherzo), ma vuol dire che l'assordante silenzio del governo gli lascia tutto lo spazio di manovra che richiede (la dice lunga che l'unico a parlare dell'argomento sia stato Matteoli: avanti, chi sa dire, così su due piedi, di cosa è il ministro Matteoli...? Vabbè, comunque, è il Ministro delle infrastrutture e trasporti...). Inutile aggiungere le dichirazioni di Bossi secondo cui Fiat dovrebbe salvare solo la produzione piemontese: siamo alle barzellette.
E' proprio questo orizzonte privo di condizionamenti a essere il tratto decisivo della vicenda Fiat Melfi-Pomigliano, o meglio, l'elemento nuovo è la possibilità di Marchionne di agire con la mera gestione aziendale come unico orizzonte cui far fede. La strategia ipotizzata da Gallino, per quanto pienamente plausibile, a me pare sovradimensionare la visione dell'azienda. Fiat vuole uscire dall'Italia? E allora cosa fa? Sceglie uno scontro, evidentemente pretestuoso, con 3 delegati Fiom, ottenendo un'ondata di impopolarità e indignazione che da molto tempo non si vedeva? Io non credo proprio... Per dismettere uno stabiliemento (e spostare la produzione altrove) basta molto meno, leggi Thyssenkrupp. L'unico stabilimento destinato alla chiusura inesorabile è Termini Imerese e lo è esclusivamente per motivi di capacità produttiva e non per motivi di condizioni contrattuali.
Se agisce così è solo perchè, molto più semplicemente, ha ora, grazie alla latitanza del governo, mano libera per intimidire tutti i suoi dipendenti e le organizzazioni sindiacali (anche quella Cisl il cui leader è stato in odore di elevazione a ministro...) e rendere le condizioni contrattuali, diciamo così, quanto più omogenee al resto degli stabilimenti del gruppo nel mondo.

Oggi a visitare gli stabilimenti di Toledo, stato dell'Ohio (Stati Uniti) c'è andato (con tutto quello che significa) il vice presidente Joe Biden. Così, per dire.

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