lunedì 31 agosto 2009

Confusi e felici



Quelli che a Rimini applaudivano e osannavano il cattolico Tony Blair sono gli stessi che qui volentieri lapiderebbero un politico cattolico che si sognasse di fare in materia di temi eticamente sensibili un decimo di quello che ha fatto Blair da primo ministro in Gran Bretagna.

Il Pd e la sfida dei voti a Nord Est


Divaghiamo dai nostri temi piu' consueti per uno sguardo sulla realta' del PD in una zona nevralgica e difficile come il nord-est.


Durante tutta la storia della Seconda Repubblica una sola volta la sinistra italiana ha avuto più voti della destra: nelle elezioni politiche del 2006 alla Camera (al Senato anche in quella occasione la destra prese di più), ma la coalizione dell'Unione con cui Prodi vinse per 24mila voti quelle elezioni non era solo sinistra. Era sinistra più pezzi di destra traghettati a sinistra nel 1995 (Dini) e nel 1998 (Mastella). Quando questi pezzi di destra sono tornati a destra (autunno del 2008) il governo Prodi è caduto e la sinistra è tornata a essere quello che è sempre stata nella storia del paese: una minoranza e per di più divisa. Con problemi di identità profonda, come ha riconosciuto ieri alla festa di Genova lo stesso segretario del Pd, Dario Franceschini.La sinistra italiana ha meno consensi della destra. Questa è la prima ragione della sua debolezza. Il suo maggior partito, il Pds poi Ds, non è mai andato oltre il 21,1% dei voti (1996). Le formazioni politiche confluite nell'attuale Pd, e cioè Pds, Ds, Popolari, Margherita, messe insieme hanno ottenuto al massimo il 33,2% (il Pd nel 2006). A livello di elezioni politiche tutta la sinistra italiana non ha mai superato il 50% dei voti. Delle quattro aree politiche in cui tradizionalmente si divide l'Italia (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud) il Pd è una forza maggioritaria solo nel Centro e cioè Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria. Nel Nord-Ovest e nel Sud i suoi consensi sono intorno alla media nazionale (si veda il grafico a pagina 14). Nel Nord-Est, e in particolare in Lombardia e in Veneto, sono nettamente sotto. Da sempre questa è l'area di maggiore debolezza. Qui il Pd, e i suoi predecessori, non hanno mai superato il 28% dei voti e tutta la sinistra non è mai arrivata al 40 per cento. In Lombardia e Veneto nel 2008 la coalizione di Veltroni (Pd + Idv) ha preso rispettivamente il 32,1% e il 30,8% contro il 55,2% e il 54,4% della coalizione di Berlusconi (Pdl + Lega). Dato che il Nord-Est rappresenta il 29% dell'elettorato italiano contro il 18% delle quattro regioni del Centro la supremazia del Pd in questa area non può compensare la sua debolezza nell'altra.Ma se il Pd non riesce ad accrescere in maniera significativa i suoi consensi nel Nord-Est dove può trovare i voti che gli servono per vincere? È difficile che possa fare meglio di quello che fa oggi nelle regioni del Centro dove in media ha sempre raccolto oltre il 40% dei voti. Può migliorare in Piemonte e Liguria ma sono regioni che pesano relativamente poco e in ogni caso in Piemonte deve fare i conti con una destra forte soprattutto al di fuori di Torino e provincia. Resta il Sud. Solo un grandissimo successo al Sud potrebbe compensare la debolezza al Nord. È il Sud che ha fatto vincere Prodi nel 2006. Ma al Sud le radici del riformismo sia di matrice socialista che cattolica sono fragili. Il voto è mobile, "governativo" e clientelare. Un eventuale grande successo della sinistra al Sud, senza che questo sia il risultato di una vittoria anche al Nord, rischia di allargare il divario tra le due aree del Paese, tra i ceti produttivi del Nord e il Pd. La conclusione quindi è che la questione settentrionale, e in particolare quella lomabardo-veneta, è una questione centrale per il Pd. Non può essere semplicemente rimossa con l'alibi di una insormontabile barriera culturale come se gli elettori in questa zona fossero dei marziani. Le vittorie a livello locale di tanti esponenti del Pd dimostrano che a certe condizioni la sinistra può vincere anche qui. Al fondo della debolezza elettorale del Pd sta la ristrettezza della sua base sociale. Il Pd è soprattutto il partito dei lavoratori dipendenti, e in particolare di quelli pubblici. Secondo i dati di Itanes 2008 gli impiegati rappresentano il 40% del suo elettorato contro il 25% degli operai (esattamente la stessa percentuale della Lega) e il 17% dei lavoratori autonomi. Tra questi ultimi solo il 24% ha votato Pd alle ultime elezioni contro il 43% che ha scelto il Pdl e l'11% la Lega. Tra gli operai il 36% ha votato Pd, il 34% Pdl e l'11% Lega. Nemmeno tra i disoccupati il Pd è risultato il partito più votato: il 49% ha preferito il Pdl e solo il 27% il Pd. Questi dati sono molto simili a quelli di un sondaggio fatto da questo giornale prima delle elezioni europee di quest'anno (3 maggio). Nella categoria dei lavoratori di basso profilo (operai-esecutivi) il 43% dichiarò che avrebbe votato per il Pdl e solo il 22% per il Pd. Nel complesso il Pd è molto meno partito interclassista del Pdl. È soprattutto il partito della classe media impiegatizia. Con questo profilo non può assolutamente sperare di battere la destra di oggi. Sulla carta il Pd che aveva in mente Veltroni era nato per superare i limiti della sinistra italiana. L'obiettivo era ambizioso: farne un partito maggioritario a livello nazionale e non solo in quattro regioni del Centro. Questo era il senso della tanto irrisa "vocazione maggioritaria". Il discorso del Lingotto fu un importante punto di partenza. Il buon risultato elettorale delle politiche 2008 è stato un altro tassello. Poi tutto si è sfilacciato. Litigiosità e divisioni hanno divorato l'ennesimo leader e riproposto la contrapposizione tra una sinistra divisa e "anarchica" e una destra unita e con un leader indiscusso. La crisi economica ha fatto il resto. Invece di indebolire Berlusconi ne ha rafforzato l'immagine di "uomo forte" in grado di proteggere gli italiani non solo dalle insicurezze legate alla criminalità e alla immigrazione ma anche da quelle legate al cattivo andamento dell'economia (si veda il Sole 24 ore del 18 agosto). Intanto il Pd è ancora in cerca di una identità, di una strategia politica e soprattutto di un leader. Il 25 ottobre si vota alle primarie. Sarà la volta buona?


di Roberto D'Alimonte 25 agosto 2009

domenica 30 agosto 2009

Consiglio del Quariere 1



Il consigliere del quartiere 1 Marco Brunori (nonche' membro del direttivo del Circolo di San Giuliano) ci invia l'ordine del giorno del prossimo Consiglio del Quariere 1.





Ai lettori del blog la facolta' di fornire contributi utili sulle tali tematiche.


Ordine del Giorno del 02/09:


A) dimissioni consigliere Jamil


B) parere in merito al piano casa


C) parere mostra mercato dell'artigianato artistico e tradizionale Natale 2010


D) parere per Riminicomix 2010


E) parere in sanatoria dell'impianto di h3g rn 9405


F) hub Rimini grattacielo


G) ratifica pareri espressi dal presidente e dal consiglio di presidenza


H) lavori delle commissioni. saranno presenti l'Assessore Gamberini e tecnici di settore.

Del 90%!



Maroni dice che gli sbarchi clandestini sono diminuiti del 90%. Sarà. Qualcuno gli può spiegare che il 90% degli immigrati arriva con altre modalità e non con le "carrette del mare" su cui la Lega specula da anni? Qualcuno del Pd e della sinistra vuol dire qualcosa, per favore?

sabato 29 agosto 2009

«That’s where I sail»


Mi è sempre sembrato uno che faceva il suo lavoro, Ted Kennedy, l’ultimo dei bros. (maschi) ad andarsene. Non aveva quella luce dei fratelli, ma è diventato uno dei senatori più amati d’America. Si occupava (bene) di sanità, scuola, lavoro. Non era del tipo «I used to be the next president of the United States», e infatti perse la nomination nella corsa democratica alla Casa Bianca contro Jimmy Carter (”il più grande mostro della Storia”, secondo i Simpson). Non filava con Marilyn, né con Jackie – almeno così pare – ma era un Kennedy, e nell’armadio (mica tanto) aveva lo scheletro di un’amante affogata dopo un incidente (lui guidava) in un posto dal nome improbabile (Chappaquiduick: jokes e parodie si sprecano). Era il prezzo da pagare per vivere a Camelot. Dicevano che era quello che in famiglia scampava ad attentati e tragedie varie. Era l’ultimogenito di casa, ed è diventato il patriarca. Ultimamente lo avevano preso un po’ in giro, perché era grasso (girava il nickname Jabba the Hutt), per i suoi tanga in spiaggia (questo resta inspiegabile), per quelle cose che finiscono su Tmz. Poi, il cancro. Poi, quel gran bel discorso alla convention di Denver. Obama gli voleva bene. A me è sempre sembrato uno che faceva il suo lavoro.

26 Agosto 2009, di Mattia Carzaniga

venerdì 28 agosto 2009

Organizzare un'alternativa


Bersani, Franceschini, Marino… Così tanto fermento attorno a un congresso (del PD, ormai l’unico congresso vero rimasto in Italia) davvero era molto tempo che non lo si vedeva. Non tutto è positivo (le tessere sospette al sud, per fare un esempio http://pdsangiuliano.blogspot.com/2009/07/ce-qualcosa-molto-che-non-va.html…), ma c’è tanto di buono, a partire dal fatto che in pochi se lo aspettavano così conteso.
Anche a Rimini questo fermento ha attecchito e le grandi manovre di politica locale sono nel pieno delle proprie funzioni. In più degli altri, a Rimini, abbiamo anche l’imbarazzante vacanza del segretario comunale che, giusto per i più disattenti, è dimissionario dal bel mezzo delle scorsa campagna elettorale (gesto frutto di quella guerra tra bande di cui avevamo già ampiamente detto a suo tempo. Il post, tanto per capirci, lo avevamo intitolato “8 settembrehttp://pdsangiuliano.blogspot.com/2009/05/la-declinazione-riminese.html…).

Le premesse del congresso riminese quindi sono gravide di interrogativi. Il panorama politico però, a partire dalla lettera di Nando Fabbri ad Andrea Gnassi, a cui abbiamo dato ampio risalto su questo blog, sembra rappresentare una nuova prospettiva per il PD. Sfidare in campo aperto lo status quo locale sarebbe già di per sè un evento.
Le forze che a Rimini si sono spese per promuovere un rinnovamento (di cui questo Circolo è stata una delle parti più attive) non possono che vedere in questo scenario, finalmente, la possibilità di incidere fattivamente sulla blindatura imposta al PD riminese.

Sempre nel solco della logica congressuale riminese, specialmente chi è sulle posizioni alla mozione Marino (per la quale parte di questo Circolo si sta spendendo) non può che essere contento di questa contingenza politica locale. Ribadendo l’ovvietà che per vincere un congresso è necessario creare il più ampio consenso possibile attorno alle candidature, è proprio attraverso uno scenario come quello che si sta prospettando che le realtà emergenti (di cui si nutre proprio la gran parte della mozione Marino) avranno la possibilità di trovare, sempre che se lo sappiano meritare, uno spazio politico finalmente di primo piano.
E’ proprio la necessità di un consenso ampio e allargato che rende prima ingenuo e poi stupido confondere il piano nazionale con quello locale (troppo spesso legati da logiche di opportunismo e poco altro).
Cito la mozione Marino proprio perché per vivacità e ricchezza di argomenti (dalla laicità alla meritocrazia) è quella che più si presta a proporsi per un rinnovamento di temi e persone (e per lo stesso motivo rischia di prestarsi anche alla strumentalizzazione di chi vi vede un facile terreno di affermazione personale).

Non credo comunque che siano poche le realtà vitali e propositive nella città e nella provincia di Rimini, così come però credo che tali realtà siano in buona parte cresciute lontano da quella “vita di partito”, da quella dimestichezza con la realtà dell’amministrazione, che presentano fatalmente il conto in termini di ingenuità e concretezza quando è il momento di organizzarsi.
E tali rischi si moltiplicano ulteriormente quando si parla di un congresso, in cui si affronta un avversario, che domani, a congresso finito, sarà di nuovo dalla nostra stessa parte della barricata.

Gli episodi che hanno reso il cambiamento nel PD riminese ben più che necessario, continuano a ripetersi anche nelle ultime settimane e diventano temi sui quali non è facile non lasciarsi andare a prese di posizione. Lanciare strali di indignazione, volersi distinguere per la condanna più draconiana, fare a gara a chi è il più puro senza però lavorare contestualmente a organizzare un'alternativa fattiva in grado di incidere nella guida partito, rappresenta la migliore assicurazione di inviolabilità allo status quo attuale.

Chi crede nella possibilità di un’alternativa a questo PD lavori già da ora per tale alterativa.
Per una volta, la partita potrebbe essere aperta.

giovedì 27 agosto 2009

Modesta proposta


Vorrei proporre un’iniziativa senza costi per la comunità, ma dal grande valore simbolico. Tra qualche giorno riapriranno le scuole. Il luogo dove si formano nel bene o nel male le generazioni future. E’ lì che l’attenzione della classe dirigente dovrebbe focalizzarsi. Un Paese non può conoscere innovazione, sviluppo qualitativo, dignità nel lavoro e ricerca della coesione sociale se la scuola non è un laboratorio di apprendimento ma anche di nuovi e differenti modelli di vita che si affermano nel quotidiano stare insieme di persone con storie e vite diverse l’una dall’altra.
Anzi proprio questa diversità di lingue, dialetti, religioni e razze andrebbe esaltata e valorizzata, come tutti i veri maestri da Socrate a Don Milani hanno sempre dimostrato nei fatti prima e forse meglio, che nelle teorie. La scuola invece in Italia è ridotta a misera cosa. Non interessa quasi a nessuno. E’ frutto di scontri ideologici, ma del senso dello stare a scuola a pochi interessa, se no, mi permetto di dire, non sarebbe Ministro la Sig.ra Gelmini.
Allora modestamente propongo che all’apertura delle scuola il 14 settembre le autorità pubbliche a partire dai Sindaci e poi tutti gli altri, aprano l’anno scolastico andando fisicamente ciascuno in una scuola: elementare, media o istituto superiore che sia.
Un modo per dimostrare che l’inizio delle lezioni è tanto importante come l’inaugurazione di una strada, come l’apertura della stagione estiva, e merita la stessa attenzione che si dedica al 2 Giugno e alla festa della Finanza e della Polizia Municipale.
E’ strategico e allora rendiamo visibile questa importanza con la presenza e con il ringraziamento al lavoro che presidi, insegnanti e ausiliari svolgono nella scuola.
Non costa nulla, non c’è bisogno di fare discorsi, né comunicati stampa. Basta andare e sentire il suono della campanella e vedere gli studenti entrare e sedersi ai propri banchi e ascoltare le prime parole degli insegnanti.
E’ il gesto concreto per affermare che la scuola è il miglior investimento che si possa fare per il futuro.
Poi dal giorno dopo potremmo, con qualche argomento in più, interrogarci su quale futuro vogliamo.


Alberto Rossini

mercoledì 26 agosto 2009

Di nuovo sulle ronde



Dopo la legge che istituisce gli “osservatori volontari”, detti comunemente ronde, un decreto e diverse circolari precisano puntigliosamente caratteristiche e ambiti operativi dei volonterosi cittadini che dovrebbero vegliare sulla sicurezza e sulle situazioni di disagio sociale degli italiani. Le loro organizzazioni non possono essere emanazione di partiti, sindacati e tifoserie. Meno male! I loro membri non devono essere daltonici né avere ridotte capacità olfattive, uditive e di espressione visiva. E sembra persino che non siano autorizzati a usare il telefono a gettone. Nessuna stima dei costi dei controlli di questi requisiti. Forse perché nessuno si preoccuperà di verificare che vengano messi in pratica.

Dopo l'entrata in vigore della Legge 94/2009 (“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”), il ministero dell'Interno è intervenuto in questi giorni con diverse circolari e con un decreto che disciplina gli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari (le cosiddette ronde) e la loro iscrizione in apposito elenco presso la prefettura.

CHI PUÒ E CHI NON PUÒ
In base all'art. 3, co. 40-44 L. 94/2009, il sindaco può avvalersi di tali associazioni per la segnalazione agli organi competenti di eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana o situazioni di disagio sociale.Le associazioni di osservatori non possono essere emanazione di partiti o movimenti politici, né di organizzazioni sindacali (art. 1, co. 2, lettera b del decreto in questione) o tifoserie (art. 1, co. 2, lettera c). Né possono ricevere da tali soggetti risorse economiche (art. 1, co. 2, lettera e).Gli osservatori operano in nuclei formati da non più di tre elementi, non troppo giovani (almeno 18 anni; art. 5, co. 1, lettera b) né, verosimilmente, troppo vecchi (richiesta buona salute fisica e mentale; art. 5, co. 1, lettera b). Indossano casacconi giallo-fluorescente (art. 2, co. 3), con la scritta "osservatore volontario" (che li distingue da tutti coloro che casacconi simili indossano per semplice buon gusto).Per evitare che gli osservatori, equivocando, si segnalino a vicenda alle forze dell'ordine quali fomiti di insicurezza urbana, il decreto, dopo averli vestiti da fari antinebbia, esclude dal ruolo i daltonici (art. 5, co. 1, lettera b).
OLFATTO E AMMICCAMENTI
Sempre per evitare che l'attività di segnalazione si sviluppi solo in chiave endoassociativa, sono esclusi coloro che fanno uso di stupefacenti, delinquenti incalliti e quanti presentino o abbiano presentato in passato sintomi di malattia mentale (art. 5, co. 1, lettere c e d).Gli osservatori non potranno usare cani né altri animali (art. 2, co. 2). Per compensare la limitazione che ne deriva, si richiede loro di avere integre capacità olfattive e uditive (art. 5, co. 1, lettera b). Quanto alla capacità visiva, invece, non è richiesta. Si esige però un'adeguata capacità di espressione visiva (art. 5, co. 1, lettera b), indispensabile - suppongo - per un coordinamento tra osservatori fatto più di maschi ammiccamenti che di faticose locuzioni.Quando sia necessario effettuare una segnalazione (ad esempio, in presenza di persona colta da malore nel piazzale antistante la stazione), gli osservatori devono fare uso di cellulare o, se autorizzati preventivamente, di radio rice-trasmittenti (art. 2, co. 4). Sembra escluso che, in mancanza di quest'ultima dotazione e di campo o credito per il cellulare, gli osservatori siano legittimati a usare il telefono a gettoni del bar della stazione. In compenso, il sindaco che voglia impiegare gli osservatori deve curare che, almeno alle chiamate fatte col cellulare o con la rice-trasmittente, i vigili urbani rispondano (art. 2, co. 5).

GUARDIE E LADRI
Domanda: quando un gruppo di teppisti dovesse imbattersi in qualcosa che loro ritengono una minaccia alla sicurezza urbana o in una situazione di disagio sociale (altre - beninteso - da quelle da loro stessi rappresentate) e dovessero telefonare, alla polizia municipale, i vigili terranno conto della chiamata o eccepiranno la mancata iscrizione del gruppo nell'albo prefettizio? E chi controllerà che tutti i requisiti di cui sopra vengano rispettati? A carico di chi? O forse si tratta dei soliti requisiti per allodole, introdotti solo pro forma?

Decreto Ministero dell'Interno 8 agosto 2009 (81kb - PDF)
Circolare interna Ministero dell'Interno 7 agosto 2009 (267kb - PDF)


Da Lavoce.info, Sergio Briguglio 20.08.2009

martedì 25 agosto 2009

Chi governa e chi fa' opposizione


"Potranno farci uscire dalla crisi quelli che nella crisi ci hanno fatto entrare?"

Manifesto in catalano, nelle starde di Barcellona


Letto l’editoriale di Paul Krugman (http://pdsangiuliano.blogspot.com/2009/07/la-coscienza-di-un-liberal.html) sul New York Times di ieri, in particolare questo passaggio:

"But there’s a point at which realism shades over into weakness, and progressives increasingly feel that the administration is on the wrong side of that line. It’s hard to avoid the sense that Mr. Obama has wasted months trying to appease people who can’t be appeased, and who take every concession as a sign that he can be rolled."


Traduco in soldoni: "si arriva al punto che il realismo (cioe' lo sforzo dell'amministrazione Obama di andare a convincere porta a porta gli americanei della necessita' della riforma del sistema sanitari n.d.r.) diventa debolezza e si fa' largo la crescente sensazione che l'amministrazione Obama sia dalla parte sbagliata. E' difficile eludere la sensazione che si siano persi mesi cercando di convincere gente che non puo' essere convinta e che si legga ogni minima concessione ottenuta come un segnale di successo".


L'amministrazione Obama ha (quasi, al senato e' in bilico) la maggioranza per portare a termini le riforma del sistema sanitario (in realta' si tratta "solo" di una copertura assicurativa per tutti). Cio' nonostante la strategia segiuta in questi mesi prevede una sorta di campagna capillare nel tentativo di ottenere, anche tra i piu' scettici (quelli Krugman definisce "quelli che non possono essere convinti"), un certo consenso. Tale campagna sta facendo crollare Obama nei sondaggi tra gli americani (per la prima volta dell'elezione al di sotto del 50%).


A me pare un caso paradigmantico.


La lezione che se trae e' che quando si hanno i numeri per governare bisogna governare. Se no la gente non capisce (la nostra gente).
E di come, di contro, quando si e' all'opposizione si deve fare opposizione. Se no la gente non capisce (sempre la nostra gente).

Esempio: leggo di Fassino che apre a Galan (leghista, presidente della regione Veneto).
Motivo: "non voglio correre per perdere". Alla faccia di un modello alternativo.


Altro esempio: il governo italiano vara le ronde. E l'opposizione cosa fa'? C'e' chi e' contrario, chi forse, chi nella-misura-in-cui, chi la-gente-lo-chiede (quale gente?)... Un sindaco e' daccordo, un altro no, un altro forse...
Alle ronde si dice no. E basta.


O dobbiamo aspettare che queste arrivino a chiamrsi milizie per poi svegliarci?

lunedì 24 agosto 2009

Piazza pulita. A Rimini.


Da un post di Wittgenstein

"Il Giornale" aveva due cose buone: il restyling della testata e Filippo Facci. Con il cambio di direzione la prima se n’è andata, e per il secondo pare sia questione di momenti
p.s. e basta con questi luoghi comuni sull’omofobia del centrodestra: anche il Giornale si indigna per l’aggressione ai gay, basta che siano del PdL.

Rimini - Un militante del Popolo delle Libertà e il suo compagno cantautore hanno denunciato di essere stati aggrediti per la loro omosessualità in un condominio di Miramare a Rimini.
Un attacco omofobo Daniele Priori, giornalista di 27 anni, attivista politico del centrodestra e il suo compagno, il cantautore Ciri Ceccarini, 29 anni, noto per il suo brano Sono ciò che sono presentato al Gay Pride di Genova, hanno affermato di essere stati presi a pugni e schiaffi da un vicino di casa.

Mentre a Rimini si pensa ancora ai grattacieli, Formentera svolta


FORMENTERA - "Aperitivo cerrado". Niente cocktail a Las Banderas, uno degli stabilimenti più in voga tra la griffata e chiassosa truppa dei turisti italiani a Formentera. Ma è così in tutti gli altri locali della più piccola delle Baleari, uno stop arrivato a Ferragosto. Mai più musica in spiaggia oltre le 20. Si va solo al ristorante, ma niente balli e mojito in attesa del tramonto. Motivi di ordine pubblico: troppa gente (fino a 3mila persone, in molti casi a ridosso delle dune della riserva naturale). Troppi motorini in viaggio. E quindi stop alla ormai famosa movida "italiana" di Formentera. L'aperitivo in spiaggia è l'appuntamento più frequentato dai turisti. Soprattutto dagli italiani che negli ultimi 10-15 anni hanno colonizzato l'isola. Ogni anno vi sbarcano in centomila, il 54% del totale. Il doppio dei padroni di casa spagnoli, quattro volte i tedeschi. L'ex isola degli hippy si è decisamente trasformata. Veline e calciatori, industriali in barca (per ultimi avvistati Tronchetti e Afef) e un'invasione di vacanzieri a caccia di mare e movida. I gestori si sono attrezzati. L'intrattenimento è su misura. Ovunque si parla italiano (e d'altronde il 60% dei locali è gestito da italiani). E l'appuntamento irrinunciabile è l'aperitivo. Ogni sera in un posto diverso: Las Banderas, Big Sur, Rigatoni (qui naturalmente solo musica "revival" italiana). Di romantico era rimasto poco: alcol a fiumi, musica "a palla". E poi traffico congestionato dai motorini (ce ne sono 20mila da affittare sull'isola), incidenti, spiagge da ripulire. Un caos che i residenti non amano. In un sondaggio di un paio d'anni fa gli italiani venivano definiti "rumorosi, capricciosi, poco rispettosi dell'ambiente" dagli isolani.

A chiudere la stagione degli aperitivi, almeno per il 2009, ci ha pensato il presidente del Consiglio di Formentera, Jaume Ferrer. "Grandi concentrazioni di persone con importanti problemi di ordine pubblico e sicurezza con un aumento considerevole degli incidenti stradali", dice l'ordinanza. E allora stop ai chiringuitos. E stop dunque alla principale attrazione del turismo all'italiana. Sciovinismo? Forse un pizzico. Ma anche business. Già dal 2006 Formentera ha varato un piano per diversificare la presenza turistica. Perché ora l'isola è di moda in Italia, ma se improvvisamente il vento dovesse girare le imprese locali si troverebbero a terra. Meglio dunque attrezzarsi cercando di attirare spagnoli, tedeschi, britannici con un'offerta di intrattenimenti più ampia. Anche perché la crisi comincia a farsi sentire (-2,9% il Pil di Ibiza e Formentera nel primo semestre 2009) e un primo campanello di allarme è suonato a luglio: le presenze italiane sono scese al 50,1% dal 51,9 del 2008. Aumentano invece gli spagnoli, attirati anche dallo spot di una birra (la Estrella, 30% del mercato spagnolo) girato a Formentera. Gli imprenditori locali protestano. "Per anni abbiamo attirato un certo tipo di turismo - dice un impresario al quotidiano Ultima Hora - e ora di botto lo vogliono cancellare. Non si può sopprimere l'aperitivo, è quello che cercano i turisti italiani e senza di loro affondiamo". Polemica l'opposizione (Partito popolare) che definisce la decisione irresponsabile "perché pregiudica l'immagine di Formentera tra gli italiani".
Da Repubblica del 23 agosto 2009

domenica 23 agosto 2009

Riformisti, il coraggio di parlare controcorrente


Alberto Rossini ci introduce lui stesso un interessante articolo di Romano Prodi.

"Vi invio questo articolo di Prodi molto di rottura anche con quanto da lui stesso fatto e detto negli anni in cui è stato al governo e ideatore dell’Ulivo.
Mi viene da dire… se lo dice lui. In realtà mi pare che significhi che con la tattica ed il tirare a campare non si va molto lontano. Occorre ridefinire un progetto complessivo, globale, trovare l’identità, nuova anche nei volti di chi la esprime, per vincere con una idea diversa da chi governa oggi i destini del Paese.
Per questo Prodi merita l’iscrizione d’ufficio al circolo del Pd di San Giuliano. Esagero?
P.S.: C’è un Romano Prodi in versione riminese? "
Alberto Rossini

Apparso sul messaggero del 14 agosto

Il dibattito sulla crisi del riformismo in Europa ha tenuto banco per qualche settimana dopo le elezioni europee. Poi è sparito nel nulla senza aver prodotto alcun apparente risultato.Lontano dalle polemiche elettorali e favoriti dalla quiete estiva conviene ritornare sull’argomento. Che i partiti riformisti siano in profonda crisi non è contestabile: il centro-sinistra è stato sconfitto nella maggioranza dei paesi europei proprio durante una crisi economica che ha rivalutato molte delle proposte che erano tipiche di questi partiti.Per spiegare questo paradosso conviene fare qualche passo indietro e ritornare al momento in cui, dopo un lungo periodo in cui la politica mondiale era stata dominata dal binomio Reagan-Thatcher, la situazione si rovesciò con la vittoria di Blair che sembrava in grado di cambiare i destini europei con il new labour, la terza via che avrebbe dovuto rinnovare il riformismo europeo e lo schema politico mondiale collegandosi con le novità che Clinton proponeva negli Stati Uniti. Con un pizzico di esagerazione, ma anche per esaltare il ruolo italiano in questo processo, si era arrivati perfino a parlare di “ulivo mondiale”. La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour e l’ulivo mondiale erano una fucina di novità, nella prassi di governo di Tony Blair e i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad imitare le precedentipolitiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio. Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. Il messaggio lanciato all’elettore era il più delle volte dedicato a dimostrare che il modo di governare sarebbe stato migliore. Nel frattempo il cambiamento della società continuava secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell’uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale. Vent’anni fa una mia semplice osservazione che la differenza di remunerazione da uno a quaranta tra il direttore e gli operai di una stessa azienda era eccessiva, aveva causato scandali e discussioni a non finire. Oggi nessuno si stupisce del fatto che questa differenza sia in molti casi da uno a quattrocento. Durante il momento più acuto della presente crisi abbiamo assistito a una breve fase di sdegno nei confronti della remunerazione di alcuni dirigenti, ma poi tutto è stato dimenticato. Come se vivessimo in una società immutabile, come se la realtà esistentee le convinzioni dell’opinione pubblica fossero così forti da non essereriformabili. Il riformismo ha cioè perso la fiducia in se stesso e preferisce inseguire le piattaforme e i programmi degli altri, pensando che, perrovesciare le fortune elettorali, sia sufficiente criticare gli errori e i comportamenti dei governanti. A cambiare gli equilibri politici tutto ciò non basta, anche perché la rapidità con cui gli “estremisti” del mercato si sono impadroniti del linguaggio dei riformisti è davvero degna di un premio Nobel. Per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progettisu tutti i temi elencati in precedenza. Ribadendo con forza il ruolo dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito.

Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed accoglienza. Mi rendo conto che tutto ciò significa avere il coraggio di scontentare molti e aver la forza di scomporre e ricomporre il proprio elettorato. Mi rendo conto che nessun politico affronta a cuor leggero questa azione di scomposizione e ricomposizione, ma mi rendo anche conto che la crisi economica sta cambiando percezioni e mentalità. Essa rende più accettabili le proposte innovative e coraggiose che il centro-sinistra deve elaborare per essere ritenuto in grado di governare la nostra società. Un compito difficile, tutto in salita e, in una prima fase, addirittura contro corrente. Tuttavia chi non è capace di nuotare contro corrente non sarà mai in grado di risalire un fiume.

Romano Prodi

sabato 22 agosto 2009

La parabola tragicomica della Lega Nord


Io non voto per la Lega, si sa.

Io pero', se fossi leghista, inizierei a essere stanco.
Perché chiunque si accorge di quanto stiano pigliando per i fondelli i loro stessi elettori: gli danno le ronde, la caccia ai clandestini, i matrimoni vietati coi migranti, i dialetti nelle scuole, magari pure l’inno regionale. E intanto giù nuovi miliardi di Stato alle clientele meridionali, in attesa di nuove costose macchine per mantenere consensi sotto gli Appennini.
In tutto questo mi chiedo se i leghisti - intendo gli elettori, non i parlamentari che la sera pare si vedano ciondolare nel centro di Roma tutti contenti del loro imprevisto destino - si ricordano vagamente di come, quando e perché, una ventina di anni fa, era nata quella bestia strana chiamata lega.
Io un po’ me lo ricordo perché in quei tempi ne ho conosciuti tanti, di neosimpatizzanti leghisti, e con tanti ci ho discusso, fino a ore senza senso e fino a comprenderne in parte se non le ragioni almeno le cause efficienti: la rottura storica del quarantennale patto nord-sud messo in piedi dalla Dc, quello per cui il meridione forniva alla pianura padana manodopera in quantità e il Nord restituiva in parte i profitti al Sud attraverso le casse per il mezzogiorno, le assunzioni nello Stato e nel parastato, le pensioni facili e così via.
Un compromesso che ha funzionato tre o quattro decenni, appunto, e che poi si è rotto quando il nord non ha più avuto bisogno di braccia per le sue fabbriche, ma il rubinetto di soldi da nord a sud non veniva contestualmente chiuso.
Beh, nel frattempo la Lega si è fatta da moto di stizza a partito di governo, ma in vent’anni di manovre, urla e celodurismi le sue istanze sono al punto di partenza. Anzi, peggio, perché si va felicitando di un nuovo equilibrio assai meno conveniente, per il nord, di quello che si è rotto vent’anni fa: un compromesso per cui il Nord fornisce voti al governo e soldi alle sue clientele ottenendo in cambio solo simboli: simboli vuoti fatti di bandiere, inni, dialetti.

Per dire di un argomento molto leghista (della prima ora) e ampiamente condivisibile, ma di cui non si sente certo piu' parlare: nessun esponente della Lega sottolinea piu' il fatto che la sanita' lombarda (o emiliana-romagnaola o piemontese...) costi davvero drammaticamente meno di quella siciliana e con una qualita' enormenente piu' alta, al punto che sono tanti i meridonali a farsi curare al nord, ma di lombardi ( o emiliani-romagnoli o piemontesi...) davvero non ce ne sono vanno in Sicilia a farsi curare...
Pero' per un’ora di bergamasco alle medie si fanno proclami roboanti: davvero straordinario il risultato della sua vita in politica, ministro Bossi.

Liberamente ispirato a un post di Alessandro Gilioli.

venerdì 21 agosto 2009

Flexecurity


Sempre a proposito delle proposte di Pietro Ichino sui contatti di lavoro, riceviamo la segnalazione di un articolo gia' del febbraio scorso sullo stesso tema.

“Un nuovo contratto per tutti”: la flexsecurity proposta da Ichino parte da qui

Ecco il primo intervento di commento alla proposta-progetto sulla Flexecurity lanciata da Pietro Ichino, che JobTalk rilancia a sua volta. Altri arriveranno, anche critici naturalmente. Si parte dai fondamentali, ovvero il libro di Tito Boeri e Pietro Garibaldi uscito in autunno e già molto popolare, letto e spiegato qui dal nostro scrittore precario Fabrizio Buratto.


“Un nuovo contratto per tutti – Per avere più lavoro, salari più alti e meno discriminazione”, è uscito nell’ottobre 2008 a firma di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, editrice Chiarelettere. Nel gennaio 2009 il senatore del Pd Pietro Ichino, partendo da questo testo, ha proposto la sua bozza per un disegno di legge del quale Rosanna Santonocito ha parlato giovedì su questo blog, e che deriva dalle idee elaborate su di un altro blog, la voce.info fondato – come ricordano Boeri e Garibaldi nell’introduzione del libro – in un caldo 4 luglio del 2002. Potenza di internet e della sua capacità di mettere a confronto opinioni, mantenere vive discussioni. La Flexsecurity di Ichino risulta più rigida del “contratto unico” pensato da Boeri e Garibaldi, come si evince dalle slide riassuntive del progetto, che pure è stato ben accolto non solo da alcuni esponenti del Pd, ma anche da Emma Marcegaglia. Veniamo al testo di Boeri e Garibaldi, sintetico e ricco di dati. Prima di arrivare allo sviluppo del “contratto unico”, i due economisti ripercorrono quella “rivoluzione silenziosa” che ha portato alla proliferazione delle forme contrattuali atipiche, iniziata non con la tanto vessata legge Biagi del 2003, bensì molti anni prima. 1983: introduzione del contratto di formazione lavoro, 1984: introduzione del part-time e, soprattutto, 1997: pacchetto Treu, varato dal primo governo Prodi e votato – ricordano gli autori – “anche da Rifondazione Comunista”. La legge Treu introdusse il lavoro interinale, fino ad allora vietato, e regolamentò i co.co.co., una tipologia di lavoro già esistente ma poco utilizzata. Di qui l’origine dell’iniquità, che “il contratto unico a tempo indeterminato”, pensato da Boeri e Garibaldi, dovrebbe andare a sanare colmando il divario fra lavoratori di serie A (a tempo indeterminato e supertutelati), e lavoratori di serie B (precari con poche tutele o nessuna). Ecco come.Contratto unico a tempo indeterminato per tutti, con una fase di inserimento di tre anni – durante la quale il licenziamento può avvenire solo dietro compensazione monetaria o giusta causa – salario minimo da applicare ad ogni prestazione di lavoro, e contributo previdenziale del 33% per tutti i contratti.

Senza misure di questo tipo la povertà in Italia è destinata a salire, mentre il potere di acquisto, la competitività e la produzione a scendere. Boeri e Garibaldi reputano necessario anche un sistema di ammortizzatori sociali, e supportano ogni loro proposta confrontandola con i dati degli altri paesi europei. Un esempio: in Italia i disoccupati che percepiscono un’indennità non arrivano al 20%, in Francia sono il 75% e in Germania l’80%. Con la crisi sarà ancora più difficile attuare una riforma di questo tipo, ma gli autori sono convinti: l’Italia è destinata al collasso se continua a pagare “tasse svedesi con stipendi greci”.

giovedì 20 agosto 2009

Un orto condiviso


Transition town senza petrolio, ecco gli eco-sognatori italiani.
Il movimento, di origine britannica, prende piede nel nostro Paese.
Monteveglio (Bologna), è la prima realtà riconosciuta dalla rete internazionale.
Gruppi di acquisto energetico, cibi a chilometro zero, orti pigri e monete locali

di STEFANIA PARMEGGIANI


Un orto condiviso a Monteveglio.
ROMA - Chiudete gli occhi e immaginate un mondo senza petrolio, dove l'energia è pulita, gli orti producono tutta la verdura di cui si ha bisogno e i supermercati vendono solo cibi a zero chilometri (cioè, prodotti in zona). Poi riapriteli e guardate meglio: un mondo del genere esiste già, è ancora piccolo e imperfetto, ma sta muovendo i primi passi. Monteveglio, cinquemila anime in provincia di Bologna, è la prima città italiana di transizione. I suoi abitanti si stanno facendo contagiare da un gruppo di ecosognatori che hanno aderito a "Transition town", movimento nato in Irlanda nel 2005 e definito dal Guardian "un esperimento sociale su vasta scala". Oggi in Europa, Giappone, Usa, Canada, Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda vivono persone che perseguono lo stesso obiettivo: convertire i centri abitati a un'esistenza ecologica che possa fare a meno del petrolio e dei suoi derivati. Tengono il conto dei barili di greggio estratti, sono certi che la decrescita economica ed energetica sia inevitabile, ma la vedono come un'opportunità. Non alzano la voce e non organizzano azioni dimostrative. Svuotano il mare con un secchiello. A Monteveglio si praticano quei piccoli accorgimenti che possono migliorare la qualità della vita rispettando l'ambiente: orti in condivisione tra chi ha la terra e chi solo un terrazzo, patate in sacchi di juta per chi non ha spazio, giardini archeologici per specie ormai dimenticate. Chi non ha tempo o voglia di zappare sceglie l'agricoltura sinergica, suda all'inizio e poi guarda crescere, quasi da solo, il suo "orto pigro". Sono decine le famiglie che aspirando all'autosufficienza alimentare riescono ad evitare i supermercati almeno per frutta e verdura. Altre si uniscono in gruppi di acquisto energetico e installano pannelli solari o impianti fotovoltaici. La vecchia tazza sbeccata, invece di essere buttata, viene affidata al mercatino del riuso che mette in contatto chi cerca e chi offre. L'euro esiste ancora, ma non sarà il solo denaro a circolare: presto potrebbe arrivare anche una moneta locale. Cristiano Bottone, rappresentante del movimento, spiega che il contagio ecologista, partendo dal basso ha finito con il bussare in municipio: "Gli amministratori stanno lavorando a un piano di riorganizzazione energetica dell'intero paese. Stanno raccogliendo dati per capire quali sono i giorni, le ore e le strade in cui la dispersione è maggiore. Partiranno da lì per ridurre i consumi". Tra i contagiati una fattoria biologica: "Il proprietario sta pensando di trasformarla in una realtà libera dai combustibili fossili". Lentamente, passo dopo passo, in paese si sta diffondendo l'idea che si può vivere in un mondo più pulito. Basta darsi da fare. Gli eco-sognatori di Monteveglio si sono innamorati di una filosofia nata a Kinsale in Irlanda dove insegnava Rob Hopkins, docente universitario e fondatore del movimento. Da qui l'idea di zone franche, sempre più oil free, è migrata gettando i semi al di là dell'Oceano. Ad esempio a Sandpoint, cittadina dell'Idaho che ha dato i natali a Sarah Palin, la ex candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Mentre lei, in Alaska, faceva infuriare gli animalisti con una foto in cui la si vedeva accanto a un'alce abbattuta, i suoi concittadini coltivavano l'orto in cooperativa e si garantivano un'autosufficienza vegetale e biologica. A Bell, in Australia, i residenti si sono messi in testa di acquistare forni a legna e dicono che a guadagnarci non è solo l'ambiente, ma anche il sapore del pane. A Totnes, cittadina inglese nota negli anni '60 come meta hippy, abitano ancora oggi diverse comunità alternative che, insieme a cittadini più tradizionalisti ma comunque ecologisti, cercano di vivere senza combustibili fossili. Hanno cominciato con l'installare su ogni tetto dei pannelli solari e sono arrivati a introdurre una moneta, la Totnes Pound, che serve per acquistare prodotti rigorosamente locali. "Totnes è diventata la mia seconda città - spiega Ellen Bermann, presidente del movimento in Italia -, ma anche da noi la transizione sta prendendo piede. Abbiamo meno di un anno, ma in questi mesi siamo cresciuti: sempre più persone visitano il nostro sito, partecipano agli incontri, s'inventano nuove pratiche oppure promuovono quelle avviate da realtà diverse, ma con i medesimi obiettivi". Molti dei transition townies - così si chiamano gli aderenti al movimento - sono iscritti ai Gas, gruppi di acquisto solidale, alle Banche del tempo e ad altre iniziative che considerano in sintonia con il proprio modo di vivere il presente e progettare il futuro. Tra di loro anche Jacopo Fo che, nella sua libera università di Alcatraz, ha ospitato uno dei primi incontri di transizione. D'altronde il padre Nobel si era già immaginato nel libro "L'apocalisse rimandata - ovvero benvenuta catastrofe" una società orfana del petrolio. Lo scambio d'informazioni - sono attivissimi su Internet con un sito wiki, cioè collaborativo - è infatti il primo passo per cambiare le comunità in cui si vive. Per ora l'unica realtà italiana riconosciuta dalla rete internazionale è Monteveglio, ma gruppi guida sono nati a Granarolo, L'Aquila, Lucca e, ultimo in ordine di fondazione, Carimate in provincia di Bolzano. Altri si stanno organizzando in decine di comuni italiani tra cui Ferrara, Firenze, Mantova, Perugia, Reggio Emilia, Bologna, Bari e anche Palermo, Torino e Roma perché la "Transition town" non è una filosofia adatta solo a piccoli centri. Un esempio? Il quartiere di Brixton a Londra e l'intera città di Bristol.

mercoledì 19 agosto 2009

Estate italiana


Dal blog di Giuseppe Civati sull'estate di escort e card.
Non so voi, ma a me prende un senso di estraneità leggendo le cronache di questi giorni. Un Paese che passa dalle escort a casa di Berlusconi (e non solo..., n.d.r) alle provocazioni sui dialetti e le bandiere regionali (una vera priorità ai tempi della crisi e della globalizzazione), in cui parla soprattutto la Lega perché il Pd è in vacanza (da una vita?) e si affida a dichiarazioni al limite dell'insensato. Come insensate sono le proteste per l'introduzione dell'unica card che forse qualche problema lo può risolvere (dell'altra, la famosa social, non si sa più nulla). Siamo un Paese in cui anche Ferragosto sembra Carnevale. Avanti così, fino alla vittoria.

martedì 18 agosto 2009

Pietro Ichino


Mi ero riproposto di raccogliere i suggerimnti di Giuseppe Civati che, nella serata riminese a sostegno della mozione Marino, suggeriva di guardarsi le proposte di Pietro Ichino sul diritto del lavoro. Le proposte di Ichino spaziano su vari fronti, io mi sono limitato, appunto, al diritto del lavoro. Tutto il resto lo si trova nel suo sito http://www.pietroichino.it

Siccome Ichino non e' una scheggia impazzita, ma un tecnico del diritto del lavoro ed e' un uomo del PD, credo che sia paricolamente importatante, in un periodo di profonda crisi economica (che solo un'informazione servile verso Berlusconi riesce ancora, ma sempre meno, a occultare), che temi di questa portata siano sul tavolo di discussione del congresso a venire.


Per la riforma del diritto del lavoro: tutti a tempo indeterminato, con un contratto più flessibile e meno costoso, ma con maggiore sicurezza nel caso di perdita del posto.

Propongo di promuovere una grande intesa tra lavoratori e imprenditori, nella quale questi ultimi rinunciano al lavoro precario in cambio di un contratto di lavoro a tempo indeterminato reso più flessibile con l’applicazione di una tecnica di protezione della stabilità diversa da quella attuale per i licenziamenti dettati da motivo economico-organizzativo. La cosa può funzionare così:- d’ora in poi tutti i nuovi rapporti di lavoro, esclusi soltanto quelli stagionali o puramente occasionali, si costituiscono con un contratto a tempo indeterminato, che si apre con un periodo di prova di sei mesi;- la contribuzione previdenziale viene rideterminata in misura uguale per tutti i nuovi rapporti, sulla base della media ponderata della contribuzione attuale di subordinati e parasubordinati; una fiscalizzazione del contributo nel primo anno per i giovani, le donne e gli anziani determina la riduzione del costo al livello di un rapporto di lavoro a progetto attuale; la semplificazione degli adempimenti riduce drasticamente i costi di transazione;- dopo il periodo di prova, si applica la protezione prevista dall’articolo 18 dello Statuto per il licenziamento disciplinare e contro il licenziamento discriminatorio, per rappresaglia, o comunque per motivo illecito;- in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi, invece, il lavoratore riceve dall’impresa un congruo indennizzo che cresce con l’anzianità di servizio;- viene inoltre attivata un’assicurazione contro la disoccupazione, di livello scandinavo: durata pari al rapporto intercorso con limite massimo di quattro anni, con copertura iniziale del 90% dell’ultima retribuzione, decrescente di anno in anno fino al 60%), condizionata alla disponibilità effettiva del lavoratore per le attività mirate alla riqualificazione professionale e alla rioccupazione;- l’assicurazione e i servizi collegati, affidati ad enti bilaterali, sono finanziati interamente a carico delle imprese, con un contributo determinato secondo il criterio bonus/malus (il cui costo iniziale è stimato intorno allo 0,5% del monte salari): l’imprenditore che ricorre con maggiore frequenza al licenziamento per motivi economici od organizzativi vede lievitare il contributo; quello che non vi ricorre lo vede scendere;- il compito del giudice è limitato a controllare, su eventuale denuncia del lavoratore, che il licenziamento non sia in realtà dettato da motivi illeciti (per esempio: licenziamento squilibrato a danno di persone disabili, donne, lavoratori sindacalizzati, ecc.); il “filtro” dei licenziamenti per motivo economico è costituito invece essenzialmente dal suo costo per l’impresa; costo che la legge o il contratto collettivo stabiliscono in misura tanto più alta quanto maggiore è il livello di stabilità che si vuol garantire.
Ho tradotto questo progetto per la transizione alla flexsecurity in un saggio pubblicato a ottobre sulla rivista ItalianiEuropei (quella di D'Alema, ndr) e in un disegno di legge presentato, insieme ad altri 30 senatori del PD, il 25 marzo 2009 (n. 1481/2009). Nel dicembre scorso il progetto ha avuto il sostegno esplicito del Segretario del Partito Walter Veltroni e del Coordinatore del Governo-ombra Enrico Morando. Il testo del disegno di legge e tutti gli altri documenti disponibili nel sito relativi al progetto sono agevolmente accessibili attraverso il Portale della flexsecurity. Sul terreno della riforma della disciplina del rapporto individuale di lavoro, il 9 luglio 2008 ho presentato - insieme ai senatori Treu, Roilo, Nerozzi, Passoni e alcuni altri - il disegno di legge n. 884 sulle dimissioni del lavoratore mirato a introdurre una nuova disciplina efficace, senza costi per le imprese e i lavoratori, contro il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, dopo l’abrogazione della legge del 2007.-




lunedì 17 agosto 2009


Valerio Evangelisti scrive poche righe di recensione a un libro che a me ha aiutato molto a mettere in una luce lontana dagli stereotipi un evento chiave della storia della repubblica, la strage di Piazza Fontana. Il libro si rivolge direttamente a chi "non c'era" (come me), cioè a chi è troppo giovane per ricordarsi direttamente gli eventi del dicembre '69.



La prosa di Adriano Sofri è involuta, barocca, spesso noiosa. Ma non è per questo, credo, che un libro come "La notte che Pinelli", malgrado la notorietà dell’autore, ha trovato scarsa eco sulla stampa. Il fatto è che va in totale controtendenza rispetto a una insistita campagna che, dall’uscita del memoriale di Mario Calabresi "Spingendo la notte più in là", a una puntata di Ballarò in cui lo stesso enunciava le proprie verità senza contraddittori, fino all’incontro al Quirinale tra le vedove Pinelli e Calabresi voluto da un Napolitano alla perenne ricerca di pacificazioni improponibili, si è fatta strada ed è affermata con granitica supponenza (per esempio da Marco Travaglio, che alcuni scambiano per un duro oppositore del sistema) l’ipotesi per cui Giuseppe Pinelli sarebbe morto accidentalmente o per suicidio, e che comunque il commissario Luigi Calabresi non avrebbe avuto alcuna parte nella tragedia. Il libro di Adriano Sofri, pur fingendo di astenersi dal giungere a conclusioni certe, dimostra l’esatto contrario, con abbondanza (anzi, sovrabbondanza) di prove documentali.
Sofri simula di rivolgersi a un’ipotetica ragazza dei giorni nostri che della vicenda - che vide un ferroviere anarchico, il 15 dicembre 1969, cadere dalla finestra di un ufficio della Questura di Milano, dove era trattenuto da tre giorni perché ingiustamente accusato di essere tra i colpevoli della strage di Piazza Fontana - non sappia nulla. L’espediente retorico è molto mediocre, e spesso l’autore se ne dimentica (con lui il lettore, è ovvio). Sta di fatto che, attraverso un vaglio scrupoloso e persino pedissequo (ma a fin di bene) delle dichiarazioni dei questurini, delle loro contraddizioni sugli orari, delle possibili e impossibili dinamiche nella stanzetta, delle testimonianze, si perviene ad alcune conclusioni piuttosto certe: 1) Pinelli fornì dall’inizio alibi inoppugnabili; 2) non poté cadere accidentalmente; 3) non aveva alcun motivo per suicidarsi, e gli sarebbe stato materialmente difficile farlo. Il resto sarebbe farsa se non fosse tragedia. Le deposizioni assurde, e talora ridicole, dei poliziotti (che, per dirne una, caduto il prigioniero si guardano dallo scendere subito in cortile per sapere se è ancora vivo); le insistenze del questore Guida e del commissario Calabresi nel sostenere per giorni e mesi la sua colpevolezza; la grottesca faccenda delle scarpe, satireggiata da Dario Fo, per cui a un questurino ne sarebbe rimasta in mano una, mentre il morto le ha tutte e due; e così via. Di fatto, Sofri riprende i capi d’accusa formulati a suo tempo dal libro collettivo La strage di Stato e da Camilla Cederna (Una finestra sulla strage), però li poggia su una massa impressionante di dati di fatto, che nessuno riuscirebbe a smentire.Due personaggi escono molto male da queste pagine: il giudice Gerardo D’Ambrosio, che chiuse il caso Pinelli invocando un bizzarro “malore attivo”, qualsiasi cosa ciò voglia dire, e il commissario Luigi Calabresi. Secondo il figlio Mario, oggi direttore de La Stampa, questi e Pinelli erano buoni amici e si scambiavano regalini a Natale. Sarà. Ma fin dopo le bombe dell’estate 1969 (Fiera di Milano, Altare della Patria a Roma) e prima di Piazza Fontana, Pinelli raccontava a chi gli era vicino di sentirsi “perseguitato” da Calabresi e di averne subito minacce (una teste fasulla degli attentati alla Fiera di Milano, Rosemma Zublena, confessò in aula di avere incolpato gli anarchici per le pressioni di Calabresi). Del resto, è ben strano il comportamento di un “amico” che ti sequestra in Questura per tre giorni, oltre i termini di legge, e dopo la tua morte ti addossa nelle conferenze stampa crimini inesistenti.Sofri avrà forse avuto i suoi motivi, per scrivere un libro simile: magari contrastare un poco il successo di Mario Calabresi, un tempo suo collega su Repubblica, che aggravava oggettivamente la posizione di chi aveva condotto una campagna contro il commissario, fino a essere incolpato di averne ordinato l’assassinio. Ciò non toglie che Sofri, nello scrivere un testo letterariamente nullo, ma validissimo sul piano della controinformazione, abbia compiuto un atto meritorio. D’ora in avanti sarà un testo di riferimento, a fronte dei molteplici revisionismi sulla morte in Questura di un uomo buono e generoso, appartenente, quale anarchico, a un universo di valori che i suoi aguzzini non potevano nemmeno intuire. Un’ultima annotazione. Il giudice D’Ambrosio, come ho detto, esce da queste pagine fatto a pezzi. Eppure si tratta dell’idolo di certa opposizione legalista e di certa sinistra moderata. Di recente abbiamo visto all’opera altri di questi “idoli”: Giancarlo Caselli che avalla l’arresto di ventuno studenti dell’Onda implicati in scaramucce insignificanti avvenute mesi fa, Guido Salvini che sponsorizza con una presentazione pubblica un libro assurdo in cui si torna ad addebitare la strage di Piazza Fontana a Pietro Valpreda, Ilda Boccassini che ottiene condanne gravissime, basate sul solo reato associativo, contro gli imputati della cosiddetta Operazione Tramonto (al termine di un procedimento istruttorio gestito inizialmente dallo stesso Salvini).Non basta essere magistrati invisi a Berlusconi o avere avuto un ruolo meritorio in Mani Pulite per avere diritto a una patente di dirittura e di coerenza. Il test decisivo è la risposta alla domanda: “Come è morto Giuseppe Pinelli?”Fu da quell’episodio di ingiustizia palese, e dalla colpevolizzazione arbitraria di Valpreda, che si aprirono fratture durate per oltre un ventennio.
PS. Il libro di Camilla Cederna "Una finestra sulla strage" può essere letto integralmente sul notissimo blog del poeta Sergio Falcone Nutopia. Anche "La strage di Stato" si trova facilmente in rete, ma preferiamo rinviare all'edizione aggiornata, pubblicata dalle edizioni Odadrek di Roma.
Valerio Evangelisti

Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio editore, Palermo, 2009, pp. 284, € 12,00.

domenica 16 agosto 2009

Dall'INNSE ai bagnini


Della felice conclusione della protesta dei lavoratori dell'Innse tutti ce ne dovremmo rallegrare. Non entriamo nel merito della validità di un modello contrattuale sicuramente estremo (evidentemente dettata da una ben più che comprensibile disperazione) o della solidità della nuova prospettiva imprenditoriale (il tempo lo dirà), quello che mi ha colpito è stata la quasi completa assenza della politica di sinistra (giusto un paio di consiglieri provinciali della vecchia giunta Penati) da una vicenda che invece di politico ha tantissimo.

Lavoratori che si oppongono allo smantellamento di uno stabilimento produttivo avrebbero, secondo me, dovuto riscuotere l'attenzione dei dirigenti del PD. Sembra invece che si temesse quasi un contraccolpo d'immagine, nonostante cariche della polizia e prospettive economiche da deflazione.

A tutt'oggi la voce più autorevole a difesa di questi lavoratori è stata quella del cardinale Tettamanzi.

Ho avuto l'impressione che quasi fosse più importante salvaguardare l'immagine di una politica (e un PD) che vuole avere come interlocutore privilegiato l'imprenditore piuttosto che il lavoratore, anche quando più che con l'imprenditoria si ha a che fare con la speculazione (vedi INNSE).

Sarò stato distratto io (e spero di essere smentito), ma nei dibattiti a cui i nostri candidati alla segreteria sono stati impegnati in queste settimane, non ho trovato menzione di un caso che, metodologicamente, sta facendo proseliti (e non so se sia un bene o un male) e trova una solidarietà incondizionata tra la "gente" (...la nostra gente...).

Anche nel nostro piccolo riminese, fà più classe dirigente (per usare un termine caro alla nostra dirigenza locale), interloquire con gli imprenditori della spiaggia (i bagnini) che non con lavoratori (salvataggio) viste le prese di posizione dei nostri dirigenti di fronte alla sperequazione di trattamento a cui sono soggette le due categorie.

Insomma, salvataggio o lavoratori dell'Innse che siano, il PD deve saper prendere posizione a difesa delle parti più deboli di questa società.

Che sull'INNSE ci fosse un'operazione speculativa era ben chiaro a tutti: i nostri dirigenti non potevano spendere due parole di chiarezza?

E allo stesso modo: che i bagnini siano una parte importante dell'imprenditoria riminese non c'è dubbio, ma altrettanto non c'è dubbio che la sua tutela sia ben garantita (da regione e comune in primis).
Si può dire lo stesso dei lavoratori del salvataggio?

sabato 15 agosto 2009

Sulla stretta al credito


Dal blog di Beda Romano

“ In aggiunta agli obbiettivi pragmatici, le autorità del capitalismo finanziario hanno un altro fine di ampia portata, niente meno che quello di creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mano a privati, capace di dominare il sistema politico di ogni paese e l’economia mondiale nel suo insieme. Questo sistema dovendo essere controllato con mezzi feudali dalle banche centrali del mondo, che agiscono in concerto, attraverso taciti accordi, è nato da frequenti riunioni e conferenze riservate...."



La situazione sul mercato del credito in Europa rimane difficile. L'istituto tedesco IFO teme che l'atteggiamento delle banche, prudenti nel prestare denaro a famiglie e imprese, possa soffocare la timida ripresa economica in Germania, mentre la Banca centrale europea non perde occasione per lanciare appelli alle banche perché tornino a prestare all'economia. Ci vorrebbe un moderno John Pierpont Morgan: nel 1907, quando gli Stati Uniti erano alle prese con la prima grande crisi del Novecento, questi convinse i banchieri dell'epoca a dare liquidità all'economia per salvare il paese. La storia di questo banchiere americano (1837-1913) vale la pena di essere ricordata in questi tempi di débâcle finanziaria. Nato nel 1837 in una ricca famiglia del Connecticut, ebbe un'educazione a cavallo tra Stati Uniti ed Europa, studiando a metà dell'Ottocento sia in Francia che in Germania. Suo padre, finanziere, lo iniziò a una professione in cui eccelse. Tra le altre cose Morgan fu magistrale nell'organizzare la nascita di General Electric (con la fusione tra Edison General Electric e Thompson-Houston Electric Company) e della US Steel Corporation. Collezionista d'arte, il banchiere divenne rapidamente un uomo potente, ricco e influente, talmente influente da riuscire in una drammatica riunione dell'autunno 1907 a convincere i suoi colleghi banchieri a salvare il mercato finanziario americano, in preda a un'ondata di panico. Il luogo in cui si svolsero i fatti è rimasto immutato a un secolo di distanza, ed è visitabile a New York. L'edificio firmato in stile rinascimentale dall'architetto Charles McKim nel 1906 si trova all'incrocio tra la Madison e la 36ma Strada. Nelle intenzioni del banchiere, il palazzo - costruito accanto alla sua abitazione e attualmente sede della Morgan Library - ospitava il suo studio privato e la sua biblioteca personale, che ancora oggi raggruppa opere originali di Johannes Gutenberg, Honoré de Balzac o Walter Scott.

Era il 1907. La Borsa era in caduta libera, i tassi d'interesse erano saliti drammaticamente e a rischio era il futuro del giovane mercato finanziario americano. Dominavano la sfiducia e la paura tra nuova recessione economica ed ennesima bolla speculativa. L'establishment politico - presidente era Theodore Roosevelt - sembrava impotente. Usando tutta la sua influenza, il 2 novembre 1907 il finanziere riunì nel suo studio una cinquantina di banchieri, chiudendo la porta a chiave. Jean Strouse, nella sua biografia di Morgan, racconta che dopo estenuanti discussioni il banchiere mise sul tavolo una dichiarazione e costrinse Edward King, ai tempi presidente della potente Union Trust, a firmare una promessa di pagamento da 25 milioni di dollari. Gli altri finanzieri seguirono l'esempio. Erano le 4:45 del mattino quando finalmente Morgan riaprì le porte del suo studio. La sala in cui si svolse la riunione ha le boiseries ai soffitti, una tappezzeria rossa alle pareti; a una estremità c'è ancora una pesante scrivania di legno; sul fronte opposto un tavolino da caffè e alcune poltrone antiche. Ai muri, oltre a scaffali di legno carichi di libri, anche splendidi dipinti rinascimentali italiani e olandesi decorati da ricche cornici dorate in un ambiente che oggi, a ragione, è un museo. Morgan, che allora aveva 70 anni, riuscì a evitare il crack del sistema finanziario americano. Per alcuni, fu un eroe; per altri un finanziere senza scrupoli che agì prima di tutto per salvaguardare i suoi interessi. Poco importa: la vicenda convinse l'establishment americano a creare da lì a poco, nel 1913, la Federal Reserve. A oltre un secolo di distanza, in piena crisi, le autorità monetarie di tutto il mondo hanno garantito liquidità per evitare un nuovo crack, ma sembra mancare un Morgan che imponga la fiducia reciproca tra le banche e faccia ripartire il flusso di credito all'economia.

venerdì 14 agosto 2009

ORDINARIA MANUTENZIONE?

Lasciamo stare i moralismi che non servono a niente e caso mai inducono ad una visione deformata della realtà, ma doveva succedere. Era scritto che il sistema andasse in crisi. Non il sistema generale, non lo “spirito del capitalismo”, quello ha davanti altri secoli, ma il sistema della pianificata e indisturbata evasione fiscale. Se persino la famiglia Agnelli viene messa sotto accertamento per non aver dichiarato, seppure per questioni ereditarie, qualcosa come un miliardo di euro, allora siamo veramente all’inizio della fine. Se sono i piccoli indizi che bisogna cogliere, allora è vero che qualcosa si è rotto. Non è un caso se i nostrani potenti bagnini per la prima volta vengono additati quali untori dell’evasione sulle pagine dei prudenti quotidiani locali. Peraltro anche qualche discoteca finisce nel mirino.
E’ la crisi che non consente più che venga tollerato un sistema che per anni accontentava tutti e tutti faceva felici. Ieri un commercialista mi confessava che non è più disposto a fare ricorsi all’Agenzia delle Entrate per giustificare clienti che dichiarano utili di qualche migliaio di euro a fronte di fatturati che superano il milione. Non è il sussulto della morale è il sentire che il corpo sociale, la sua pancia, non può più permettersi che vi siano categorie che da un lato evadono e dall’altro chiedono e ottengono sconti per l’iscrizione dei figli agli asili comunali o per il pagamento delle tasse universitarie. Finchè ce n’era per tutti si poteva tollerare, ma oggi non si può più sopportare che quello che non paghi tu alla fine mi venga caricato sul mio conto, perché sono onesto o perché sono un lavoratore dipendente. Sui territori, nelle comunità locali, a partire dall’autunno sarà una battaglia dura. Chi viveva attraverso il sommerso dovrà fare i conti con una situazione nuova. Alcune regole non scritte dell’economia saranno per forza di cose riviste. Vecchie tacite alleanze andranno in soffitta. Alcuni poteri forti di questa o quella lobby andranno in frantumi. Anche Tremonti e qualche altro, compresi i partiti di maggioranza ed opposizione, se ne dovranno accorgere. Non è che il mondo improvvisamente sarà più buono, certamente si definiranno nuovi assetti. Ma una parte dell’ipocrisia economica e sociale salterà.
Il patto di origine democristiana e governativa, valido ovunque, tu evadi ed io ti proteggo purché sia salva la pace sociale deve essere riscritto. Mi pare che al di là di ogni altra considerazione la questione dei bagnini e della lotta sindacale dei lavoratori sulle torrette sia da iscrivere in questo contesto. Del resto, ripeto al di là di ogni moralismo, c’è un problema di rapporti economici. Perché un’impresa deve pagare così poco occupando uno spazio pubblico quando chi occupa uno spazio privato paga decine di volte in più? Quanto paga al demanio un bar in spiaggia e quanto un bar sulla passeggiata?
C’è una concorrenza sleale tra imprese. La crisi ridefinisce i rapporti di forza. Mi sembrerebbe utile che i partiti e chi governa, ai diversi livelli, affrontassero con cognizione di causa il tema. Ci serve una fotografia aggiornata della società, del tessuto economico, dei malesseri che sta affrontando e di quelli che ancora dovrà affrontare. Una foto che sia la premessa di un ragionamento su come uscire e superare la crisi, non soltanto girando lo sguardo all’indietro. Concretamente bisognerebbe riflettere su cosa vuol dire innovazione e sviluppo qui ed ora, nella nostra provincia e nelle nostre imprese, per preparare una piccola o grande svolta. Sapendo che non partiamo da zero, però anche con la consapevolezza che non basta quello che già sappiamo e quello che è già in campo. Il PD che intende guardare e guidare il cambiamento dovrebbe attrezzarsi per poter rispondere a queste ed altre domande, altrimenti si dovrà limitare all’ordinaria manutenzione con la quale non credo si possa andare lontano né a livello locale né nazionale. Quale è il luogo, quale il metodo e quali sono gli strumenti messi a disposizione per la discussione?
Alberto Rossini

mercoledì 12 agosto 2009

Una torcia nel buio - Una serie tv da segnalare


di Alessandra Daniele
Dopo il geniale ''Life on Mars'', ironico, malinconico, e sottilmente Dickiano, la sf televisiva inglese dimostra ancora una volta la sua superiorità con quello che può essere considerato uno dei migliori prodotti dell'intera storia della tv. Di ottima qualità tecnica, ed eccezionale coraggio politico e narrativo ''Torchwood - Children of Earth'' sputtana il governo inglese, insieme all'alleato-controllore USA, come un branco di patetici sorci capaci di organizzare il più abominevole dei genocidi con agghiacciante efficenza degna di Eichmann, preoccupandosi soltanto di salvare le loro facce da culo.
Evidenti e puntuali i riferimenti all'impalcatura di menzogne di Stato costruita per reggere la facciata della ''Guerra al Terrorismo'', ma ''Children of Earth'' colpisce ancora più a fondo, alla radice stessa del Sistema. Infatti, come l'alieno ricorda sarcasticamente, l'orrido sacrificio umano richiesto ai terrestri non fa che rispecchiare ciò che quel Sistema capitalistico-castale già produce: milioni di vittime innocenti, uccise, o costrette a un'esistenza peggiore della morte, a causa della loro classe di appartenenza. Un alieno che sembra uscito dagli incubi di Lovecraft, accompagnato però da altri puntuali riferimenti, sinistramente biblici come la colonna di fuoco che lo trasporta, e che aggiungono a ''Children of Earth'' un sottile sottotesto ''eretico'', e ulteriormente iconoclasta. Concitato, angoscioso, spietato, privo di qualsiasi scappatoia consolatoria, ''Children of Earth'' inserisce abilmente citazioni di classici da Orwell a Quatermass, da Il Villaggio dei Dannati, a quello di ''The Prisoner'', in un impianto insieme archetipico e originale, marciando inesorabile verso un finale spietato, che ancora una volta dimostra il coraggio della sf inglese in generale, e della miniserie in particolare. Tra gli interpreti, tutti ottimi, a cominciare dai comprimari umani e realistici come se ne vedono di rado, spicca lo straordinario Peter Capaldi, nel ruolo di Frobisher, il personaggio più tragicamente emblematico: un'interpretazione indimenticabile. Nata come spin-off di ''Doctor Who'', la serie ''Torchwood'' ha saputo da subito differenziarsi per toni, tematiche, e scelte controcorrente, come quella di affiancare al protagonista, invece della classica strappona, un serio e compassato compagno gay. Creatore di ''Torchwood'', Russel T. Davies è anche autore della fortunata rigenerazione nel nuovo millennio dello stesso ''Doctor Who'', della quale ha firmato alcuni degli episodi migliori. Come ''The Sound Of Drums'' e ''The Last Of The Time Lords', dominati dal genio beffardo di The Master, un John Simm davvero magistrale che - dopo ''Life on Mars'' - tornerà a sfidare il Dottore quest'inverno nello special ''The End of Time''.''The Sound Of Drums'' in particolare anticipava alcune delle tematiche sociopolitiche di ''Children of Earth''. La scena del movimentato consiglio dei ministri, e quella della provvida disintegrazione di Bush, sono piccoli capolavori degni del Free Cinema.''Children of Earth'' è però un ulteriore enorme salto di qualità, un ''instant classic'' in grado di di tenere inchiodati davanti alla TV ben sei milioni di inglesi per cinque prime serate consecutive, e di entrare di diritto immediatamente ai primi posti della classifica dei migliori assoluti, scavalcando serie più blasonate, che si sono però dimostrate incapaci della stessa coerenza e dello stesso coraggio. Che possa essere d'esempio alla nuova generazione di sf televisiva.

martedì 11 agosto 2009

Primarie e congresso


Sono 820.607 gli italiani che si sono iscritti al Pd. Saranno pure meno di quel milione a cui ammontavano gli iscritti di Ds e Margherita, ma sono tesserati «veri», dicono al Pd; non ci sono le «anime morte», quei fenomeni di tesseramento gonfiato che aveva caratterizzato soprattutto la Margherita. Il dato è stato reso noto oggi, insieme all'annuncio che sono rimasti in tre i contendenti per la segreteria, e cioè Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino, con l'esclusione per insufficiente numero di firme del 'quarto uomò, Amerigo Rutigliano.Intanto, Franceschini ha lanciato un appello, raccolto, almeno sembra, da Massimo D'Alema: «Chi vince il congresso non sia tritato subito dopo». La commissione nazionale per il congresso, presieduta da Maurizio Migliavacca, ha escluso dalla corsa Rutigliano, perchè aveva corredato la propria candidatura da firme di non iscritti al Pd. La griglia di partenza vede dunque tre candidati 'verì, e cioè Bersani, Franceschini e Marino, in un congresso altrettanto vero, in cui ciò non si conosce oggi chi sarà il vincitore. "Veri" e certificati sono gli iscritti di tutte le regioni, comprese quelle meridionali con numeri 'monstrè, come la Calabria (58.454 iscritti su 1,8 milioni di abitanti) o della Campania (119.469). L'Emilia Romagna, con 140.179 tessere resta la regione più Democrat.Franceschini ha incassato l'appoggio non solo di Sergio Cofferati, ma anche della sinistra interna che fa capo alla Cgil, con Paolo Nerozzi, Carlo Podda, Achille Passoni. Certo, alcuni dirigenti del sindacato di Corso Italia si sono visti alla convention di Bersani (Agostino Megale, Nicoletta Rocchi, Fabio Solari o Carla Cantoni), ma i primi sono iscritti e votano già nella prima fase.Cofferati, e con lui Cesare Damiano, ha invitato ad avere un dibattito «senza asprezze, perchè poi il congresso terminerà e dovremo tornare a lavorare insieme, e perchè durante il congresso ci saranno anche accadimenti fuori di noi» a partire dalla crisi a settembre. «Il congresso finisce e il partito resta», gli ha fatto eco Damiano. «Alle primarie negli Usa se le danno di santa ragione - ha detto preoccupato Enrico Farinone - ma lì si contendono la presidenza del Paese».Franceschini ha invitato a «non temere il congresso» che anzi «farà bene» al Pd. Ed ha marcato la differenza tra lui e Bersani: è lui a farsi garante di un Pd «plurale» e non «dominato da una sola cultura» e del fatto che «il bipolarismo non morirà con l'uscita di scena di Berlusconi», con un ritorno «ad alleanze fatte dopo le elezioni». Franceschini ha poi lanciato un appello: «Togliamoci dalla testa che chi vince cominci ad essere tritato subito dopo il Congresso». Immediato il sì di Massimo D'Alema: «Sono d'accordo - ha detto - chi vince il congresso deve essere messo nelle condizioni di governare il partito. Come ha detto Bersani, valorizzando tutte le forze, tutte le personalità che ci sono in questo partito». Tuttavia lo stesso D'Alema ha sferrato un nuovo attacco alla gestione Veltroni-Franceschini, alle primarie, al tipo di congresso che si andrà a fare.Secondo l'ex premier «negli Usa le primarie ci sono per eleggere il presidente degli Stati Uniti, non il presidente del partito democratico». L'ostinazionè per le primarie per l'ex premier va di pari passo con «l'idea di un partito fluido non si sa con chi». perchè «essere iscritto a un partito politico non è un marchio di infamia- scandisce d'alema- ma un segno di partecipazione attiva alla vita sociale». D'Alema dice che non si tratta di rifare il Pc, l'importante è «avere una grande forza organizzata: noi non siamo scalabili, non siamo una società contendibile». D'Alema esterna tutti i propri «dubbi sull'utilità di tuffarci in questo congresso: sarò all'antica, ma inizio già ad essere stanco ora, figuriamoci ad ottobre». il problema è che per due mesi e mezzo ci faremo comizi gli uni contro gli altri: andremo sui giornali solo per il nostro dibattito interno, e questo prolungato dibattito provocherà un appannamento del nostro ruolo». Affondo contro Franceschini: "Dopo aver perso quattro milioni di voti- attacca l'ex premier- avrei chiamato a raccolta il partito. Invece, dal segretario abbiamo sentito l'appello a favore di un congresso per mettere a posto 'quelli di primà. peccato che 'quelli di primà, con l'eccezione del sottoscritto, sostengono tutti il segretario. Avevano così paura di essere colpiti- dice D'Aalema- che sono andati dall'altra parte».

lunedì 10 agosto 2009

Palle d’oltremanica

Il ministro dell’Infanzia inglese Ed Balls (nomen omen) ha presentato un piano da 400 milioni di sterline per monitorare con telecamere a circuito chiuso le case dei ragazzi con problemi comportamentali. Per esempio sarà possibile controllare che i ragazzi vadano a letto all’ora giusta. Ce ne è a sufficienza per rivalutare l’intelligenza di Calderoli.

domenica 9 agosto 2009

Un'analisi e una scelta


Riportiamo un'analisi quasi filologica del confronto effettuato da un iscritto al PD delle 3 mozioni. La sua scelta e' caduta su Marino, ma l'analisi resta valida a priori.
In rigoroso ordine alfabetico, cominciamo l'analisi con la parola nucleare:


Bersani:
Non trovato
No comment!


Franceschini:
No al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo.
Secco, preciso, ma lascia qualche spazio aperto con quel "del passato"...


Marino:
Contrastare il nucleare, pur continuando la ricerca, sostenendo un piano energetico nazionale che punti su efficienza energetica (anche attraverso incentivi e disincentivi fiscali per quanto riguarda i processi produttivi), un mix di energie rinnovabili e mobilità sostenibile.
Articolato, condivisibile quando lascia aperta la strada della ricerca, e dopo il no passa giustamente alle proposte alternative.


Ora proviamo con la parola ambiente:


Bersani:
Noi siamo un partito ambientalista perché siamo consapevoli che la Terra è una sola. Il rispetto per l’ambiente è il rispetto che dobbiamo alla nostra stessa casa. Non crediamo che sviluppo e ambiente siano fra loro alternativi: al contrario, l’ambiente è una risorsa essenziale per la crescita sostenibile, per l’innovazione e il ripensamento dei modelli di consumo.
Coglie il centro della questione, d'accordo, ma lascia questa affermazione un po' isolata.


Franceschini:
L'Italia è la risorsa dell'economia italiana. Difenderla dalla devastazione e dal saccheggio è come per l'economia di un paese arabo tutelare le proprie risorse petrolifere. Anche per questo valorizzare e investire sull'ambiente e l'economia verde deve essere la nostra priorità. La green economy sarà nel prossimo decennio ciò che è stata la rivoluzione informatica negli anni 80, il nuovo motore dell'economia mondiale.
Futurista, ottimista, ma diciamolo, un po' superficiale.


Marino:
La nuova energia dell'ambiente (è il titolo di un capitolo).Convertire l’Italia allo sviluppo ecologico, dell’economia e della vita sociale, in particolare di quella cittadina. Contrastare il nucleare, pur continuando la ricerca, sostenendo un piano energetico nazionale che punti su efficienza energetica (anche attraverso incentivi e disincentivi fiscali per quanto riguarda i processi produttivi), un mix di energie rinnovabili e mobilità sostenibile. Rafforzare gli incentivi per la riduzione di emissioni inquinanti (all'insegna del “cap and trade”), adottare la carbon tax, ridurre l’Iva sui prodotti ecologici, tassare le auto maggiormente inquinanti. Promuovere un consorzio energetico solare tra i paesi del Mediterraneo, così da creare un nuovo rilevantissimo giacimento energetico rinnovabile. Investire sulle nuove tecnologie: eolico d’alta quota, solare a concentrazione, produzione di energia dagli scarti dell’agricoltura (biomasse), energia geotermica di terza generazione. Darci un ordine di priorità nel trattare i nostri rifiuti: prima riusare, poi riciclare, quindi trattare con tecniche innovative al fine di ridurre al massimo la parte residua da incenerire, costruendo un avvicinamento graduale all’obiettivo “rifiuti zero”. Istituire una legge sul regime dei suoli che imponga ai Comuni una contabilità degli usi dei suoli e che sganci la fiscalità locale dal consumo del territorio, trasferendo gli interventi edilizi verso le ristrutturazioni e degli adeguamenti energetico-ambientali degli edifici già esistenti. Promuovere un sistema degli appalti verdi in tutte le forniture della Pubblica Amministrazione e un piano scuola nazionale, per mettere in sicurezza le nostre scuole, per promuovere tra i giovanissimi la cultura della sostenibilità e dare impulso all’edilizia di qualità. Orientare in modo diverso la nostra mobilità, dalla gomma al ferro, e promuovere l’intermodalità. Spostare verso le città il livello delle strategie di contrasto dei cambiamenti climatici, di riduzione dell’inquinamento e di razionalizzazione dei processi di produzione e consumo di energia: verso le città e verso i comportamenti di individui e famiglie che con le loro azioni contribuiscono in maniera sempre più significante ai bilanci energetici e ambientali.
Poca teoria, molta prassi: come dando per scontata la scelta ambientalista.
Segue un diluvio di proposte, molto interessanti. Soprattutto la legge sul regime dei suoli, per contrastare il consumo di territorio.


Tocca ora a legalità:


Bersani:
Legalità è democrazia.
C’è in Italia una crisi di legalità che erode le basi dell’organizzazione civile. Parte del territorio è presidiato dalle mafie, settori dell’economia sono intrecciati con la criminalità; l’abusivismo continua a sfigurare il Bel Paese, i diritti spesso diventano favori; continua l’odiosa violenza contro le donne, il lavoro nero cancella l’uguaglianza e, troppe volte, la vita; imprese e cittadini spesso non possono contare in tribunale sul giusto risarcimento di un danno subito. Se a tutto ciò aggiungiamo le attività criminali legate all’immigrazione irregolare, è facile comprendere perché esploda l’insicurezza dei cittadini, e soprattutto dei ceti più disagiati, costretti a pagare il prezzo dei nuovi venuti, oltre a quello più pesante della crisi, senza vederne alcun vantaggio. La legalità deve garantire la sicurezza, la prevenzione e il contrasto di fenomeni criminali che ostacolano la convivenza civile e alimentano le paure. Su questi temi possiamo passare all’attacco. Il centrodestra, infatti, agita il problema della sicurezza, ma aggrava ogni giorno la crisi di legalità con i condoni. Per proteggere il suo leader non esita a indebolire gli strumenti di controllo dei corpi dello Stato. La legalità non ha a che fare con il colore della pelle, e neppure con il taglio dell’abito. O è per tutti, oppure non è legalità. Noi crediamo che la legge debba essere uguale per tutti: per i ricchi e per i poveri, per gli italiani e per gli stranieri, per i giudici e per i politici, per chi è famoso e per chi non lo è. La domanda di sicurezza va presa sul serio, con una strategia coerente attenta a favorire la libertà invece di soffocarla, a creare un sistema moderno di certezze e di garanzie giuridiche, ad accrescere la convivenza civile. Vogliamo progettare la sicurezza mettendo a fattor comune le diverse risorse istituzionali e sociali, forze di polizia, magistratura, enti territoriali, polizie locali, associazionismo civile e servizi alla persona, assicurando la qualità del lavoro svolto dagli operatori pubblici che hanno il dovere di tutelare la comunità. Per realizzare le riforme abbiamo bisogno non soltanto dell’efficienza, ma anche del buon nome della pubblica amministrazione. Che si ottiene, come per le politiche industriali, attraverso meccanismi permanenti di riforma nelle molte e diverse strutture pubbliche, con strumenti efficaci di valutazione dei risultati e coraggiosi ripensamenti dell'organizzazione del lavoro, anche utilizzando l'occasione delle nuove tecnologie. La destra preferisce insultare la pubblica amministrazione, senza riformarla. E quale credibilità può avere il governo delle leggi ad personam per chiedere ai dipendenti pubblici di essere irreprensibili? Una riforma sana e virtuosa dell’amministrazione comincia dall’alto, con il buon esempio della politica. È una sfida anche per noi. A cominciare dai costi della politica che devono essere equiparati ai costi medi nei principali Paesi europei. Il Pd ha il compito di dare al Paese una classe politica di alto profilo morale, sobria nei comportamenti, animata dallo spirito di servizio e di rispetto per le istituzioni e la comunità. Ci sono nel territorio molti nostri giovani amministratori, cresciuti con questo impegno, da promuovere e da valorizzare.
Molto ben fatto. Centra ottimamente la relazione tra legalità e sicurezza che è fondamentale in tutto il paese. E mi piace molto, quando propone di contrattaccare, ma non imitando la destra, anzi.


Franceschini:
No a tutte le forme di illegalità ambientale, cominciando da una lotta senza quartiere alle ecomafie e dall'inserimento dei reati ambientali nel codice penale. [...] L'applicazione rigorosa delle regole è il presidio della legalità e del contrasto alla criminalità organizzata che uccide le potenzialità straordinarie di interi pezzi del Paese. [...][Il Mezzogiorno] non ha bisogno di assistenza o di aiuti generici ma richiede risorse per ridurre il divario infrastrutturale, per sostenere le imprese che investono, per colmare i ritardi del sistema formativo e, soprattutto, per vincere la battaglia nazionale per la legalità e contro le mafie.
Ancora secco, preciso, ma un po' frammentario.
Non sono d'accordo quando riduce il problema della legalità al Mezzogiorno.


Marino:
Vogliamo un Paese con un forte senso di legalità, rispettoso delle regole, consapevole dell’importanza dei doveri di ciascuno. Vogliamo un Paese sicuro in ogni senso: sicuro sul lavoro, sicuro per le strade, sicuro nelle città, che garantisca la sicurezza dei propri cittadini attraverso una protezione civile che lavori per prevenire e minimizzare le conseguenze delle calamità naturali e non solo per gestirne le conseguenze. Un Paese dove la giustizia sia efficiente, rapida e uguale per tutti. Un Paese in cui viga la certezza della pena e che rispetti la dignità dei detenuti. Un Paese libero dal cancro della criminalità organizzata, dal fardello dell’evasione fiscale, dalla corruzione, dall’inquinamento e dai rifiuti. Che tuteli con determinazione il paesaggio e il territorio, le sue bellezze artistiche e naturali e la sua eredità culturale, unica in tutto il mondo. Vogliamo un Paese che si prenda cura dei più deboli, che sostenga chi è in difficoltà. Un Paese in cui ci si prenda cura di coloro che hanno meno, dove il benessere della comunità sia misurato sul benessere degli ultimi.
Anche Marino centra bene il rapporto tra legalità e sicurezza, ma non approfondisce e, molto pragmaticamente, passa subito a fare proposte, anche se teoriche.


Per il futuro, in concreto, vediamo cosa propongono le mozioni riguardo alle alleanze:


Bersani:
La vocazione maggioritaria non significa rifiutare le alleanze, ma, al contrario, renderle possibili, perché costruite nella chiarezza, sulla base di vincoli programmatici. Non consiste nell’autosufficienza, ma nella capacità di ritrovare una funzione di rappresentanza popolare, e nell’impegno ad elaborare un progetto di governo che convinca il Paese. Non possiamo più confondere il bipolarismo, che è una conquista della nostra democrazia, con il bipartitismo, che non ha fondamento nella realtà storica, sociale e politica del Paese. Il primo banco di prova verrà dalle elezioni regionali del 2010. Sarà necessario sperimentare su basi
programmatiche larghi schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso alternative alla destra. Il nostro impegno comincia ora. I tanti italiani delusi da Berlusconi devono trovarci pronti, quando si volteranno dalla nostra parte.
Ok, abbiamo capito. Viva l'Unione.
Ma possibile che l'esperienza non abbia insegnato nulla?


Franceschini:
Vogliamo tornare a vincere e quindi sceglieremo la strada delle alleanze anche per il governo nazionale, come abbiamo fatto nei comuni e nelle province e come faremo il prossimo anno nelle regioni. Ma dobbiamo dire con chiarezza che non torneremo a quella stagione delle coalizioni frammentate e litigiose, costruite con l'unico collante del nemico. Quel tipo di coalizione che ha sempre colpevolmente coperto la qualità dell'azione dei governi di centrosinistra. Formeremo una alleanza che dia agli italiani la garanzia di un programma condiviso e realizzabile. Credibile non solo per vincere ma anche per poi riuscire a governare. E difenderemo i principi del bipolarismo e dell'alternanza tanto faticosamente conquistati. Non torneremo indietro, ad un centro-sinistra col trattino, basato su una divisione di compiti nel raccogliere consenso o nel rappresentare pezzi di società e che circoscriva la nostra capacità espansiva. Solo ipotizzarlo significa dichiarare fallita l'esperienza del Pd, che è nato proprio sul superamento di quella divisione di compiti e significa non avere capito che quello schema si trascina forse in pezzi di classe dirigente ma non esiste più da tempo nel nostro popolo. Un unico popolo fin da prima che nascesse il Partito democratico.Sembra scritto apposta per distinguersi da Bersani, o viceversa. Sono sicuro che sui media si scateneranno le polemiche sul binomio bipolarismo/bipartitismo, confondendo le idee a tutti i non addetti ai lavori.
Comunque mi sento molto vicino a questa voglia di credibilità proposta da Franceschini, dopo le troppe brutte figure degli anni scorsi.


Marino:
Promuovere nuove alleanze su grandi priorità comuni per l’Europa: la nuova “Alleanza Progressista dei Democratici e dei Socialisti” a cui il PD ha dato vita al Parlamento Europeo non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per costruire un nuovo schieramento progressista e democratico in Europa e una nuova internazionale democratica, nel mondo. [...]
Un partito che guardi all’esterno, che si prenda cura degli elettori di tutto lo schieramento progressista, che apra con loro un confronto, che miri a rappresentarli il più possibile. Un partito che abbia un forte respiro maggioritario, che costruisca le proprie alleanze a partire dal proprio profilo e da quello che vuole per il Paese, non in base alla convenienza elettorale o al mero esercizio politicista di cui abbiamo avuto fin troppi esempi in questi anni. Un partito che non vuole ridurre le proprie ambizioni e la portata del proprio progetto. Un partito che sia ancora convinto che è necessario aprire un lungo ciclo riformista in Italia, e che intenda stabilizzare il bipolarismo. Un partito che voglia restituire dignità alla politica.
Mi piace l'idea del partito che si prenda cura degli elettori.
Marino mi sembra in questo caso sulla stessa linea di Franceschini, o viceversa.


Bene, e allora? Riassumendo.
Sul nucleare e sull'ambiente Marino non ha rivali.
Sulla legalità, sinceramente, l'analisi di Bersani è la più convincente.
Sulle alleanze sia Marino che Franceschini mi sembrano molto vicini a quello che penso.
Naturalmente è importante sottolineare la grande carica di rinnovamento, che a partire dai Piombini ed a seguire al Lingotto, si è concretizzata nella candidatura Marino, supportata da Giuseppe Civati, che conosco ed apprezzo da molto tempo.


Ho già scritto che le persone mi appaiono tutte ottime, ognuna con le sue caratteristiche e diversità, quindi penso e spero che il congresso sappia ragionare sulle idee, in un clima di civile competizione.
Ma viata l'analisi appena svolta in questo articolo, io sostengo Ignazio Marino.