La premessa necessaria a qualsiasi ragionamento sulla presenza di Paola Binetti nel Partito Democratico ha a che fare col modo con cui si eleggono i parlamentari in Italia. Sintetizzo brutalmente. In un sistema maggioritario con collegio uninominale (come quello che c’è stato in Italia dal 1994 al 2006), magari preceduto da primarie di collegio, io non avrei nulla in contrario al fatto che possano essere eletti per il Partito Democratico Paola Binetti o Carlo Giovanardi o chiunque altro. Si candidino alle primarie di collegio, le vincano, si candidino alle politiche, se la giochino e se saranno eletti buon per loro: a quel punto avranno piena facoltà di fare – più o meno – quel che pare loro. In un sistema del genere non c’è linea di partito che tenga: il meccanismo di rappresentanza si regge sul rapporto tra gli elettori e i candidati del loro collegio, che a quegli elettori rendono conto. Oggi in Italia vige un regime diverso. I parlamentari sono eletti in blocco, posizionati in una lista secondo un ordine deciso dal partito che determina la loro eleggibilità. Gli stessi cittadini non votano Tizio o Caio, Paola Binetti o Carlo Giovanardi, ma il partito e basta. Diventa quindi centrale il rapporto tra elettori e partiti, piuttosto che quello tra elettori e parlamentari, e qualsiasi forma di eterodossia di questo o quel deputato rispetto alla maggioranza del partito rischia di irritare iscritti ed elettori, perché tradisce il patto che questi hanno fatto non con Binetti o Giovanardi bensì col partito. Con questo non voglio dire che finché abbiamo il porcellum un partito grande come il Pd deve azzerare il dissenso interno su qualsiasi cosa e diventare il Pcus. Ci sarebbero degli strumenti fruibili già dalle prossime politiche per aumentare il pluralismo e ridurre il fenomeno della “sindrome da tradimento” – comporre le liste attraverso elezioni primarie, una promessa fatta da tutti e tre i candidati leader – ma il nodo della questione è dove tracci la linea, quale sia il limite: prima o dopo Carlo Giovanardi? Prima o dopo Maurizio Gasparri? Prima o dopo Paola Binetti? Perché se l’unico criterio è una vaga “tutela del pluralismo” allora non vedo perché dobbiamo tenere fuori dal partito le posizioni di Borghezio.
Francesco Costa
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