di Alberto Rossini
La crisi, o se vogliamo la rottura, tra il capo del Governo Berlusconi e Fini, può essere letta in molti modi, tuttavia più di ogni altra cosa mi pare che metta in evidenza un punto riassunto dal giudizio apparso sui quotidiani per cui “il Premier regna ma non governa”. E’ un giudizio tranciante ma grosso modo corrisponde al vero. Anche Stefano Folli sul Sole sostiene che questo sia il vero pericolo che sta di fronte alla maggioranza per i prossimi tre anni, se la situazione attuale non venisse superata. La difficoltà del governare, ovvero la capacità e volontà di prendere decisioni più o meno scomode, è il problema vero che ci sta di fronte, non solo a livello nazionale. Mi sembra che anche a livello locale ci sia la stessa identica difficoltà. Non parlo solo del nostro territorio, è una questione che si pone un po’ovunque. Tant’è che si distinguono e fanno notizia e magari vengono rieletti a grande maggioranza, proprio quei sindaci che sanno decidere e compiono scelte che certamente all’inizio scontentano qualcuno, ma alla fine, come si dice in questi casi, pagano. I cittadini capiscono e apprezzano il risultato finale. Penso alla scelta del Tram a Firenze, ma potrei citare tutte le opere di riqualificazione urbana che hanno caratterizzato Torino o le scelte sulla mobilità compiute a Padova, o Venezia.
In questa difficoltà, italiana, ma non solo, penso alla Francia di Sarcozy, sta una sorta di implicita contraddizione, di aporia, della democrazia.
Ovvero per andare al governo occorre vincere le elezioni, per prendere un voto in più dell’avversario è necessario raccontare agli elettori quello che vogliono sentirsi dire, fare promesse, assicurare che tutto verrà deciso senza creare problemi a nessuno. Ma così una volta conquistato il potere politico e amministrativo non si riesce praticamente a far nulla per effetto dei veti incrociati che le diverse lobby e rappresentanze della società reciprocamente frappongono ad ogni progetto da realizzare.
In questo modo nessun vero progetto che incida nella struttura della società o che rompa con le regole e le abitudini consolidate verrà mai attuato.
Certo ci sono delle eccezioni, alcune scelte che comunque si compiono, magari per motivi personali o per la pressione di autorevolissime lobby.
Ciò che mi interessa sottolineare che la ricerca facile del consenso, la demagogia, la retorica usata per far paura e ampliare problemi di natura minore, o promettere facili soluzioni a problemi complessi, è lo strumento con cui si impostano (quasi) sempre le campagna elettorali.
Poi governare è tutta un’altra cosa. Gli esempi potrebbero essere molti: immigrazione, scuola, crisi economica, politiche del lavoro, ecc. a livello nazionale. Mentre a livello locale dove far passare una strada, come trattare gli immigrati, come spendere le tasse locali, dove fare una discarica, sono decisioni difficili che qualcuno dovrebbe pur prendere.
Insomma la democrazia ha i suoi paradossi, ma una classe dirigente (non sono solo i politici!) si riconosce e si valuta dalla capacità di ragionare sui problemi e di risolverli.
La premessa di simile stile di governo non può essere la ricerca del facile consenso, ma il tentativo di convincere la maggioranza esprimendo un proprio progetto ed una propria visione del mondo, fatte di idee e proposte concrete. Se si vince così poi si può governare. Altrimenti è dura….
In questa difficoltà, italiana, ma non solo, penso alla Francia di Sarcozy, sta una sorta di implicita contraddizione, di aporia, della democrazia.
Ovvero per andare al governo occorre vincere le elezioni, per prendere un voto in più dell’avversario è necessario raccontare agli elettori quello che vogliono sentirsi dire, fare promesse, assicurare che tutto verrà deciso senza creare problemi a nessuno. Ma così una volta conquistato il potere politico e amministrativo non si riesce praticamente a far nulla per effetto dei veti incrociati che le diverse lobby e rappresentanze della società reciprocamente frappongono ad ogni progetto da realizzare.
In questo modo nessun vero progetto che incida nella struttura della società o che rompa con le regole e le abitudini consolidate verrà mai attuato.
Certo ci sono delle eccezioni, alcune scelte che comunque si compiono, magari per motivi personali o per la pressione di autorevolissime lobby.
Ciò che mi interessa sottolineare che la ricerca facile del consenso, la demagogia, la retorica usata per far paura e ampliare problemi di natura minore, o promettere facili soluzioni a problemi complessi, è lo strumento con cui si impostano (quasi) sempre le campagna elettorali.
Poi governare è tutta un’altra cosa. Gli esempi potrebbero essere molti: immigrazione, scuola, crisi economica, politiche del lavoro, ecc. a livello nazionale. Mentre a livello locale dove far passare una strada, come trattare gli immigrati, come spendere le tasse locali, dove fare una discarica, sono decisioni difficili che qualcuno dovrebbe pur prendere.
Insomma la democrazia ha i suoi paradossi, ma una classe dirigente (non sono solo i politici!) si riconosce e si valuta dalla capacità di ragionare sui problemi e di risolverli.
La premessa di simile stile di governo non può essere la ricerca del facile consenso, ma il tentativo di convincere la maggioranza esprimendo un proprio progetto ed una propria visione del mondo, fatte di idee e proposte concrete. Se si vince così poi si può governare. Altrimenti è dura….
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