da Repubblica di ieri di LUCIANO NIGRO
Il capogruppo in Provincia presenta oggi il suo documento sulla svolta del partito. Chiede una svolta nel Pd, ma dice che il suo è «un contributo d' idee, non una candidatura». Il corposo documento politico che oggi Raffaele Donini renderà pubblico segnerà l'apertura ufficiale della battaglia che infiammerà il congresso nel Pd. Un dossier di sette pagine che disegna una politica più radicale per i democratici bolognesi, consegnato a dicembre al segretario regionale Stefano Bonaccini e a quello bolognese Andrea De Maria. Rimasta nei cassetti durante la crisi in Comune e le elezioni regionali, la «mozione Donini» punta su un Pd meno «di gestione» e più «di battaglia» sulle questioni della legalità e della moralità pubblica, lui che con la fondazione Caponnetto chiamò a Bologna Santoro e Travaglio. Invita ad affrontare la recessione con radicalità, Donini, come «una crisi di sistema» per la quale non bastano più politiche di compensazione del reddito dei cassintegrati perché «Bologna si salverà solo se oltre alle fabbriche meccaniche saprà sviluppare l'industria della conoscenza e le energie alternative, e creerà occasioni di lavoro nel turismo e nei servizi alle persone». Un'idea radicale dello sviluppo che richiede un ruolo più forte del pubblico e impone un altro rapporto tra governanti e governati («Le elezioni dimostrano che la gente non si accontenta più di essere amministrata bene, vuole occasioni di partecipazione») e un Pd più moderno («un partito delle autonomie territoriali», lo chiama Donini che rivendica un peso maggiore dei comuni e dei circoli). Una vera e propria mozione, come si vede, destinata ad accendere la corsa alla segreteria del Pd che si annuncia lunga e complicata. Donini ha rotto gli indugi nei giorni di Pasqua, dopo aver visto scattare ai blocchi altri potenziali concorrenti.
Sergio Lo Giudice, per esempio, l'ex capogruppo in Comune, presidente onorario dell' Arci gay, che dal suo blog aveva dato la scossa al partito («la città ci chiederà il conto, il malessere è evidente non possiamo far finta di niente e danzare sul ponte in attesa che il Titanic affondi»). Ma anche i trentenni Simone Gamberini e Matteo Lepore, o i ribelli di Nuovo Pd Bologna guidati da Andrea De Pasquale che stasera si incontrano al Baraccano. La corsa al dopo De Maria, insomma, è già iniziata. Anche se tutti stanno ben attenti ad evitare uno scontro tra nomi o clan che la base e gli elettori, dopo il caso Delbono, no n tollererebbe. Perciò i big si tengono le mani libere. Presentano idee, invocano un dibattito vero. «Il pericolo è l' ennesimo congresso senza una discussione schietta e serena», ha detto Donini ai suoi sostenitori. Sulla carta l'ex braccio destro di De Maria dovrebbe essere il "continuatore", appoggiato anche dalle minoranze di Franceschini e Marino, mentre lo Giudice era sostenuto da chi contestava il segretario, in particolare il gruppo che fa capo a Caronna. Ma ci sono altri possibili candidati come Simonetta Saliera, già sindaco di Pianoro e assessore in Comune, donna di formazione Pci-Pds-Ds. E altri pezzi importanti della storia diessina potrebbero gettarsi nella mischia, come Duccio Campagnoli e Virginio Merola. E le carte si stanno rimescolando. I tentativi di trovare un candidato condiviso, alla fine potrebbero convincere i duellanti a fare un passo indietro. La novità è che i primi a scendere in campo lo fanno in proprio invocando un Pd dal profilo più netto. Da una parte il "democratico più laico" Lo Giudice, dall'altra Donini che apre ai cattolici fin dal titolo del documento che richiama le parole Dossetti: «Pensare globale, agire locale».
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