venerdì 27 novembre 2009

Lo stereotipo del camice bianco



Il quadro disegnato da Alberto sull’impellenza dell’implementazione di elementi di ricerca e sviluppo nel nostro tessuto produttivo sono inoppugnabili. Poca innovazione e pochi investimenti portano poco lontano.
E’ comunque necessario affrontare l’approccio a cui piccole e medie imprese sono costrette su questo fronte. In particolare, bisogna chiarire cosa si intende per ricerca & sviluppo in gruppi industriali di grosse dimensioni e cosa si intende in aziende medio-piccole, perche' fatalmente la differenza c'e'.
La produzione industriale, novecentesca, manifatturiera, sempre più tecnologizzata arrivò, per competere, a spingersi fino alle soglie della scienza (e anche oltre). Ci arrivò per nuovi materiali, per nuovi prodotti, per nuovi mercati (gli esempi sono infiniti). Tutt’oggi l’iconografia della ricerca e sviluppo si rifà al camice bianco che in un laboratorio compie una ricerca applicata al prodotto nuovo (per tanti, non si discosta molto dalle immagini dell'MI5 nei film di James Bond). E’, credo, ovvio come una struttura su tale falsa-riga rappresenti, per quasi tutte le attività produttive di dimensioni medio-piccole, un lusso o quasi: nel senso, che non producendo nell’immediato un valore aggiunto, rischia di non essere nelle priorità di tante aziende, soprattutto di quelle il cui fatturato ha una dipendenza molto stretta con la quantità di mano d’opera impiegata.
E’ però altrettanto vero che sarebbe necessario focalizzare l’attenzione dell’innovazione su tutta un’altra serie di fasi produttive che generano, allo stesso identico modo della richerca & sviluppo intesa in senso canonico, sia valore aggiunto (ma in tempi piu' brevi), sia know how.

Intendo dire che l’innovazione applicata, ad esempio, al ciclo produttivo (e non al prodotto in se')o alla gestione della rete di vendita, all’approvvigionamento o alla logistica, magari non incontrano i favori dell’immaginario collettivo (e forse anche di troppi sedicenti esperti...), ma costituiscono un fattore di sviluppo che ha l'enorme vantaggio, rispetto all'innovazione di prodotto (che e' invece fatalmente esposta al rischio della riproducibilita'), di non essere immediatamente replicabile dalla concorrenza.

Tre esempi.

1) Chi e' sufficientemente attempato come me, non fatichera' a ricorare come tra gli anni settanta e gli anni ottanta tutti i settori tecnologicamente avanzati furono aggrediti dalle industrie giapponesi. Dagli orologi alle televisioni, dall'industria pesante (macchine utensili, da legno ecc...) all'automazione fino alle automobili, lo schema che si riproponeva era lo stesso: replica del prodotto "occidentale" (ma non del marchio!) a prezzi imbattibili, il tutto senza far leva sul basso costo del lavoro. Tutt'altro.

La chiave di volta era diventata l'organizzazione del lavoro. La rivoluzione giapponese del settore manifatturiero era fatta certamente di molti fattori (molti dei quali di ordine sociale e culturale), fatto sta che oggi tutte le industrie hanno adottato quei concetti fortemente innovativi, dal toyotismo al controllo di qualita', che portarono il Giappone a dominare il mercato per molti anni. E' solo un esempio (e ce ne sarebbero decine) per sottolineare come innovazione puo' voler dire molto altro rispetto all'idea dei "camici bianchi".

2) E' di questi anni l'innovazione commerciale introdotta dai produttori di caffe'. Identificato, come per molti settori, l'anello debole della propria attivita' nel doversi necessariamente servire della grande distribuzione e volendo, di conseguenza, trovare un sistema altrenativo, ora il caffe' per uso domestico sta vivendo la stagione delle cialde e della consegna a domicilio (con tanto di concessione in uso gratuito della macchina espresso...). Non e' vendita porta a porta (come avveniva, per altro con dubbi risultati, con le enciclopedie anni fa...), ma una rete gestita direttamente sul territorio.

E' un esempio di innovazione di carattare commerciale (come ce ne sono certamente molti altri!) di un'innovazione che non e' ne' di prodotto e ne' di ciclo produttivo, ma allo stesso modo efficace.

3) Nella stessa direzione va lo straordinario esempio fornito dai gruppi di acquisto solidale (gli ormai celeberrimi GAS) che proprio a Rimini hanno raggiunto le dimensioni di leader nazionale. L'esempio e' doppiamente importante perche' tale innovazione commerciale affronta il problema di bypassare la grande distribuzione (con conseguente politica di prezzo!) e lo fa' in un settore in cui per troppo tempo la ricerca & sviluppo (per mano di gigantesche compagnie per le quali la ricerca in senso canonico e' stata una vera miniera d'oro) ha svolto il ruolo perverso dell'introduzione sul mercato delle manipolazioni genetiche e delle rese produttive, mentre i GAS reintroducono sul mercato prodotti non solo tipici, ma autoctoni, biologici e di produzione locale. Quale rivincita per chi a suo tempo ci ha creduto, soprattutto in un settore, quello agro-alimentare, atavicamente meno attrezzato di altri in campo commerciale!

Certo, la scala del fenomeno e' ancora embrionale, non e' certo in grado di risolvere il problema dell'intero comparto, ma nulla vieta che la crescita del fenomeno possa, sotto una guida di alto profilo, raggiungere dimensioni critiche.

E si potrebbe continuare con gli esempi. Pensate che un gruppo enorme come Unicredit, per citare una delle aziende riportate da Alberto, siccome opera nel settore bancario, non faccia ricerca e innovazione? Ovviamente la fa' (eccome...), ma ben lontana dall'idea iconografica della ricerca canonicamente scientifica.

Personalmente, lavorando tutti i giorni in un reparto di ricerca & sviluppo di una brillante azienda locale manifatturiera (genere in via d'estinzione), voglio sottolineare come, pur impiegando sempre personale di alto (a volte altissimo) profilo, l'innovazione e' spesso lontana dallo stereotipo "laboratoristico" di cui all'inizio. Certamente, in Emilia Romagna non manca chi lavora con una vera ricerca scientifica applicata di laboratorio (penso a chi lavora sulle nanotecnologie o nel farmaceutico), ma lo scarto culturale (e la scarsa esperienza di troppi sedicenti esperti) sull'argomento e' piu' di quello che si immagini.

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