martedì 17 novembre 2009

L'integrazione degli stranieri: "La terza unificazione tedesca"


La questione dell'integrazione in Germania è un tema ricorrente. Oggi degli stranieri, ieri dei tedeschi. Su questo argomento, Armin Laschert (nella foto a destra) ha offerto in un bel articolo per la Frankfurter Allgemeine Zeitung una chiave di lettura originale. Il ministro democristiano per l'Integrazione del Nord-Reno Vestfalia ha affrontato la questione dopo che Thilo Sarrazin (nella foto a sinistra) ha rimproverato ai turchi di Berlino di non volersi integrare. Il banchiere centrale della Bundesbank ed ex uomo politico socialdemocratico ha puntato il dito contro i molti immigrati che nel paese vivono senza parlarne la lingua, senza condividerne i valori, senza partecipare pienamente alla vita nazionale. Il problema non è nuovo, né a senso unico. Certo, in alcune città tedesche l'integrazione è limitata, ma molte comunità si sono inserite particolarmente bene e partecipano in prima persona alla crescita economica e culturale tedesca. La Germania conta sette milioni di stranieri, quasi il 10% della popolazione. Nel suo articolo per la FAZ, Laschert sostiene che l'integrazione degli stranieri è per molti aspetti la terza unificazione che la Repubblica Federale è chiamata ad affrontare in poco più di mezzo secolo. Subito dopo la guerra, il governo di Konrad Adenauer dovette fare i conti con l'arrivo di circa 12 milioni di profughi provenienti dai territori orientali del Reich. Erano fuggiti dinanzi all'avanzata dell'Armata Rossa alla fine del conflitto, abbandonando per sempre le loro proprietà e le loro fortune, arrivando per la prima volta nel cuore della Germania. In un discorso nel primissimo dopoguerra, Adenauer mise l'accento sul processo di Eingliederung, di integrazione: "La riconciliazione consapevole dei contrasti sociali" era dal suo punto di vista "l'inevitabile condizione per permettere un'ascesa del nostro popolo".

Non solo fu creato un ministero dedicato ai profughi e ai loro problemi, ma furono anche varate due leggi - la Lastenausgleichsgesetz del 1952, la Bundesvertriebenengesetz del 1953 - e furono investiti 150 miliardi di marchi per aiutare i Vertriebenen, stranieri in patria. La seconda unificazione tedesca è quella del 1989 quando circa 18 milioni di tedeschi orientali sono entrati a far parte della Repubblica Federale dopo oltre mezzo secolo di dittatura prima nazista, poi comunista. Va sempre di moda sottolineare l'Entfremdung, l'estraniazione tra Est e Ovest, ma come non ricordare l'unione monetaria tedesca del 1990, l'imposta di solidarietà del 1991 e il trasferimento di risorse - 1,2 miliardi di euro dal 1990 al 2004 - tra le due regioni del paese. Bene o male milioni di ex cittadini della DDR si sono rifatti una vita, abituandosi alle regole della democrazia. La terza unificazione tedesca, secondo Laschert, è quella che riguarda i numerosi immigrati che abitano in Germania. Il 38% di coloro che oggi hanno meno di sei anni ha radici straniere, in altre parole ha genitori o nonni nati all'estero. L'uomo politico democristiano fa notare che in alcune città il 40% della popolazione destinata ad andare in pensione nel 2025 ha origini straniere. E' per molti versi l'élite del futuro. Naturalmente tra le unificazioni precedenti e quella a cui è chiamata oggi la Germania c'è una differenza importante: la lingua, che sia i Vertriebenen dei territori orientali che i cittadini della DDR avevano in comune con i tedeschi della Repubblica Federale, a differenza degli immigrati di oggi. Ciò detto, Laschert è convincente quando sostiene che l'integrazione degli stranieri sarà realmente possibile solo quando la Germania tornerà a essere una Aufsteiger Republik, una repubblica fondata sull'ascesa sociale. Da questo punto di vista, l'esperienza tedesca potrebbe forse contenere suggerimenti per altri paesi europei, a iniziare dall'Italia.

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