domenica 8 novembre 2009

Il bar dei giovani senza fissa dimora


Un'amica che insegna ad Architettura mi ha interpellato, giorni fa, per sottopormi un problema. Nelle ore dedicate a Laboratorio, come ogni anno, ha proposto agli studenti un esercizio di progettazione. In questo caso: un bar. Da organizzare, negli spazi e negli arredi, secondo gli stili di vita e di consumo della loro generazione. Ha incontrato subito imbarazzo, più che perplessità. Come di fronte a un'ipotesi improbabile. Chessò: organizzare un torneo di calcio per i ragazzi del quartiere in un cortile. Quasi che i cortili esistessero ancora. Oppure, servissero a stare insieme, giocare, parlare, incontrare altre persone. Naturalmente non è così. I cortili servono ormai da parcheggi. La gente vi si ferma solo per transitare verso l'ingresso del condominio. Per rientrare a casa il più presto possibile. Quando si incontra un'altra persona perlopiù ci si limita a un saluto frettoloso. Buongiornobuonaseracomeva? Poi ciascuno per la propria strada. Tanto non si conoscono. Così i bar. Non sono più quelli di una volta. Dove si passava il tempo - dentro - a parlare, giocare, bere, fumare. Guardare la tivù. Intorno ai tavoli, al biliardo. I bar come riferimento sociale e territoriale, a cui si affidava la propria identità. Perché a ogni bar corrispondevano un gruppo oppure molti gruppi caratterizzati da comuni modelli di valore oppure da comuni gusti - in fatto di musica, motori, calcio. Ma anche da comuni orientamenti politici e ideologici. Quei bar non ci sono più. Perché, anzitutto, i giovani non hanno più "un" bar di riferimento. Perché non hanno più uno specifico modello culturale, di consumo oppure politico che li definisca. Perché non hanno più una sola compagnia con cui trascorrere il tempo. Perché non hanno una identità con un solo centro e una sola cerchia sociale di riferimento. I giovani - e soprattutto i più giovani - hanno, perlopiù, piccoli gruppi amicali, di poche persone. Spesso non esclusivi. Nel senso che frequentano persone diverse. Appartengono a gruppi diversi. Per cui non ha senso fermarsi in un bar, ma neppure in un luogo specifico. Ne visitano, invece, molti dove incontrano persone e gruppi diversi. Per cui lo spazio dei bar è molto spesso rivolto all'esterno, più che all'interno. Un bancone, gli amplificatori che sparano musica, tavolini e sedie fuori, sui marciapiedi o sulla piazza. Ma in molti casi i giovani restano in piedi. A bere, chiacchierare, ridere, mangiar qualcosa. Poi si spostano altrove. Sempre in piccoli gruppi oppure da soli. A casa di qualcuno oppure al cinema. O in un altro bar, dove incontrano altri gruppi di giovani. Poi, dipende dagli orari. Dai giorni. Se è festa o vigilia di festa. Se è mattino, pomeriggio, notte. Sono luoghi di passaggio, i bar. Non centri di aggregazione e di socialità. Stazioni disposte lungo itinerari complessi, che raffigurano bene la complessa (ricerca di) identità dei giovani. Un'identità mobile e - necessariamente - incerta. I bar, come i social network, Facebook oppure Twitter, sono pagine dove si cercano amici, con cui si dialoga. Diverse pagine, costruite da persone diverse, talora intorno a un obiettivo, un proposito, una parola d'ordine. Dove incontri persone note, altre meno note, altre del tutto sconosciute. Che tali restano, anche se ti propongono il loro profilo. I bar si sono adeguati in fretta a questi cambiamenti sociali. Il mercato, del resto, è sempre pronto e rapido a trasformare le novità culturali sul piano dei consumi. I bar oggi non sopportano una clientela (troppo) fissa e soprattutto (troppo) stabile e stanziale. La loro offerta varia di continuo, a seconda dell'ora e del giorno. Pasticceria, macchiatoni e cappuccini per la prima colazione, poi, a metà mattina, spuntineria e all'ora di pranzo, fast food, paninoteca. Per diventare, a tardo pomeriggio e fino a sera inoltrata, luogo di happy hour, che accompagna l'aperitivo ma può anche sostituire la cena. Infine, più tardi, cambia ancora. È semi-discoteca, pub, birreria. Dalla mattina a notte inoltrata: molti bar nello stesso bar. E molte persone diverse, molti giovani diversi, da soli o in compagnia. Per cui progettare un bar "dedicato" non ha senso. È come progettare una dimora fissa per i nomadi. E i giovani, i più giovani, in fondo, sono una generazione nomade. Senza fissa dimora. Anche se risiedono a lungo, molto a lungo, nella casa dei genitori. Ma sono sempre di corsa, sempre di passaggio. Senza territorio. Non hanno un posto fisso - non ci riferiamo solo al lavoro. E, forse, neppure lo cercano. Per ora, almeno. Domani chissà. Però domani è troppo avanti, troppo in là, troppo futuro, per una società - e una generazione - dove il futuro, più che imprevedibile, è imprevisto.

di Ilvo Diamanti

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