martedì 30 giugno 2009

Visto da qui


Luca Sofri tenta una sintesi su quanto successo a Torino sabato. A noi pare un'analisi sicuramente condivisibile. Il tutto e' facilmente declinabile in chiave riminese (anche alla luce di quanto emerso ieri sera al Circolo, ovviamente per chi c'era).

Da cronista ed eventuale futuro biografo della storia della presa del potere da parte di una nuova classe dirigente (dico sul serio? scherzo?) vi dico che sensazioni ho sui pensieri che animano l’esteso gruppo di persone che è cresciuto in questi anni intorno alla candidatura alle primarie di Ivan Scalfarotto, alla discussione nei Mille, alle riunioni di Piombino e del Lingotto di sabato. Sono molti e lunghi, come vedrete se volete.


1) Bisogna sempre rispondere a richieste le più varie e soprattutto contraddittorie. Un esempio notevolissimo è questo: per anni è stata contestata a questo progetto la superficialità di una pretesa di rinnovamento semplicemente anagrafico. Le cose non stavano così, ma la contestazione era strumentale e bastian contraria. Poi due giorni fa circola sui giornali – a caso, come al solito, e come vedremo – la notizia che questo gruppo vorrebbe candidare Chiamparino, e gli stessi di prima allora criticano il fatto che il ricambio generazionale si risolva in uomo dell’età di Chiamparino.


2) Ma non è degli attacchi capricciosi e interessati che mi interessa: quelli ci saranno sempre e appena il gallo canta la mattina c’è uno che scrive un articolo o una mail per dire “canta, canta: ma dove sono le idee?”. Invece, piuttosto, ci sono molte persone in buona fede che hanno grandissime speranze e aspettative, e un carico di vecchie delusioni e disincanti, ed è con queste persone che si sta lavorando e per cui è stata organizzata la riunione del Lingotto. Ma anche qui, le stesse persone che dicono “non facciamone una questione di leadership” e chiedono idee, contenuti, un progetto convincente, quando poi li vedono, dicono: “bel progetto, convincente: ma il candidato?”.


3) e hanno ragione. Perché è anche una questione di leadership. E una delle poche cose che sbaglia Debora Serracchiani nelle sue elaborazioni è l’uso (secondo me sbadato, e utile a una sua scelta) di espressioni come “non abbiamo bisogno di un Messia”. Perché invece un Messìa è una cosa fantastica, e ne avremmo un gran bisogno, e l’ultima volta che ne è venuto uno vero ci ha insegnato un sacco di cose, e se non arrivava lui quelle cose mica le imparavamo e le costruivamo da soli appoggiando San Tommaso. Un leader vero, una persona che guidi un progetto, che ne sia il comunicatore convincente, che ne sia modello, è un dono benedetto per qualunque causa. Ma se vi facessero paura questi allegri paragoni sacri, tornate sulla terra, e pensate a chi avesse detto a Martin Luther King, a Gorbaciov, a Gandhi, a Barack Obama “non abbiamo bisogno di un Messia” e li avesse convinti ad appoggiare Franceschini o Bersani, in nome di un percorso di concretezza che attraverso successivi compromessi e pragmatismi avesse permesso di ottenere dei bus solo per i neri ma più comodi, o un sistema sovietico più aperto, alla cinese, o un protettorato inglese sull’India, o una presidenza Hillary Clinton ma con “il primo vicepresidente nero degli Stati Uniti”. Certo, un Messia bisogna averlo: o almeno qualcosa che gli somigli rispetto alle necessità. Ma se non c’è, stiamo solo parlando di un candidato che sostenga un progetto, e l’espressione sul Messia è ancora più insensata e retorica. Abbiamo bisogno di uno/una con cui cambiare le cose.


4) c’è una differenza di visione tra me e Debora Serracchiani su una cosa. Lei pensa che l’obiettivo sia cambiare il PD, subito, e sta cercando il mezzo. Io penso che l’obiettivo sia cambiare l’Italia, col tempo, e che il Pd debba esserne un mezzo. Lei è concreta e io scemo, direte voi, e capisco la posizione: capisco anche quella di Debora in effetti. Ma sarà che sto invecchiando – anche se i lettori del presente blog conoscono da tempo questa mia inclinazione – io penso lucidamente che “turarsi il naso” o comunque ogni sacrificio delle proprie intenzioni per scongiurare mali peggiori si siano dimostrate strategie perdenti. Ripeto: perdenti. Non penso siano sbagliate moralmente, e che non si debba scendere a compromessi: tutt’altro. Ma che ormai decenni di esperienza della politica di questo paese abbiano dimostrato che scegliere il male minore ha aiutato il consolidamento di mali sempre maggiori. Cornuti e mazziati. Avessimo cominciato prima a fare le riflessioni che stiamo facendo ora sulla necessità di cambiare radicalmente marcia, uomini e metodi, non staremmo dove siamo. E mi fermo prima di rinfacciarlo personalmente a chi è stato complice di questo tipo di scelte. Insomma, credo che si debba fare un progetto, e stick to it, come dicono gli americani. E che la scelta del percorso debba essere coerente col progetto più ancora che il raggiungimento dell’obiettivo. La scelta del percorso è il progetto.


5) a questo punto uno immagina che io stia introducendo il suggerimento di far partorire al gruppo dei piombini un loro candidato. E siamo alla questione di queste ultime ore, quella di una sorta di “delusione” da mancato annuncio al Lingotto. Questione complicata dai report giornalistici di quella giornata che sono stati in alcuni casi superficiali e in contraddizione con le sensazioni di chi c’era (i giornali vogliono il sangue, la notizia, il titolo: altrimenti si risentono e vi dicono che siete pavidi). Vi basti sapere che i due interventi piombini più applauditi – quelli di Pippo Civati e Oleg Curci – sono avvenuti nella prima ora di lavori e molti dei giornalisti che ne avrebbero scritto ancora dovevano arrivare (altri sono stati solerti e attenti, ma li leggono in meno). A quel punto lì, per chi era venuto, ne era già valsa la pena. E vi basti sapere che, salvo alcuni applausi scettici sulle cose condivise, i due interventi dei candidati maggiori sono suonati debolissimi e inadeguati, e questa è un’ulteriore ragione a conforto dell’aver chiesto loro di intervenire. E diciamo anche che l’idea che gli organizzatori del Lingotto, dopo averlo negato per settimane ai giornalisti e a chiunque, e aver sostenuto di avere altre priorità, a sorpresa chiudessero la giornata con un plateale e unilaterale annuncio di candidatura estratta dal cappello era piuttosto impensabile, no? Se e quando avranno un candidato o un’idea di candidato, lo diranno e ne discuteranno, coerentemente, senza fare i buffoni.


6) come ho detto, io sono convinto che la questione della leadership sia centrale – e appena diminuita dalla povertà dell’offerta attuale – e ne parlo volentieri. Basta che ne convengano tutti, e non si stia i giorni dispari a dire “non personalizziamo, non è questo che conta, l’importante è il metodo, conta la politica” e i pari a chiedere ansiosamente “ma chi candidate? quanto ce l’avete lungo?”, eccetera. E allora le chances sul piatto al momento sono le seguenti, e prendete l’analisi come completamente ed esclusivamente mia.


7) Ci sono due candidati forti. Uno, Bersani, è distante dalle intenzioni politiche e di metodo dei piombini e del loro mondo di italiani spazientiti, in quasi tutto quello che dice, nel gruppo e nella storia che rappresenta, e nella sua esibita percezione del mondo. E tra questo mondo di persone che erano al Lingotto o ne hanno seguito le discussioni, chi lo tiene in considerazione è quindi una mosca bianca ascoltata con curiosità e meraviglia dagli altri. Massima stima e niente di personale, ma un altro mondo.


8) L’altro dice alcune cose più simili a quelle dette dagli altri intervenuti sabato. Ma solo alcune, e solo da poco, e con un altro linguaggio. L’impressione è che con tutta la buona volontà, anche Franceschini sia un altro mondo. Io credo sinceramente che sia andato via da Torino certo di avere fatto un intervento convincente e di grandi aperture: è una questione di gap di comunicazione e mondi. In più, malgrado una diffusa voglia di credergli (”fosse vero!”), le persone non ce la fanno: le ho viste, le ho sentite. Quando ha detto che vuole rinnovare la squadra, metterci dentro giovani amministratori, forze nuove, sottrarsi al gioco delle correnti, era forse la cosa più ovvia e condivisa dalla sala. Eppure l’applauso è stato esitante, trattenuto: come a dire “bravo, bell’idea, ma ne riparliamo quando l’ho vista”. Facciamo però uno sforzo, e diamole credibilità, come è giusto provare a fare: dove porterebbe, nel migliore dei casi? Io non riesco a figurarmela, un’emancipazione di una leadership Franceschini dal fronte retrogrado e postdemocristiano di cui sarebbe in parte espressione, per esempio. E non mi immagino lui e il suo modo di vivere la politica (quello di quasi tutto il PD attuale) che si fida di altre idee e altre storie che non siano le sue e quelle dei suoi. E aggiungo che lo vedo anche molto in difficoltà: appoggiarlo scendendo a patti con se stessi e prendendo i rischi del bluff potrebbe anche non portare a nessun risultato apprezzabile.


9) Sulla terza candidatura circolano tre scenari personali, con diversa plausibilità, al momento. Comincio da quello che aiuta anche a spiegare il senso degli altri. Il gruppo del Lingotto e quelli che li ascoltano hanno ai miei occhi al momento un solo nome spendibile con qualche efficacia in una candidatura propria, ed è quello di Pippo Civati. Esce dal consenso che ha saputo creare nella sua regione, con le cose che fa e dice, con il suo blog su internet, e con lo spazio che gli danno i giornali, avendone intuito le capacità e il seguito. Quindi giudico una candidatura piombina come se fosse quella di Civati, ché altre tatticamente plausibili non ce ne sono, pur essendoci diversi bravi altrettanto (escludo Serracchiani da queste valutazioni, che la sua candidatura mi pare sia esclusa da lei stessa: ci ripensasse, ne parleremo). Civati è bravo, molto apprezzato, e là fuori c’è un mondo desideroso di appoggiare lui o comunque la chance che rappresenterebbe di cambiamento di rotta e metodo. Molti, moltissimi, insistono. E Civati ha anche un buon pezzetto di “radicamento sul territorio” e rapporto col partito, che non ha nessuno degli outsider con cui collabora. Ma se volete il mio giudizio – ed è il giudizio di uno che darebbe a Civati le chiavi di casa – gli ostacoli costruiti a barriera di una simile candidatura, attraverso il funzionamento di circoli, tessere, regolamento e partito, sono molto più alti di quelli che immagini chiunque non ci sia dentro. Se avessi una qualche fiducia che possa essere in gioco tra i tre delle primarie, lo direi qui subito e lo direi a lui. Credetemi. Se qualcosa creerà questa fiducia – un sostegno, una garanzia, un appoggio solido dentro al partito – lo dirò. Oggi, penso che non ne valga la pena, che avventure per cercar la bella morte ne sono state intraprese a sufficienza. Oggi siamo un passo oltre, ed è bene, ed è bene ricordarselo.


10) Dal Lingotto sono uscite altre due chances, assai distanti. Una è che si candidi Ignazio Marino, a furor di popolo. Ma quanto è grande quel popolo? E non bisognerebbe usare un po’ di testa, e non solo di cuore, nel trasformare un grande apprezzamento personale e puntuale in un’affinità politica? Al momento non esiste non solo la candidatura Marino, ma neanche una visibile affinità sulle molte cose di cui si dovrebbe occupare un partito. In più, potrebbero valere per lui le stesse prudenze di cui sopra, e forse maggiori ancora: che forza ha? A me pare un bel rapporto da costruire, non un portabandiera.


11) Poi c’è ’sto benedetto Chiamparino. Che è molto stimato per il suo lavoro da sindaco (e io condivido questa stima). E sa il fatto suo e conosce un partito. Vicinanza politica con i piombini: bassina. Però un’impressione di maggior facilità di comunicazione e comprensione dei due candidati maggiori, e di possibilità di proficua collaborazione. Si candidasse e chiedesse aiuto e complicità, la sua richiesta sarebbe più credibile di quella dei suoi rivali (uno manco l’ha presentata, peraltro). E sicuramente, anche guardandola da fuori, la sua sarebbe una candidatura di maggior spariglio dei giochi che non le altre due. Ma questo basta, ai piombini? E comunque, deve ancora decidere.


12) E allora? E quindi? E ora? Questo chiedevano in molti dopo il Lingotto, e continuano a chiedere. E il fatto è che lo chiedo anch’io. Vorrei una scelta che mi convinca, e non la vedo. E non appoggio e men che mai promuovo scelte che non mi convincono, per le ragioni di cui sopra: stick to it. Ma mi fido di quello che decideranno le persone che hanno lavorato a tutto questo, e che – bisogna riconoscerglielo – hanno guadagnato con pochissime forze e un sacco di lavoro uno spazio e una rappresentatività enormi. Sono stati bravi, finora, lo saranno ancora: io ho pazienza e mi fido.

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