mercoledì 24 giugno 2009

Mai più "liquido"


Molto sollevati e poco soddisfatti.
Sintetizziamo così il risultato di queste elezioni provinciali che hanno visto il successo del nostro candidato Stefano Vitali.
Molto sollevati in quanto un ballottaggio si porta dietro una cospicua gradazione di ansia da incertezza e la vittoria piuttosto netta, che emergeva già dai primi dati, ci ha messo al riparo da brutte sorprese.
Poco soddisfatti visto che il dato politico del PD (in particolare quello di Rimini città) reclama giustizia al cospetto di Dio per una decina di punti percentuali persi rispetto al 2008. E’ vero (e per fortuna che lo è) che anche la PdL non ha, come si dice, sfondato, ma è pur vero che siamo a Rimini, in uno dei templi dei quel modello amministrativo emiliano-romagnolo che è il vessillo più riconoscibile dell’orgoglio del centro sinistra italiano.
Tanto per dare un’idea, dei 12 consiglieri eletti per il PD al Consiglio provinciale (escludo dal computo il Presidente per ovvi motivi), sapete quanti ne sono stati eletti nei collegi di Rimini città? Due…
Gli altri nove sono tutti stati eletti nei collegi dei comuni della Provincia.
Sapete quanti ne ha eletti negli stessi collegi la PdL? Sei…
In prospettiva comunale c’è da aver paura. Tanta paura.
Qualcuno dice che si è tappata la falla, si è bloccata l’emorragia e il risultato riminese rispecchia a tutto tondo in quanto emerso dal quadro nazionale. Questo sta a indicare come i problemi su scala nazionale sono gli stessi riscontrabili a Rimini.
Bene. E adesso?
Quale cura?
Sarà un percorso lungo, ma con lavoro e impegno porteremo avanti il cambiamento del Paese”, dice Franceschini.
E su quanto detto dal segretario c’è ben poco da dissentire. Tutt’altro. C’è tanto da meditare e costruire. A Rimini, comunque, un dato positivo che non è emerso nel quadro nazionale già ce lo abbiamo. Mi riferisco a quanto rimarcato da Stefano Vitali (e giustamente già riportato su questo blog) a proposito di una campagna elettorale sostenuta tra le persone “in carne e ossa”. Si è rivista la volontà di intendere il lavoro politico come contatto diretto, come capacità di spendersi e come volontà di “farsi vedere”. Un partito come il nostro, che non può non essere popolare, che non può non essere fatto di persone in cui la gente si riconosce, deve fondarsi su questo genere di rapporto con il suo territorio.

Il tipo di campagna elettorale scelto da Stefano Vitali, va detto a chiare lettere, è stata faticosissima. Lo sappiamo bene noi del Circolo di San Giuliano che abbiamo fatto del radicamento sul territorio e del rapporto con i cittadini (prima che con gli elettori) la nostra bandiera.
Ma i risultati si sono visti.
Purtroppo non so se si possa dire lo stesso per tanti (troppi) candidati del PD al Consiglio provinciali, le cui campagne elettorali sono state tutt’al più timide (eufemismo), abbandonate quasi completamente al traino garantito da quella del candidato alla Presidenza. Andare nel proprio collegio (che dovrebbe essere anche il proprio quartiere, o il proprio paese…) e agire da punto di riferimento per i propri vicini di casa, far sentire la presenza del partito sul territorio, svolgere un’azione nel quotidiano che sia a suo modo sociale, di servizio, sono pratiche che pagano in credibilità e consenso.
Il percorso e il risultato di Roberto Maldini, il nostro candidato nel nostro collegio (storicamente ostile!) sia al primo turno che al ballottaggio è un esempio.
E il lavoro deve cominciare soprattutto quando in campagna elettorale non ci si è, quando sulla chiave di lettura del cittadino non grava il legittimo sospetto di un certo opportunismo contingente.
Sì, ve lo confermiamo “dal basso” dell’esperienza che abbiamo maturato dalla nascita del PD a tutt’oggi, fare politica in un partito che deve essere popolare, è faticoso, molto più che sperare che un altro caso-Noemi ci offuschi un avversario ormai, forse, a corto di fiato.
Ma è la strada vincente.

La forma partito che questo passaggio storico ci impone di mettere in campo è ben diversa da quella “liquida” invocata da certi notabili del partito nazionale ai tempi della fondazione del PD, è ben diversa dagli atteggiamenti arroganti di chi si sottrae al confronto con i cittadini. Questa campagna elettorale ci ha dimostrato come i contesti “burocratizzati” di discussione incestuosa tra addetti ai lavori sono prima inutili e poi avvilenti (a meno di non considerare eventi con un uditorio numericamente meno folto del tavolo dei relatori “una preziosa occasione di confronto”…).

Il confronto va affrontato sui temi, sugli argomenti, sui nervi scoperti, tra la gente. Allora sì che idee e persone in grado di entrare nei problemi dei cittadini riusciranno fatalmente a dare quella consistenza prima di tutto culturale che è oggi il primo vuoto da colmare nel PD (che è la principale colpa di questo gruppo dirigente). E quel rinnovamento invocato ormai anche dai sassi deve avere negli argomenti di cui sopra, prima ancora che nell’aspetto anagrafico dei suoi protagonisti, la sua stella polare.

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