giovedì 18 giugno 2009

Un segretario per cosa?


Il risultato delle elezioni può essere letto in molti modi, a seconda dei punti di vista e delle convenienze. Una più attenta valutazione andrà fatta tenendo conto dei ballottaggi. Anche da noi sarà necessario approfondire molte questioni. C’è un dato però che impressiona: la sconfitta della sinistra in Europa. La sinistra ha perso In Italia, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Germania. Insomma un po’ dovunque. Barbara Spinelli su La Stampa ribadisce come la sinistra non sia stata capace di fornire una risposta alla crisi e abbia appena balbettato qualche parola, ma niente che avesse a che fare con un progetto e ancor prima con una visione, neppure alternativa, ma almeno differente dalle proposte della destra.
Una destra sempre più governativa, sempre più pragmatica, persino cinica nel sapersi adattare alle diverse situazioni, capace di offrire sicurezza ai cittadini, dopo averli spaventati, di recuperare un modello di welfare statale che aveva deprecato, di farsi persino anti capitalista, sull’esempio di Tremonti.
La sinistra che fa? Sembra finita in un impasse da cui è incapace di uscire. L’unica novità pare emergere dal successo dei verdi tedeschi guidati da Daniel Cohn-Bendit, famoso leader del ’68, ora convinto ambientalista e sostenitore di un modello sociale in qualche modo vicino alla suggestione della decrescita, teorizzata da Serge Latouche.
Al di là delle alleanze politiche e del dibattito che si sta aprendo in vista del prossimo congresso del PD, credo che si possa uscire dalla crisi solo avendo in mente una strategia, una visione complessiva della società differente dall’attuale e quindi non ci si può fermare solo alla tattica.
In questo senso è stucchevole sentire proporre un nome piuttosto che un altro quale futuro segretario del PD. Un segretario per fare che? Senza dare una risposta seria alla domanda siamo destinati a cambiare segretari come Moratti un tempo cambiava allenatori.
Sarebbe peccato mortale proporre una soluzione o addirittura la soluzione. Prima di tutto perché sarebbe un’idea di altri tempi, di quando si pretendeva di spiegare il mondo e quindi anche di cambiarlo. Il problema è che il mondo non riusciamo più ad interpretarlo e la confusione, il caos, che scorgiamo e che non riusciamo a sopportare lo fuggiamo, tentiamo accuratamente di metterlo tra parentesi e facciamo di tutto per dimenticarlo.
Per capirlo il mondo abbiamo bisogno di un racconto, di una narrazione che sia in grado di farcelo capire e cogliere nel suo insieme. Questo facevano i miti, quelli ad esempio della Grecia antica o le grandi cosmologie di provenienza orientale, lo stesso si potrebbe dire delle grandi religioni monoteiste.
Credo che il successo del grande fratello e di tutte le trasmissioni simili, vada spiegato ricorrendo al mito della caverna di Platone. Non riesco a capire cosa succede nel mondo, nel senso che ne ignoro le leggi fondamentali e neppure intuisco poiché accada una cosa come l’attentato alle torri gemelle o perché i “derivati” producano una catastrofe finanziaria senza precedenti. Allora osservo un micro cosmo che non mi coinvolge personalmente e del quale i meccanismi che lo regolano mi sono chiari: primo perché è un format e quindi ha regole precise, poi perché con varie astuzie ogni volta mi viene riepilogato ciò che avviene. Lì posso stare tranquillo. Insomma direbbe Platone non guardo la luce perché mi accecherebbe, guardo le immagini riflesse, per di più artatamente costruite che mi paiono reali, anzi sono la realtà.
Peraltro vorrei notare, senza una punta di catastrofismo, che siamo sempre più immersi in un mondo virtuale: la rete ormai è un dispositivo che pervade la nostra vita sociale e non solo. Ho trovato straordinaria, per provare capire il senso del mondo, la lettura dell’ultimo libro di Mario Perniola, filosofo italiano che possiede un punto di vista originale, come pochi altri (Agamben, Severino, Cacciari, ad esempio).
Perniola probabilmente inorridirebbe del fatto che il suo Miracoli e traumi della comunicazione, pubblicato da Einaudi, venga usato per spiegare la crisi della sinistra, eppure voglio tentare. Il testo, molto denso, pone questa domanda: come si possono spiegare alcuni fatti quali il Maggio francese del ’68, la rivoluzione iraniana del ’79, la caduta del muro di Berlino dell’ 89 e l’attacco alle Torri gemelle di New York? Non si possono spiegare o meglio non siamo stati in grado di comprenderli, poiché li abbiamo percepiti solo come eventi della comunicazione e quindi ci sono apparsi come “miracoli e traumi”, privi di qualsiasi logica. Impossibili eppure reali, proprio come diceva una frase di Battaille, ripresa dal movimento studentesco del ’68.
Nel momento in cui la comunicazione ha avuto il sopravvento rispetto alle grandi ideologie dell’800 e del ‘900, basate prima sull’uomo produttore e poi sull’uomo consumatore, è terminato ogni riferimento alla verità effettuale delle cose. E’ tramontato il riferimento alla storia intesa come insieme di azioni che determinano il cambiamento del mondo. Tutto sembra essere contemporaneamente immutabile e in divenire, come le contrattazioni in borsa che cambiamo secondo dopo secondo senza produrre un mutamento sostanziale. O come avviene con le notizie aggiornate in tempo reale dalla agenzie ma che sembrano, un minuto dopo, sempre le stesse. Viviamo - è questa la tesi di Perniola - in un regime storico di presentismo in cui ogni evento sembra uguale all’altro e in cui è praticamente impossibile attribuire valori e significati diversi alle cose. “Il fatto si dissolve in notizia, l’evento diventa un simulacro al di là del vero e del falso, l’azione si liquefà in comunicazione”.
In questa situazione si comprende meglio il potere mediatico di Berlusconi e di altri capi di governo, l’indifferenza ai fatti, il prevalere di un cinico comportamento per cui i nemici di ieri diventano alleati di oggi, l’ossessione per la propria immagine e il trionfo del gossip. Non vale più neppure il principio di non contraddizione e tutto si può giustificare e permettere alla luce dell’interesse e del risultato finale.
La sinistra, questa è la mia conclusione, non può vincere in un sistema di regole in cui non esiste una visione diversa da affermare, in cui in qualche modo non si produca uno scarto che affermi la prevalenza della verità effettuale delle cose. Come fare rimane il grande problema. Eppure iniziare a ragionare del mondo che vorremmo è già un primo fondamentale passo, altrettanto importante è il modo in cui pensiamo di arrivare alla meta. Ecco perché l’analisi del voto e il modo in cui discuteremo per arrivare al congresso, proponendo strategie politiche e non solo alleanze non sono affatto secondari. Sono non solo forma ma sostanza. Fanno parte della soluzione del problema!


Alberto Rossini

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