mercoledì 10 febbraio 2010

"Questo Pd è da cambiare" parola di Nicola Zingaretti


Riforme. Innovazione. Ruolo dei quarantenni. Il leader della provincia di Roma dà l'agenda a Bersani.

L'ultimo dei giovani di stirpe Pci è il moderno presidente della Provincia di Roma, poco interessato alle beghe interne al Pd e molto alla scrittura di una nuova agenda politica.

"Sono orgoglioso di essere cresciuto accanto a Bettini, Fassino, D'Alema, Veltroni. Ho presieduto i giovani socialisti e una sera mi è capitato di fare le tre di notte davanti a una birra con Felipe Gonzalez per parlare di politica italiana", racconta Nicola Zingaretti: "Oggi però dobbiamo fare un'operazione rinnovamento e Bersani è in grado di farla. Altrimenti, ci penserà qualcun altro".

Cosa succederà dopo le regionali?
"Vedo il rischio di cullarci nell'illusione che tutto è risolto, se le cose dovessero andare bene. O dell'ennesima faida, se dovessero andare male. Due pericoli da evitare. L'ossessione sulle leadership deriva dal nostro deficit di cultura politica. In tutti i paesi occidentali si confrontano riformisti e conservatori, ma la politica è cercare di capire una società in cambiamento. Solo noi ci fermiamo alla discussione sui contenitori".

Per quale motivo?"Fatichiamo a trovare proposte nuove. Blair in Inghilterra non parlò di cambiare il nome al labour, selezionò una nuova generazione di dirigenti sulla education, la scuola. Zapatero in Spagna ha innovato culturalmente sui diritti e ha vinto su questo. In Italia nella migliore delle ipotesi siamo alla nostalgia: proponiamo un Paese che c'era e che non c'è più".

Parla di leader che hanno conquistato il potere a 45 anni, la sua età. Ma lei fa il presidente di Provincia. Manca il coraggio generazionale?"C'è un problema della mia generazione, certo. Non per ricalcare un cliché, ma nel centrosinistra c'è una generazione del '68 che magari è divisa su tutto, ma sul mantenimento del potere ritrova subito l'unità. Non concepiscono le cose che si possono fare se non le fanno loro. Le generazioni successive, come la mia, si trovano d'accordo sulle cose da fare, ma non hanno mai davvero affrontato la questione del potere".

È arrivato il momento?"Il tema non è il cambiamento del leader. Bersani, comunque vada il voto, è il più attrezzato a guidare il Pd. Ma deve prendere il toro per le corna e cambiare tutto. Sfuggire alla tentazione comoda e calda della risistemazione di quello che già c'è e promuovere una grande ricerca per produrre una nuova cultura politica. Riscrivere un'agenda democratica".


Con quali punti all'ordine del giorno? "Primo: la riforma della pubblica amministrazione. Lo Stato deve funzionare. Abbiamo una prateria, tra Brunetta che ha fallito e i commissariamenti come quello della Protezione civile che privatizzano pezzi di Stato. Secondo: la modernizzazione. Quando ho presentato il mio programma del Wi-fi gratuito, in molti hanno sorriso, ma la Rete è il simbolo che evoca una profonda innovazione. Terzo: rivoluzione degli enti locali. La destra a parole è federalista, in realtà è la più centralista che ci sia".


Programma futuribile. Intanto lei doveva candidarsi nel Lazio e invece c'è la Bonino. Come mai?"Si è guardato con superficialità alla mia volontà di rispettare il patto con i cittadini e restare qui per cinque anni. Non se ne può più di una classe politica che pensa sempre all'incarico successivo. Oggi c'è la Bonino, una figura dotata di autorevolezza come poche. Puntiamo a vincere".


Ma è radicale: il Pd esternalizza la leadership?"Nel Lazio da vent'anni candidiamo persone fuori dai partiti: Badaloni, Marrazzo... Anche Rutelli era un verde quando fu candidato sindaco e nessuno protestò, forse perché i partiti erano più forti. Questa discussione rivela la fragilità della nostra identità".


E dunque come riprenderà la discussione dopo le regionali?"Con un'operazione di rinnovamento. Il mio appello è che la faccia Bersani. Con la libertà di ognuno, evitando di rimettere al centro le difesa delle posizioni di sempre".

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