giovedì 18 febbraio 2010

Il commissario Tonino


Anche questo primo Congresso dell'Italia dei valori ha confermato che nel caso di Antonio Di Pietro, la finzione e la realtà, il vero e il falso, si confondono. Cominciamo dal «falso». In un congresso di partito i delegati dovrebbero essere eletti dal basso sulla base di mozioni programmatiche differenziate. Niente di tutto ciò nell'Idv, partito «monistico», «berlusconianamente» schiacciato sulla linea del suo padre-padrone: i 3.060 delegati, a parte alcune eccezioni, sono stati nominati da circoli cittadini, quasi sempre commissariati, da colonnelli a loro volta nominati commissari da Di Pietro. L'Idv infatti è un partito «commissariato»: al primo accenno di dissenso arriva puntuale la repressione da parte del gerarca locale. I delegati del Marriot erano dunque a immagine e somiglianza del loro «tribuno» e come tali lo hanno osannato. Una precauzione inutile. Nell'Idv il culto della personalità è «spontaneo». Il disagio di tanti militanti si ferma ingenuamente davanti al totem del loro leader: «se Di Pietro sapesse», sospirano, maledicendo le prepotenze dei cacicchi. Ma Di Pietro sa e approva. Per questo anche con delegati «veri» non avrebbe rischiato molto più di quello che si è verificato: la contestazione di alcuni militanti lombardi contro la mozione dei «baroni» locali, Piffari-Rota-Cimadoro che non era stata nemmeno votata, bensì imposta; una velleitaria candidatura a presidente di Barbato, poi rientrata; la mozione «micromeghista» di Pardi stravolta da Di Pietro con il silenzio-assenso dell'autore. Se questa «falsificazione» c'è stata è perché nel partito di Tonino, l'apparenza prevale sulla realtà, la discrezionalità sui diritti, gli arbitrii sulle regole, la retorica sulla persuasione. Di Pietro come Berlusconi detesta le rughe delle critiche, e se il cavaliere le copre con il cerone, l'ex pm le occulta con una falsa collegialità. Il secondo falso: la presunta «svolta» politica, meno piazza e più palazzo, meno proteste e più proposte. In realtà non c'è stata e non ci sarà nessuna svolta. È solo l'oscillazione di un pendolo. L'identità politica di Di Pietro è da sempre la stessa: radicalismo di facciata da una parte, e moderatismo nei fatti dall'altra. Verticalizzazioni antiberlusconiane e operaiste che convivono con appoggi a giunte di centrodestra, voti favorevoli al federalismo fiscale e strizzatine d'occhio al reato di clandestinità. L'Idv è un partito nel quale solo il mascellare scettro dell'eroe di «Mani Pulite» fa convivere anime disparate. Ex «rifondaroli», ex fascisti, ex democristiani, tutti insieme.Per evitare che questa maionese impazzisca, Tonino deve accontentare a turno un po' tutti. Questa volta tocca ai Cimadoro-Donadi-Belisario-Formisano. Un po' perché l'Idv deve difendersi al centro dalla concorrenza dell'Api rutelliano, ma soprattutto perché si vota e c'è bisogno di poltrone con cui saziare gli appetiti del «generone» ex Udeur e Margherita che è la spina dorsale del partito. Da qui l'alleanza con Bersani e da qui il coup de theatre assembleare di Vincenzo De Luca, che Di Pietro ha introdotto così al suo popolo: «scegliete voi se appoggiare o no quest'uomo, sappiate però che se non lo appoggiamo consegniamo la Campania alla camorra». La parodia di una scelta. Ora alla pseudo svolta seguiranno magari improvvisi sussulti «sinistrorsi», attacchi a Bersani e Casini (con cui si è alleato nelle Marche, in Piemonte e in Liguria) e persino nuovi slanci verso nuove piazze. Insomma altri falsi movimenti dell'ondivago, umorale Tonino. Veniamo ora alle cose vere. Soprattutto una. Luigi De Magistris. Il dualismo tra i due ex sostituti è ormai emerso dopo l'appoggio di Di Pietro a De Luca. Se Tonino ha «falsamente» lasciato l'opzione ai delegati è stato proprio per neutralizzare le possibili contromosse dell'ex pm di «Why Not», contrarissimo al sindaco di Salerno. Dunque l'unico evento non «falsificabile» di questo congresso è la rivelazione del conflitto Di Pietro-De Magistris. Dietro la recita degli abbracci e le mielose metafore padre-figlio c'è lo scontro tra due personalità diversissime. Se convivenza sarà, sarà conflittuale e antagonistica. Di Pietro soffre il suo alter-ego perché sa che si sta organizzando e sa che su di lui possono convergere i dissidenti interni, gli autoconvocati de «La Base Idv», i giovani e i tanti nuovi iscritti che chiedono primarie, trasparenza dei bilanci del partito, uno stop al dilagante familismo interno e la liquidazione della casta di colonnelli di cui Di Pietro ama circondarsi. Tra gli eventi congressuali dove la «manipolazione» dipietrista non è arrivata, spiccano l'elezione a coordinatore nazionale dei giovani, di Rudi Russo, legato a De Magistris, e la mancata elezione a coordinatrice donne di Patrizia Bugnano, fedelissima dipietrista. La senatrice non ha raggiunto il quorum, impallinata da 94 schede bianche. Un moto di insofferenza verso una candidatura unica imposta dall'alto. La conferma che laddove non c'è il totem Di Pietro, il partito parla un'altra lingua. Ora Tonino sa che potrebbe stroncare facilmente il dissenso e l'ancora gracile De Magistris, ma sa anche di non poterlo fare pena la fine del suo falso mito politico.

Da Il manifesto

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