venerdì 26 febbraio 2010





























Insisto sulla normalità come fattore rivoluzionario
di Grazia Nardi



Mai più far finta di essere uomini o come gli uomini è il sottotitolo ma in realtà il tema centrale affrontato dai tre circoli che hanno invitato Nadia Urbinati e Concita De Gregorio domani sera allo Spazio Duomo…. È una vecchia storia di quando per esprimere un apprezzamento (non certo sul fisico dove i parametri erano e sono altri) si diceva “è brava come un uomo”… poi progredendo siamo passati a “è più brava di un uomo”… per arrivare a “ha due palle così”. Più le capacità venivano riconosciute, pardon, ammesse, più aumentava l’identificazione maschile.

Ed il “valore” si riferiva ad un dinamismo inconsueto dove la diversità non era data dall’essere donna (quella era una diversità corteggiata) ma dal voler rifuggire dal cliché della donna di casa, dei lavori da donna….e perché no?dagli assessorati da donna….per anni (e non è che sia cambiata troppo) le assessore erano delegate ai servizi sociali massimo scuola…all’estremo alla cultura ma difficilmente all’urbanistica (e non solo per le competenze ma perché lì c’era da gestire una realtà complessa… da uomini.. ) e questo anche nei partiti della sinistra. Persino il fisico seguiva lo stereotipo: taglio corto di capelli, pantaloni fissi, voce rauca da fumo.

E’ cambiato qualcosa? Forse nella forma, la femminilità non è più in antitesti con “le palle” ma nella sostanza siamo ancora lì, nel dover “dimostrare” quello che, invece, è connaturato alla natura della persona ed alla sua dignità e, nel caso delle donne, alla loro storia sociale ed individuale, fatta di lotte storiche e giornaliere, di sopportazione e riscatto, di quelle che, a differenza degli uomini, non possono permettersi di fare una cosa per poterla fare bene ma devono saper “conciliare”. Siamo diverse anche per questo, come dire: abbiamo una gavetta atavica che ci consente di archiviare ragionamenti, idee, sentimenti come dei files che al momento opportuno ritornano in azione, conciliando, appunto, la vita individuale con quella sociale.

E allora per non essere relegate nel recinto delle donne che parlano alle donne quando non delle donne che si parlano addosso, con un atteggiamento che, tra il saccente e l’anacronistico, assomiglia ad una divisa, s’imboccano le scorciatoie.

Che non sono solo quelle che ci vedono dentro il sistema sesso/affari/politica o nelle vesti delle “emancipate di destra” che, per distinguersi, negano le proprie prerogative come fossero controfigure di sé stesse. Le vie brevi arrivano anche ai Partiti, PD compreso, dove il gioco ( leggi schema dei maschi che governano le sorti) si regge ma non si vince, dove si oscilla tra “la solita contestatrice femminista” e la funzione materna usata come mediazione. E quel che è peggio capita di registrare che le sedicenti “arrivate” marchino “il territorio” come spazio privato, privilegiato da difendere da “attacchi” esterni, alla faccia della solidarietà femminile!

Vogliamo invece dare contenuto a “la prospettiva di genere”? a le “pari opportunità” che vengono prima del merito? Ai diritti che devono essere oggettivamente riconosciti, alla dignità che va rivendicata anche a costo della ribellione ad ogni sopruso di si cui è vittime o cui si assiste.

Se ci siamo guadagnate la stima dei colleghi, dei vicini, degli amici e compagni di partito.. usiamola in ogni momento, in ogni situazione, questa è una normalità che va riaffermata e che tutte (tutti) possono capire.

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