lunedì 8 febbraio 2010

Enriques: "Una generazione ha fallito"


di Oreste Pivetta
Federico Enriques è presidente e amministratore delegato della Zanichelli, casa editrice e storico luogo bolognese di produzione culturale. Bologna vive momenti assai turbolenti, dopo le dimissioni del sindaco.

Giusto dimettersi? «Purtroppo sì. Delbono è rimasto schiacciato da quello che si potrebbe definire un vero e proprio agguato mediatico. Ma sarebbe stato meglio non prestare il fianco. Comunque, per la massima chiarezza, dirò che proprio quel giorno ho preso la tessera del Pd».

Ha in testa il candidato ideale? Dovrebbe essere bolognese doc? «Ho sentito circolare nomi di ottime persone. Bolognese? Mi è indifferente. Credo che non valgano regole a priori. Credo che non si possa dire: abbiamo fatto una certa scelta una volta, ci è andata male, non ripeteremo l’errore. Con la Bartolini si è perso: allora, mai più donne? Con Delbono è finita così: allora, mai più professori universitari? Non mi sembra il caso…».

Sta di fatto che qualcosa talvolta non è andato per il verso giusto… «Mi pare che Walter Vitali abbia colto il punto: una generazione – e non se ne fa questione di età – ha dato cattiva prova in una delle funzioni fondamentali per un gruppo dirigente: scegliere le persone giuste».

Ma al di là di quella “cattiva prova” generazionale, ci saranno ragioni più profonde di tante incertezze che si sono avvertite negli ultimi anni nell’intero schieramento di sinistra? «Non so perché sia andata così. Forse per un deficit di democrazia, forse per l’opposto, un eccesso, quasi una indigestione di democrazia. Mi viene in mente la storia di un naufrago, letta in un romanzo della mia infanzia: salvato, ha avuto da mangiare e da bere e ha mangiato e bevuto così tanto da rischiare la morte per indigestione».

Capitava agli scampati dei campi di sterminio… «Così che è capitato che un partito non troppo abituato alla democrazia, si sia lasciato travolgere da un eccesso di democrazia, magari solo formale, da regole insomma… Meglio sempre che morir di fame e di sete».

Manca un po’ di centralismo democratico?«Manca la sintesi tra la discussione politica e il comune sentire della gente. Bisogna incontrarla la gente e non mancheranno le sorprese".

Ma questa sinistra quali programmi dovrebbe sostenere?«Francamente non vorrei sentire parlare di “progetto” o di “idea di città”. Preferirei che si individuassero due tre temi e che si enunciassero due o tre obiettivi molto precisi. Non promettere tutto, ben sapendo che si può mantenere ben poco. Vorrei, in linea generale, che non ci si vergognasse di dar prevalenza all’interesse pubblico rispetto a quello dei privati…».

Non dovrebbe essere sempre così? «Certo. Ma in passato ci siamo lasciati prendere la mano dalle esternalizzazioni a cascata, affidare ai privati insomma ciò che sarebbe spettato al pubblico, un modello scivoloso e pericoloso, frutto di una cultura privatistica ormai vecchia di un decennio».

Vorrebbe l’Udc? «Mi sembra abbastanza difficile. Ma non sarebbe sbagliato».

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