giovedì 4 marzo 2010

Scusi, direttore


Mario Calabresi (figlio di cotanto padre, vedere la foto per chi non avesse fatto il collegamento) oggi propone un editoriale di grande impatto retorico, fin dal titolo: «Basta fatti vogliamo promesse». Se la prende con la politica, Calabresi, una politica senza «idee», «sogni», «progetti» e «affabulazioni». Ha ragione. Il pezzo è duro e si conclude così: «L’unica certezza è che avremmo bisogno di molto più dibattito, di proposte, idee e parole e di molti meno silenzi». Come già per Celli e per la sua famosa lettera a suo figlio, sorge spontanea una domanda, dal profondo del cuore: e il giornalismo italiano che cosa fa? Perché il giornale di Calabresi si diffonde sulle indiscrezioni del caso Polverini, intervista i protagonisti, ma non offre alcuno spunto sulle «promesse» che la politica ci offre in questa tornata elettorale? Leggo la Stampa e molti altri giornali tutti i giorni e mi chiedo: quale immagine della politica ci offrono? Perché gli attori contestati - i responsabili di questo clima di «trasandatezza», di «pressapochismo», di «veleni», di «lotte fratricide» - sono puntualmente invitati a dire la loro e non c'è mai anche soltanto una microscopica «rottura dello schema»? Perché, spesso, invece dei fatti, invece delle promesse, ci sono solo i commenti? Perché non si intervista un sindaco che fa il suo mestiere e si rinuncia, almeno per un giorno alla settimana, alla star del gossip romano, al pettegolezzo, all'indiscrezione? Perché corrono tutti dietro a questo squallore? Caro direttore, lei (come me, nel mio piccolissimo) fa parte del 'sistema'. E lo osserva da una posizione privilegiata. Può cambiare molte più cose di quanto possa fare un comune cittadino, soltanto con la scelta degli argomenti e gli interlocutori. Lo faccia e vedrà arrivare il cambiamento. E le «promesse». E la speranza di vita che portano con sé.

A noi il Ciwati (da cui proviene il post) piace

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