martedì 16 marzo 2010

Il Pdl in marcia contro se stesso


di ILVO DIAMANTI
Mancano due settimane alle elezioni regionali ma raramente si è assistito a una campagna così accesa. A una mobilitazione altrettanto ampia. E un'attenzione ai temi locali così ridotta. Ieri la grande manifestazione del centrosinistra, a piazza del Popolo, contro gli interventi del governo sulle regole elettorali - e non solo. Sabato prossimo, ancora a Roma, la manifestazione del Pdl, con un obiettivo simmetrico: protestare contro i giudici e la sinistra. Accusati di impedire alla maggioranza di presentare le proprie liste. Anche in questa occasione, dunque, le elezioni "regionali" hanno assunto un significato politico "nazionale". In fondo è sempre successo, dopo la fine della prima Repubblica. Da allora, infatti, le elezioni regionali hanno funzionato come una sorta di primo turno rispetto alle elezioni politiche dell'anno seguente. Anticipandone, puntualmente, l'esito. Nel 1995 il centrosinistra si è imposto in 9 regioni su 15. L'anno successivo, l'Ulivo, guidato da Prodi, ha vinto le elezioni politiche. Viceversa, nel 2000 il centrodestra, guidato da Berlusconi, ha prevalso in 8 regioni su 15 (ma in Molise la consultazione verrà successivamente annullata). Provocando le dimissioni di D'Alema. Per poi vincere le elezioni politiche del 2001. Infine, nel 2005, l'Unione di centrosinistra ha travolto il centrodestra, conquistando 12 regioni su 14. Premessa alle politiche dell'anno seguente, quando si è imposta, per quanto di misura. Questa volta, però, la situazione appare molto diversa. Dieci anni di elezione diretta hanno garantito ai Presidenti grande visibilità. Mentre, dopo vent'anni di discorsi sul federalismo e sull'autonomia, il voto regionale è divenuto importante, per i cittadini. Infine, soprattutto, le elezioni non si svolgono un anno prima delle politiche. Non costituiscono, dunque, l'avvio di una lunga, intensa e unica campagna elettorale. Tanto più per un governo che ha stravinto le elezioni del 2008, dispone di una maggioranza parlamentare molto larga. Ed è guidato da un premier che sostiene di avere la fiducia di tre quarti dell'elettorato. Con un'opposizione incerta. Visto che il Pd, negli ultimi due anni, ha cambiato tre segretari. E oggi appare, comunque, lontano, in quanto a peso elettorale, dal Pdl. Il partito del premier. Il quale, però, proprio per questo, rischia più di tutti, alle prossime elezioni. Che possono alimentare nuove tensioni nel suo schieramento, ma anche nel suo partito. Creando ulteriori problemi alla sua leadership personale. Solo così si spiegano la crescente pressione sui media, il silenzio imposto ai programmi di infotainment e di politainment. Che mischiano, cioè, informazione, intrattenimento e politica.
L'insofferenza verso Santoro. Così si spiega la tracimazione del tempo occupato dagli uomini del centrodestra nei tigì Rai e Mediaset. E ancora: la mobilitazione di piazza, agitando la teoria del complotto, per trasferire sugli altri - i giudici, i radicali, la sinistra - le responsabilità dei propri militanti e del proprio partito riguardo all'esclusione delle liste Pdl in provincia di Roma. Tanto movimento, tanta determinazione servono a contrastare la frustrazione dei propri elettori. A contenere la tentazione, di molte fazioni locali e personali del Pdl, di "remare contro" - altre fazioni locali e personali del loro stesso partito. A frenare il disimpegno possibile di decine di candidati (esclusi). Il loro risentimento contro i veri colpevoli di questa situazione. Non gli avversari politici, ma i loro stessi compagni di partito. In definitiva: Berlusconi teme il maggior nemico con cui abbia dovuto misurarsi, dal 1994 fino ad oggi. Più insidioso dell'Ulivo e del Pd, della sinistra e dei radicali, di Prodi, D'Alema, Di Pietro, Pannella, Casini e la Bonino. Teme l'astensione. Principale causa del risultato deludente alle elezioni europee del 2009. Ma anche del tracollo alle regionali del 2005. Quel bacino di elettori di centrodestra - molto ampio: circa un terzo del totale - che per votare hanno bisogno di buoni motivi. Ma a cui bastano pochi motivi per non votare. Oppure per votare "contro". Non tanto la sinistra - da cui si sentono antropologicamente distanti. Ma contro la loro parte. Il centrodestra. Il Pdl. Quelli, cioè, che, per protestare, votano (lo hanno già fatto) per la Lega. E che potrebbero scegliere perfino gli "estremisti" (sic!) di centro. Come recita uno slogan dell'Udc. Insomma, il premier teme l'indebolirsi del suo partito, già attraversato da divisioni personali e di gruppo. (Da ultimo: l'esodo di Micciché verso il Partito del Sud di Lombardo). Teme gli effetti di un risultato negativo. Che restituisca fiducia al Pd. Alla stessa Udc (tanto più se risultasse determinante in regioni come la Puglia o il Piemonte). Ma, soprattutto, teme la Lega. Sua alleata forte. Dopo queste elezioni potrebbe divenire perfino "troppo" forte. Rendendo vistosa - e imbarazzante, nel confronto - l'immagine di un partito - il Pdl - senza territorio. Disorganizzato. Proprio perché al comando c'è un uomo solo. Troppo solo. A capo di un partito grande. Troppo grande. Troppo frammentario. E troppo diviso. Berlusconi, per tenere insieme la sua galassia, ha bisogno di rinnovare - perennemente - la leggenda del leader vincitore. Quello che non si arrende mai. Cade e si rialza. Contro ogni previsione. E contro ogni auspicio. Di nemici e amici. Ma oggi governa da solo, con una maggioranza larga e un'opposizione debole. Davanti, ancora tre anni di governo. La crisi che incombe, una catena di vicende giudiziarie da affrontare - e schivare. La Lega a capo del Veneto e magari anche altrove. Tre anni sono lunghi. Senza altre elezioni da affrontare. Per mobilitare la base. Alimentare un'organizzazione che non c'è. Per questo, oggi, a Berlusconi conviene usare l'antiberlusconismo come un'arma contro gli altri. Giudici, comunisti, la Repubblica, Di Pietro. Per raccogliere gli elettori intorno a sé. Tutti uniti. Tutti in piazza. Come titolava, in modo icastico, il Foglio nei giorni scorsi: "Nel Pdl manifesteranno tutti convinti, ma non capiscono bene perché". La risposta è semplice: "Contro - e per - se stessi".

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