domenica 7 marzo 2010

Del peche' si tratta di problema politico e non burocratico


da La Stampa del 4 marzo

Abbiamo grandi obiettivi, amici, e li realizzeremo insieme, perché insieme per noi tutto è possibile...». Lo spot di Roberto Formigoni, che è pure una suoneria per i cellulari dei fans, adesso sembra l’invenzione perfida di un regista che non gli vuol bene. Tutto è possibile, al momento. Tranne che votare il governatore chiamato «Il Celeste». E il Pdl di Silvio Berlusconi. E la Lega di Umberto Bossi. Detto che Formigoni in questa parodia dell’efficienza lombarda è forse la prima vittima, resta lo stupore per questa sbandata che sconvolge il centrodestra nella sua città simbolo, e nella regione del premier e dei ministri. Non se l’aspettava proprio, Formigoni. Altrimenti, almeno, non si sarebbe presentato in conferenza stampa con quella giacca nera e quella camicia nera che lo rendevano se possibile ancora più lugubre. Non più firme senza timbro, ma firme fasulle. Roba che manda in bestia i leghisti di via Bellerio. Una figuraccia. Già dopo la prima bocciature Umberto Bossi li aveva cassati con un «dilettanti allo sbaraglio». Ieri ha detto di più e di peggio, ma chi l’ha sentito non se la sente di riferire. «Cielo sereno, tutto ok con gli amici della Lega», annuncia Formigoni dal suo sito Internet. Gli amici della Lega non hanno ancora risposto. «Ma non è che quelli lì hanno sbagliato anche il ricorso...?». All’eurodeputato leghista Matteo Salvini, quando l’ha saputo, il dubbio è venuto. C’è qualcosa, anzi troppo, che non torna. L’altro giorno erano stati i leghisti a scovare una sentenza del Consiglio di Stato Che poteva sistemare la questione delle firme senza timbro, tanto che «la Padania» ha titolato mettendoci sopra il cappello: «La Lega salva Formigoni». Adesso, però, si rivede il film dell’ultima settimana, soprattutto le sequenze del venerdì, quando il listino del governatore con le firme non arrivava mai. «Ma è vero che non sapevano che le firme dovevano essere 3500?». Lo chiamano «il disastro», in via Bellerio. E non solo lì. Ma se nemmeno Formigoni è riuscito a trovare il colpevole, o i colpevoli, figurarsi i leghisti. E allora si torna al film e c’è un’altra sequenza da passare al rallentatore, quella dell’ultimo incontro tra Formigoni e il segretario dei leghisti lombardi, il deputato Giancarlo Giorgetti. Il Celeste è di pessimo umore, deve trovar posto nel listino ai raccomandati del Cavaliere, al fisioterapista del Milan, all’igienista orale, al geometra di Arcore. Cambia l’ordine di lista e i leghisti finiscono in coda. Giorgetti deve incassare e a questo punto riparte una nuova raccolta di firme. A chi tocca? Al Pdl, il partitone di Formigoni. E qui comincia la parodia dell’efficienza lombarda. Sarebbe compito dei coordinatori e del responsabile dell’ufficio elettorale. Nell’ordine: Guido Podestà presidente della Provincia, con Berlusconi dai tempi dell’Edilnord e di Milano 2; Massimo Corsaro, deputato ex Alleanza Nazionale; Stefano Maullu, assessore regionale alla Protezione Civile, in questi giorni una delle facce più esposte sui tabelloni della pubblicità elettorale. I tre, scortati dal ministro della difesa Ignazio La Russa, hanno presentato lo sfortunato ricorso, ottimisti e sicuri. Podestà, all’uscita: «Tranquilli, tutte le firme sono assolutamente valide, la nostra è una macchina che ha sempre funzionato bene». In viale Monza, sede del Pdl milanese, già s’immaginano che alla fine la colpa sarà di una segretaria distratta o pasticciona. «Ma se mancavano delle firme potevano chiedere a noi - dicono nella sede della Lega - solo nella zona di Rho ne avevamo 4 mila in più». E anche qui come a Roma, o come dimostra l’ultimo incontro tra Formigoni e Giorgetti, spuntano indizi di liste che fino all’ultimo momento utile sono state cambiate, candidati spostati o cancellati, in una battaglia tutta dentro il Pdl: i formigoniani e i «ciellini», i berlusconiani di Podestà o del ministro Gelmini, gli ex An di Ignazio La Russa, i ras locali come Giancarlo Abelli detto «il Faraone di Pavia». Insomma, un pasticcio. «Il Coraggio», «l’Ingegno», «l’Avanguardia». Il sito Internet di Formigoni continua a mandare i messaggi di una campagna elettorale in sospeso. E meno male che il centrosinistra non infierisce: «Aspetto le decisioni della magistratura e mi adeguerò», dice Filippo Penati, il candidato del Pd. Ma questo caos dell’efficienza rischia di travolgere anche la data del voto. «Tra Consiglio di Stato e Tar chissà quando avremo la parola fine - dice Carlo Porcari, il capogruppo Pd in consiglio regionale -. E poi invece di parlare di Lombardia qui ci troviamo tutti coinvolti dalla loro incapacità. E un partito del fare che chiama “intoppi burocratici” le regole sa nemmeno come si presentano le liste». Adesso si muoveranno Berlusconi e Bossi, in Lombardia la faccia è anche la loro. E soprattutto la Lega vorrebbe sapere a chi mettere le mani attorno al collo. «Per i timbri li abbiamo salvati noi, ma se le firme sono false...». Stefano Galli, il capogruppo in Lombardia, li vuole tutti attorno al tavolo, già oggi, per sapere come è andata davvero. Perché avevano appena finito di canzonare Polverini, Alemanno e Fini, e adesso tocca pure a loro. Perché a loro, ai leghisti, non è mai successo, e anche fosse accaduto un minuto dopo Bossi avrebbe cacciato a pedate nel sedere i colpevoli. A meno di rassegnarsi e prender per buono quello spot del Celeste Formigoni. «Amici, per noi tutto è possibile...».

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