lunedì 15 marzo 2010

L'ultimo giorno (che poi è il primo)


L’ultimo giorno della campagna elettorale è, in realtà, il primo, per importanza, per significato, per visibilità. Gli elettori dopo qualche ora si recano alle urne e ciò che vien detto il venerdì precedente ha molta rilevanza sulle scelte delle persone e in generale sull’impronta politica che si vuole lasciare, in occasione di elezioni importanti come quelle del 28 e del 29 marzo. Per questo, l’ultimo giorno della campagna elettorale dovremmo dedicarlo ai temi del lavoro e di chi, nel lavoro, soffre di più. C’è la questione aperta dell’articolo 18 e bene ha fatto Sergio Cofferati a segnalare la pericolosità della norma recentemente approvata dal Parlamento, che va nella direzione sbagliata e opposta rispetto a quella che dovremmo prendere. Perché noi dovremmo tutelare di più e meglio il lavoro, concepire un sistema più solido e aggiornato che sappia estendere i diritti, non privare dei diritti i lavoratori che possono ancora goderne. Quella della destra è una norma pasticciata e confusa che introduce arbitrariamente l’arbitrato, che penalizza chi è più debole e toglie potere contrattuale ai lavoratori in un momento in cui la loro posizione è sotto attacco, per le condizioni economiche complessive e per alcune scelte sbagliate che ora possiamo valutare fino in fondo. E ci sono i giovani precari che sono stati i più penalizzati dalla crisi, una generazione intera da rappresentare che chiede risposte e garanzie e che, da quando c’è Berlusconi, è come se non esistesse. E, ancora, si parla di persone che hanno una famiglia, i figli da mandare a scuola e un mutuo da pagare e si trovano in cassa integrazione o senza lavoro. Per questo vorrei che in tutta Italia il Pd si mobilitasse perché l’ultimo giorno di questa campagna elettorale, venerdì 26 marzo, fosse esplicitamente dedicato agli ‘ultimi’ destinatari delle politiche del governo: i lavoratori italiani. La democrazia funziona solo se sa rispondere ai bisogni di chi è più in difficoltà, solo se sa rinnovare un patto sociale e un’alleanza tra generazioni. Solo se non mette i giovani contro gli anziani, ma dà loro qualche certezza sul presente e sul futuro. Solo se sa prendere di petto la questione della disuguaglianza, non per aumentarla, com’è successo in questi anni, ma per riequilibrare un sistema iniquo e cattivo con chi non ce la fa. Contro la crisi che aumenta la precarietà, contro l’inerzia del governo e contro i suoi errori, rimettendo in ordine le priorità di un Paese sbandato e incerto. A loro non interessa, a noi sì. Questa è la differenza.


Dal Ciwati

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