mercoledì 31 marzo 2010

Un'analisi del voto a livello nazionale


Visto che i commenti dei politici come al solito non sono fondati su dati reali e visto che i giornali non si preoccupano di farlo notare, ho fatto una piccola analisi del voto che spero serva a riflettere seriamente su quello che è successo.

Il primo dato macroscopico è l'astensionismo. Ma colpisce tutti indistintamente? Tutti parlano di lega inarrestabile, ma è vero? Se le tendenze di questi dati si riproponessero alle politiche cosa succederebbe?

I confronti con le regionali del 2005 servono a poco perchè il quadro politico è troppo cambiato. Confrontiamo i dati allora con le Europee di meno di un anno fa.

Prima sorpresa: l'astensione è solo al Nord, al centro-sud invece i votanti sono stabili o in aumento. Lì il centrosinistra prende pochi voti in più in Campania e in Basilicata, molti voti in più in Puglia e molti in meno in Calabria. Gli stessi nel Lazio. Il centro-destra prende gli stessi voti in Campania e Lazio, cala in Basilicata e Puglia, cresce in Calabria.

Ma veniamo al Nord, dove i fatti sono molto più significativi.

Lavorando sui numeri e non sulle percentuali possiamo capire chi è stato colpito dall'astensionismo. Purtroppo non si possono fare confronti per lista, perchè alle regionali si può votare solo per il presidente della regione e alle europee no, perciò, volendo essere seri, tralasciamo i dati di lista e confrontiamo i dati di coalizione.

Il centro-destra, con la Lega, perde 1.000.000 di voti; il centro-sinistra ne perde 470.000; i grillini ne prendono 475.000 e i radicali ne perdono 345.000.

Dando un'occhiata ai dati di lista, sapendo, come detto, che sono un po' sottodimensionati e quindi hanno valore solo indicativo, la Lega perde 140.000 voti e l'Udc ne perde 200.000. Volendo provare a correggere questi dati possiamo dire che la perdita della Lega è minore, forse 50.000; ma il trascinamento leghista francamente non lo vedo, e l'astensione colpisce anche la Lega, se pur in misura molto minore del Pdl.
L'Udc perde di più dove è coalizzata col centrosinistra.

A livello nazionale sembra di poter dire che, rispetto a Giugno scorso, l'astensione colpisce esclusivamente la destra; gli insoddisfatti di destra non si sono spostati verso sinistra o verso il centro, ma nemmeno sulla Lega. Sono stati a casa. Il Pd e il centrosinistra sembrano crescere un po', poco. L'affermazione dei grillini va considerata seriamente, non è fiammata. L'Udc non è così determinante, lo è ivece la capacità di creare alleanze ampie, con partiti e movimenti.

Comunque, ci sono motivi di speranza; mi avessero dato questi risultati in Novembre non ci avrei creduto. Evidentemente le cose possono cambiare.

Dando un'occhiata all'elezione del Senato, se si riproponesse una situazione simile a questa, basterebbe vincere in Puglia e Liguria, che è possibile, e in Lazio e Piemonte, difficile ma non impossibile e al Senato si configurerebbe un pareggio.

Speriamo che sia una inversione di tendenza.

Enrico

lunedì 29 marzo 2010

BERLUSCONI: L'AUTUNNO DEL PATRIARCA

L'articolo che segue e' piutosto lungo, ma altrettanto interessante. Per lettori piu' che abili (come diciamo in questi casi...).

di Valerio Evangelisti
La versione italiana del fenomeno mondiale chiamato “nuova destra”, e comprendente aspetti disparati ma coerenti come il neoconservatorismo statunitense, il fondamentalismo cristiano, il revisionismo storico, in Italia ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Non perché questo monopolista industriale passato alla politica sia individualmente all’origine del fenomeno, ma perché ha saputo farsene il catalizzatore nella penisola, e radunarne in un’unica compagine le diverse espressioni. Ciò malgrado l’assenza di un pensiero univoco e di una cultura unificante, sostituiti da tutta una gamma di atteggiamenti e di prese di posizione contingenti, a brevissimo respiro.
Ora che il tempo di Berlusconi sembra volgere al fine, è il momento di interrogarsi con pacatezza e lucidità su ciò che ha rappresentato in Italia. Esiste tutta una letteratura che si è concentrata sul personaggio, per sottolinearne le caratteristiche sgradevoli o equivoche, e che ne ha interpretato l’opera, quale presidente del consiglio, in chiave di instaurazione di un regime semi-totalitario.Chi fa propria questa interpretazione di solito non dispone di strumenti critici storico-economici capaci di raggiungere il livello strutturale dei fenomeni; e ciò in quanto per lo più professa un’ideologia liberale o neoliberale – vale a dire la stessa ideologia di cui Berlusconi è alfiere, sia pure in una variante estremistica e tinta di populismo. Se si compartiscono le coordinate ideologiche, diventa difficile situare con precisione sotto il profilo storico o delle idee l’oggetto studiato, perché le strutture contestuali appariranno date e non discutibili. Ci si arresterà quindi all’epifenomeno – specie se un’analisi più approfondita approderebbe al riconoscimento di una responsabilità propria, per non dire di una corresponsabilità.Chi adotta il taglio epifenomenico, tra l’altro, finge di dimenticare che Berlusconi è stato regolarmente eletto, e che i provvedimenti che lui e i suoi alleati di governo hanno adottato, inclusi i decreti e le leggi più aberranti, sono passati non in virtù di presunti “colpi di mano”, bensì con un uso totalmente legale della maggioranza schiacciante offerta loro dal sistema elettorale maggioritario. Chi si è battuto per quest’ultimo ha pochi titoli per denunciare il “regime” di Berlusconi, visto che ha approntato o approvato gli strumenti di cui l’avversario si è poi servito.Dovrebbe piuttosto chiedersi perché gli elettori abbiano votato un personaggio simile, dotato di un programma teso solo a soddisfare egoismi propri e altrui. L’ “offerta Berlusconi” non si sarebbe affermata se non avesse trovato nella società una domanda corrispondente, essenzialmente suscitata da altri.
Di norma, chi critica il Berlusconi “autocrate” e instauratore di un regime è consapevole del fatto che il personaggio gode delle simpatie di una parte consistente dell’elettorato, in alcuni momenti maggioritaria. Tende ad attribuire un consenso così largo al monopolio sui mezzi di comunicazione, e soprattutto sulla televisione (i canali Mediaset, poi, dopo l’ascesa alla presidenza del consiglio, anche quelli Rai). Lo stesso Berlusconi ha d’altra parte dimostrato di attribuire al controllo dei media un valore strategico, e il recente abbandono di ogni parvenza di par condicio in tema di spot elettorali basta a dimostrarlo.Tuttavia, se l’egemonia sui media costituisce condizione necessaria per creare consenso, non è condizione sufficiente. L’Italia non è l’unico paese occidentale in cui, nel campo della comunicazione, esistono condizioni di monopolio pieno, parziale o di fatto. E’ stata l’Unione Europea, e non già il governo italiano, a esigere che le trasmissioni satellitari avessero in Rupert Murdoch (Sky) un gestore unico.D’altro lato, si è visto ripetutamente come l’unanimità dei media non sempre riesca a condizionare la società, quanto meno di fronte a scelte di fondo. Ne è esempio recente il rifiuto francese della costituzione neoliberale europea (1), malgrado infinite pressioni mediatiche. E che dire, quanto all’Italia, della ripulsa popolare della guerra all’Iraq, fino a obbligare un’opposizione reticente a farla propria, seppure tra mille ambiguità? Di converso, quando un presunto opinion leader come Giuliano Ferrara, con l’appoggio di quasi tutte le forze politiche e di quasi tutti i media, ha indetto una manifestazione a sostegno di Israele, è riuscito a radunare solo una folla sparuta di simpatizzanti.Non basta il potere mediatico a dare ragione delle fortune di Berlusconi, così come non bastano le troppo facili tesi cospiratorie. Bisogna andare più a fondo, il che significa partire da più addietro nel tempo.
Silvio Berlusconi non ha mai nascosto il proprio debito verso Bettino Craxi, per i molti favori ricevuti dal defunto leader socialista. Il debito andrebbe però esteso ad altri lasciti di natura immateriale. L’epoca dei governi di centrosinistra guidati da Craxi fu quella in cui le classi medie italiane presero coscienza di se stesse e rivendicarono il ruolo propulsivo che, fino agli anni Ottanta, era sembrato appartenere agli operai, usciti vincitori dal lungo autunno caldo ’69-’70.Il segnale era venuto dalla marcia dei 40.000 quadri intermedi della Fiat di Torino contro l’occupazione della fabbrica, nel 1980. Craxi completò l’opera sfidando direttamente i sindacati sul tema della scala mobile e riportando una vittoria schiacciante. Nello stesso tempo, a partire dal laboratorio di Milano, incoraggiò in ogni maniera l’ascesa di ceti di derivazione medio borghese e impiegatizia, spinti a investire in ambiti non direttamente legati alla produzione, come l’edilizia, le attività di servizio, la borsa; campi nei quali anche capitali modesti, se bene impiegati, potevano condurre a un rapido arricchimento.Craxi, malgrado l’ideologia apparentemente diversa, fu l’equivalente italiano di Margaret Thatcher. Come lei indebolì fortemente le organizzazioni operaie, spingendole a politiche di conciliazione con il padronato; come lei agevolò la nascita di una borghesia di nuovo tipo, arrogante, intraprendente, sicura ormai di costituire il cuore della società. Si passò dalla timidezza dei ceti medi inferiori e dall’aristocratica distanza di quelli superiori a esibizioni sguaiate, in una corsa alla ricchezza che attribuiva ogni virtù al vincitore e ogni colpa al vinto. Se non si approdò a un vero e proprio “reaganismo” fu solo perché lo stato sociale non fu manomesso che marginalmente. Solo, si cominciò a metterne in discussione, se non la legittimità, quanto meno l’utilità.
Simili tendenze rimasero operanti anche dopo che Craxi fu costretto all’esilio e i maggiori partiti politici italiani furono travolti e distrutti dai processi per corruzione. La prima repubblica, a ben vedere, andava stretta proprio ai nuovi ceti medi rampanti, infastiditi da un’intelaiatura istituzionale che, ancora modellata su basi ideologiche “storiche”, non coincideva con la loro spregiudicatezza.Nella seconda repubblica fu proprio a quei ceti che si rivolse l’attenzione ossessiva delle forze politiche obbligate a ristrutturarsi. Sinistra e destra abbandonarono connotazioni classiste e retaggi ideali per fare delle classi medie l’unico referente, mentre, sul piano delle scelte internazionali, sopravviveva quale solo orizzonte un Occidente mitizzato, a sua volta visto come paradiso dei ceti medi.I governi di centrosinistra della fase post-craxiana fecero ogni sforzo per spostare il risparmio dei cittadini dai tradizionali titoli di Stato al mercato azionario, mentre cercavano di abbellire la nozione di “flessibilità” per renderla appetibile a ciò che rimaneva della classe operaia – e spingerla così al suicidio definitivo. Questo, certo, in obbedienza ai dettami dell’economia mondiale dopo la caduta del muro di Berlino; ma anche quale scelta ideologica propria, conseguente all’opzione per i ceti medi quale primario referente sociale.Sotto il profilo culturale, cominciarono rapidamente a essere messi in discussione tutti i parametri su cui la prima repubblica era stata edificata, a iniziare da quello fondante: l’antifascismo. Già Craxi aveva promosso lo “sdoganamento” degli ex fascisti, invitati a partecipare attivamente alla vita politica dopo che avevano, a loro volta, eletto i ceti medi a referente e rinunciato alle asperità della loro ideologia (tipo il discorso antidemocratico, sostituito da un blando autoritarismo di tipo presidenzialista, o l’antisemitismo). Durante i governi di centrosinistra del dopo Craxi si moltiplicarono le rivelazioni di “crimini” antifascisti, a opera di comunisti pentiti, e si fece strada la tesi di una pari dignità di chi, nel 1943-45, aveva combattuto su fronti opposti. Tesi che trovò cordiale accoglienza in ambito accademico e nella pubblicistica corrente.Ovviamente, non era nell’interesse di nessuno – nemmeno dei post-fascisti – una piena rivalutazione di Mussolini. Era invece nell’interesse di tutti sommare +1 (antifascismo) a –1 (fascismo), per avere come risultato 0. Bisognava insomma azzerare ogni ideologia, per crearne una nuova, priva di addentellati storici, corrispondente alla richiesta dei nuovi ceti medi. Inclini per natura, come è ovvio, al puro pragmatismo.
E’ in questo contesto che Berlusconi poté affermarsi quale uomo politico di largo seguito e, nel 1994, accedere una prima volta al governo. Molti rimasero stupiti di come fosse stato capace di costituire il proprio partito praticamente da un giorno all’altro, e attribuirono l’evento al solo potere su televisioni e giornali (questi ultimi peraltro di scarso prestigio, almeno nel caso dei quotidiani). In realtà, Berlusconi intuì meglio di ogni altro che, nel vuoto e nella confusione lasciati dalla prima repubblica, ogni avventura politica era possibile, inclusa la costituzione di un partito fondato su palesi schemi aziendali.I quadri che raccolse, oltre che cooptati dal suo stesso impero economico, provenivano proprio da quella classe media “d’assalto” che si era coagulata nei due decenni precedenti e che avvertiva la mancanza di forme di rappresentanza adeguate – rimpolpati da figure secondarie di professionisti della politica sopravvissuti all’ecatombe di “mani pulite”.Ciò, come era avvenuto con Margaret Thatcher, provocò il disgusto dei conservatori tradizionali (ben rappresentati allora, in Italia, dal giornalista Indro Montanelli), che preferirono trarsi in disparte. Non erano più i ceti medi o medio alti a cui si riferivano a esercitare un’egemonia sociale. Era invece una piccola e media borghesia, spesso giovanile, di recente estrazione plebea, priva di solida cultura, dagli appetiti famelici, incline alla volgarità e allo strepito, edonista, spudorata nell’esibire il proprio cinismo.Che di “egemonia” si trattasse lo rivelarono i risultati elettorali, in cui si vide che la nuova classe era capace di mobilitare le altre, sia superiori che inferiori, anche contro i loro interessi immediati. Quanto al tessuto ideologico, esso era quanto mai confuso e cangiante. I nemici erano chiari: la “sinistra” (Berlusconi sembra non avere mai annoverato in tale schieramento il suo padre putativo, il socialista Bettino Craxi) e il suo equivalente semantico, “i comunisti”. Dove per “comunisti” devono intendersi anche i più timidi keynesiani, i riformisti all’acqua di rose e persino i liberali e i conservatori di vecchio stampo.Quanto alla pars construens, essa era molto meno definita. Si trattava, almeno in origine, di accentuare il liberismo già operante in economia, riducendo ulteriormente le remore poste dallo Stato all’azione imprenditoriale, soprattutto sul piano delle normative e della fiscalità. A ciò, in politica, corrispondeva solo in parte il liberalismo, visto che esso era temperato, da un lato, da una vistosa tendenza al bonapartismo e, dall’altro, da influenze clericali per ciò che atteneva ai diritti civili. La politica estera, per sua parte, era interamente delegata agli Stati Uniti, di cui l’Italia ambiva a essere una sorta di rappresentante in Europa, anche a scapito dei rapporti con gli altri paesi dell’Unione (2).Se vogliamo cercare analogie, le troviamo, bizzarramente, fuori dal vecchio continente, nelle politiche del presidente messicano Vicente Fox. Ma si tratta di un esercizio sterile. In realtà il “modello Berlusconi”, se tale si può definire, non ha base ideologica dai contorni netti. In certi momenti diverrà catalizzatore di ogni tipo di tendenza reazionaria; in altri si colorirà di populismo. Unica costante, la base sociale di cui dicevo, blandita in tutte le maniere, e un perenne pragmatismo, nemico dei progetti di troppo lunga portata.Le nuove classi medie, giunte al governo dopo avere schiacciato le vecchie, e con esse tutte le altre classi, adottarono dunque – nel leader carismatico prescelto – il punto di vista dettato dalla loro nascita recente. Insofferenza per le costrizioni istituzionali; ricerca dell’impunità; soddisfazione degli interessi immediati a scapito della nozione di “bene comune”; visione incapace di spingersi nel futuro. Ciò che viene di solito attribuito a Berlusconi, appartiene invece ai ceti di cui questi era ed è espressione.Più di recente, alcuni intellettuali di modesta levatura hanno cercato di strutturare questo coacervo di impulsi e di cercare vincoli col pensiero neocon statunitense. Tempo perso. La base che sostiene Berlusconi è irriducibile a un sistema ideologico qualsiasi, e costituisce una specie di “destra apolitica”. In questo senso, e solo in questo, si può parlare di una “nuova destra” in Italia.
Sotto il profilo culturale, continuò ovviamente la voga revisionista, in sintonia del resto con tendenze restauratrici operanti su scala mondiale. La complicità di parte del mondo universitario fu in questo senso determinante, dato che è nelle università che si elaborano le tesi destinate poi a essere riprese, se in sintonia col clima politico, dagli editorialisti dei media più influenti.In Italia ciò assunse le forme – tuttora operanti – di una vera e propria offensiva tesa a ribaltare giudizi consolidati, su momenti storici in cui erano in gioco rapporti di forza. Ancora oggi, nelle università italiane, opera una minoranza molto agguerrita di docenti che riabilita l’Inquisizione contro il libero pensiero, il colonialismo contro le idee di autodeterminazione, i moti reazionari plebei contro i riflessi in Italia della Rivoluzione francese, il franchismo contro la “repubblica dei senza Dio”, ecc. Tesi prontamente riprese e divulgate dai quotidiani, non sempre e solo di destra, e dai (pochi) programmi “culturali” televisivi.Naturalmente, cuore di ogni revisione resta il giudizio sull’antifascismo, e cioè sulle idee fondanti della repubblica italiana. Qui si è manifestato con maggior vigore uno dei fenomeni che hanno accompagnato le fortune di Silvio Berlusconi: il “pentitismo” di non pochi esponenti, veri o presunti, della sinistra. Tra i sostenitori del premier si contano a dozzine gli ex comunisti, gli ex antifascisti, gli ex militanti dell’estrema sinistra. Nel campo del revisionismo storico, sono stati costoro a giocare un ruolo fondamentale.Un caso tipico è quello del giornalista Giampaolo Pansa. Con un passato di antifascista, collaboratore del settimanale di sinistra (più un tempo che oggi) L’Espresso, si è specializzato in volumi, partoriti a getto continuo, sui “crimini” della Resistenza. La documentazione è dubbia o lacunosa, le imprecisioni sono innumerevoli, ogni episodio è isolato dal contesto. Ma ciò non conta, rispetto allo scopo; che non è rivalutare il fascismo, quanto fare tabula rasa di ogni sistema di valori e di ogni valutazione autenticamente storica, sostituita da una sorta di cronaca nera a posteriori.Un sistema già adottato, da parte della sinistra moderata, nei confronti dei sommovimenti sociali degli anni ’70, letti solo in base al concetto di legalità, strappati al quadro temporale, ridotti a fatti di interesse solamente giudiziario – fino ad approdare, nei casi peggiori, alle teorie cospirative che sono il surrogato, in ambito neoliberale, della filosofia della storia.E’ triste dirlo, ma la “nuova destra” italiana non sarebbe mai sorta senza il concorso attivo della sinistra.
Malgrado uno scenario estremamente favorevole, il progetto di Silvio Berlusconi ha raccolto in ambito culturale risultati miserabili. Sono intellettuali di levatura secondaria quelli accorsi al suo appello, commentatori giornalistici e televisivi, divulgatori senza peso che non sia epidermico, spesso strappati agli alleati di destra o agli avversari di sinistra. Appaiono con frequenza ossessiva nei talk show, nelle trasmissioni sportive, nei programmi di varietà. E’ chiaro che la dimensione mediatica è la più confacente a chi è portatore di un pensiero la cui unica base, liberismo economico a parte, è la guerra contro la memoria e contro ogni forma di profondità.Ancora peggio è andata a Berlusconi e ai suoi seguaci in ambito letterario. Non vi è in Italia alcuno scrittore di rilievo che si dica “berlusconiano”, a parte il manipolo di ignoti che si ritrova sulle pagine della rivista Il Domenicale, stampata in migliaia di copie che regolarmente rimangono invendute (completamente diverso sarebbe il discorso su chi invece si colloca più a destra di Berlusconi e rifiuta il centrodestra in nome della destra pura).Se il calibro mediocre degli intellettuali è sintomatico della non-ideologia di Berlusconi, l’assenza di scrittori alla mensa del premier indica molto di più. Vuole dire che la colonizzazione dell’immaginario degli italiani non è stata totale, visto che non ha coinvolto quanto meno un segmento dei fabbricanti di immaginario. E il discorso potrebbe essere esteso, con differenti articolazioni, a cinema, teatro, arti figurative ecc. Strumenti comunicativi meno immediati della televisione o dei quotidiani, ma capaci di lasciare un’impronta più profonda.L’essere “estranei” a Berlusconi, naturalmente, non significa essere “contro”, né avere colto la sostanza ideologica e sociale del suo sistema. Sta di fatto che il mancato controllo dell’ambito letterario e culturale tradizionale, malgrado il possesso di alcune delle principali case editrici (costrette a pubblicare autori ostili al massimo azionista, essendo i soli richiesti dal mercato), costituisce un fattore di debolezza. A esso Berlusconi non può porre rimedio, perché la cultura “di lunga durata”, con le sue dinamiche, è ignota a lui e alla maggior parte dei suoi collaboratori.L’ostilità del mondo culturale e letterario può essere valutata, in tutta la sua pericolosità, solo da chi con essa abbia dimestichezza.
Silvio Berlusconi è in crisi e la sua caduta, al momento, appare ineluttabile. Non che i nuovi ceti medi che ha saputo rappresentare per alcuni anni siano scomparsi; tutt’altro, la loro egemonia perdura. Solo che, in una fase in cui le possibilità di arricchimento rapido si restringono, manifestano la necessità di qualcosa di più solido di una forma di governo fatta di nulla, priva di programma, di ideologia, di proposte che non siano contingenti, di visioni ampie. Sicuramente quei ceti, all’allievo di Craxi, preferirebbero oggi un nuovo Craxi. In mancanza di meglio, si volgono al centrosinistra (3).Un giorno bisognerà riconoscere che Berlusconi è stato, a suo modo, un “rivoluzionario”. Ha sovvertito la vita politica, la comunicazione, lo Stato, ogni istituzione che ha potuto sovvertire. Ma il suo ruolo ricorda quello che gli agitatori giocano agli inizi di una rivoluzione, salvo essere messi in disparte pochi anni dopo da chi possiede un progetto più duraturo.La “nuova destra” italiana, il neoliberalismo, non sono morti, ma certo non hanno più in Berlusconi il loro esponente di punta. Se anche, per miracolo, vincesse nuovamente le elezioni, sarebbe comunque già morto. Ha eretto un sistema fondato sulla finzione, operazione di sicuro successo nel paese che ha dato i natali alla commedia dell’arte e ha un culto per i Pulcinella. Ha reinventato i comunisti per avere un nemico identificabile, ha simulato basi ideologiche per giustificare il proprio empirismo, ha evocato mete chiaramente irraggiungibili credendo di farle concrete attraverso la reiterazione del rituale evocativo, ha spacciato sogni suoi nel tentativo di renderli collettivi. In simultanea – ed è tratto caratteristico – modificava se stesso attraverso ripetuti interventi di chirurgia plastica, nello sforzo (in parte riuscito) di far dimenticare la propria identità di vecchietto settantenne.Di Berlusconi e della sua “insurrezione” neoliberale, dopo l’abbandono da parte dei ceti medi, rimarrà una maschera. Ma con lui non sparirà la “nuova destra” italiana. Al contrario. La destra vera deve ancora venire.


NOTE:
(1) L’odierna versione della costituzione neoliberale, il “Trattato di Lisbona”, è poi passata quando il governo francese ha deciso di adottarla per via parlamentare, senza più consultare direttamente i cittadini. Popoli che avevano votato in modo “sbagliato”, come quello irlandese o danese, sono stati rimandati alle urne per un nuovo referendum, finché non è uscito il risultato “giusto” – cioè voluto dal potere. La celebrata “democrazia occidentale” è una semplice facciata.
(2) Simile approccio alla politica estera ha subito notevoli modifiche durante l’esperienza governativa in corso. Berlusconi, rischiando critiche e rotture (ben riflesse dai quotidiani conservatori internazionali), ha intrecciato rapporti non graditi dagli Usa o dalla UE con Libia, Russia e Bielorussia. Ciò non va ingenuamente interpretato quale preludio a scelte di tipo policentrista o addirittura antimperialista. I vincoli tra il governo italiano e quello israeliano, per dirne una, restano solidi, e la partecipazione alle cosiddette “missioni di pace” è stata addirittura incrementata. Siamo invece in presenza del tradizionale pragmatismo berlusconiano (da intendersi come assenza completa di ideologia), volto a conseguire vantaggi immediati in materia energetica. Senza contare la probabile simpatia di Berlusconi per governi del tutto o in parte autocratici, fondati su personalità carismatiche capaci di operare al di fuori di lacci istituzionali.
(3) Una previsione in parte sbagliata. La fiducia dei ceti medi nel governo Prodi, già controversa, è durata un attimo. Il centrosinistra – in realtà una coalizione di opposti – non ha saputo realizzare nulla di significativo, e ha finito per alienarsi gran parte delle simpatie delle stesse classi subalterne. Il mantra ossessivo sulle potenzialità salvifiche del rigore, le menzogne grossolane sui benefici dell’euro, l’insistenza sulle privatizzazioni, la continuazione di avventure militari insensate, l’aumento della pressione fiscale, l’incapacità di affrontare riforme degne di nota, l’amore non corrisposto per la Confindustria, la fedeltà di fondo al neoliberismo hanno fatto di Romano Prodi e della sua compagine il governo meno credibile degli ultimi decenni. Il centrosinistra si è affossato, l’estrema sinistra (sospettata a ragion veduta di complicità dagli elettori) è sparita dal parlamento.

domenica 28 marzo 2010

DOMENICA DELLE PALME



Crowd
Hosanna Heysanna Sanna Sanna Ho
Sanna Hey Sanna Ho Sanna
Hey J C, J C won't you smile at me?
Sanna Ho Sanna Hey Superstar

Caiaphas
Tell the rabble to be quiet
We anticipate a riot
This common crowd
Is much too loud
Tell the mob who sing your song
That they are fools and they are wrong
They are a curse
They should disperse

Crowd
Hosanna Heysanna Sanna Sanna Ho
Sanna Hey Sanna Ho Sanna
Hey J C, J C you're alright by me
Sanna Ho Sanna Hey Superstar

Jesus
Why waste your breath moaning at the crowd?
Nothing can be done to stop the shouting
If ev'ry tongue was still the noise would still continue
The rocks and stones themselves would start to sing
:

Crowd, with Jesus

Hosanna Heysanna Sanna Sanna Ho
Sanna Hey Sanna Ho Sanna
Hey J C, J C won't you fight for me?
Sanna Ho Sanna Hey Superstar

Non diteglielo


Non diteglielo. Ma Berlusconi ha sbagliato completamente la campagna elettorale. Sull'onda del souvenir del Duomo, pensava di aver ripreso tono e consenso. Invece, a cominciare dall'incredibile vicenda delle firme e dal piccolo particolare che il suo governo non ha fatto niente se non negare la crisi, B ora è in preda a un'iniziativa del tutto autoreferenziale. Parla solo delle proprie vicende giudiziarie e del proprio disegno presidenziale, cercando il solito plebiscito sulla sua persona. E lo troverà. Solo che sarà un'esperienza un po' masochistica. La Lega, invece, patisce le proprie contraddizioni (ponte sullo Stretto e stretta ai Comuni, la sicurezza di cui si parla meno perché non governa Prodi, le tasse che B e Formigoni non hanno certo abbassato), ma recupererà elettori giovandosi proprio del calo del Pdl. E dobbiamo raccontare questo dissidio e quello che a livello nazionale succederà, con una destra spaccata tra un Nord con Bossi e un Centro-Sud sull'asse Casini-Fini. Quanto a noi, cerchiamo di evitare il non voto, mi raccomando, perché questa volta potrebbero esserci delle sorprese. Dall'altra parte. Il momento è propizio.
Dal Ciwati.
P.S. E se vincessimo 9 a 4? Che vorrebbe dire vincere in Puglia (la Stalingrado del Feldmaresciallo D'Alema), in Piemonte (virtuoso esempio di partito federalista, non visto benissimo da questo gruppo dirigente che la Bresso neanche la voleva) e nel Lazio (esternalizzazione della leadership)... Eh, ci sarebbe da riflettere...

sabato 27 marzo 2010

Un ddl per finanziare il golf



"Al prossimo Consiglio dei ministri presenterò un disegno di legge per promuovere e sostenere lo sviluppo del turismo del golf con la nascita di nuovi campi da gioco e strutture ricettive in Italia". Per dare questo annuncio il ministro per il Turismo, Michela Vittoria Brambilla, ha convocato una conferenza stampa, ma anche suscitato ironie e sarcasmo sia nell'opposizione che in maggioranza."Oggettivamente - ha commentato il leghista Massimo garavaglia, vicepresidente della commissione Bilancio del Senato - l'annuncio della Brambilla è quanto meno inopportuno dal punto di vista della tempistica, dal momento che abbiamo tante aziende costrette a mettere in cassa integrazione i propri operai i quali difficilmente andranno poi a giocare a golf e difficilmente andranno a giocare a golf i datori di lavoro coscienziosi, che stanno mettendo tutte le energie per risollevare le proprie aziende".Sulla stessa linea il capogruppo dell'Udc al Senato, Giampiero D'Alia: "L'annuncio della Brambilla dimostra, qualora ce ne fosse stato bisogno, che il governo si occupa d'altro rispetto a quelli che sono i bisogni della gente. E' chiaro che il governo ormai viva su Marte - ha aggiunto D'Alia - e probabilmente su Marte si gioca a golf, mentre qui, sulla terra, nella realtà di tutti i giorni, la gente normale non riesce ad arrivare con lo stipendio alla terza settimana...".Sulla questione è intervenuta anche Anna Finocchiaro, capogruppo dei senatori del Pd: "Come uscire dalla crisi? Semplice, campi da golf per tutti. Ecco la nuova ricetta del governo proposta dal ministro Brambilla - ha detto Finocchiaro - . Una soluzione alla portata di tutti, dopo gli incentivi per l'acquisto delle barche da diporto, ci sembra un'opportunità che ad esempio le migliaia di operai in cassa integrazione potranno cogliere al volo". Secondo la senatrice pd, la proposta è fatta "con una leggerezza che sfiora l'incoscienza": "Ci sembra che questo paese, come dimostrano anche gli ultimi dati di ieri con 380 mila disoccupati in più nel quarto trimestre del 2009, abbia bisogno di ben altre ricette per uscire dalla crisi".

venerdì 26 marzo 2010

«Voglio un Pd popolare più della Lega, a Errani chiedo novità in giunta»

A proposito del post LE REGOLE CHE NON CI SONO apparso sul sito del Circolo PD di Fontanelle di Riccione, riportiamo l'intervista di Stefano Bonaccini apparsa domenica sull'Unita' (segnalataci da Giovanni Carghini) che chiarisce l'importanza improcrastinabile della convocazione dei congressi provinciali di aprile e maggio (tra cui ovviamente anche quello riminese).

Più decisione nello sbugiardare una Lega «padana solo nei week-end», una giunta regionale «che dia segni di innovazione»,una nuova scuola di formazione per i giovani amministratori.
Questi gliobiettivi tracciati dal segretario regionale Pd Stefano Bonaccini ormai alla vigilia del voto.
Segretario, un bilancio della campagna del Pdl? «Provo grande amarezza per l’atteggiamento di Pdl e Lega, che nel vuotopneumatico di idee e contenuti hanno preferito gettare fango: la mancanza di dibattito, anche aspro, non è mai positiva per la politica prima che per i partiti. Peraltro il Pdl così haoscurato la propria candidata, Bernini, che mi ha trovato un sussulto di autonomia quando ha supplicato i suoi di smetterla con i veleni: anche lei capisce che possono essere un boomerang».
E la Lega? Come si è mossa?
«Sono sorpreso dalla sua scarsa autonomia dal Pdl in Emilia, rispetto ad altre regioni. Come Pd peraltro da troppo tempo siamo timidi, nei confronti di un partito che raccoglie consensi solo perché parla alla pancia e alle paure della gente, con promesse roboanti a cui non seguono risultati. Annunciano più sicurezza e tagliano 10 mila poliziotti e carabinieri in tre anni; parlano di federalismo ma impediscono ai nostri comuni di spendere soldi che hanno nel cassetto, frutto delle nostre tasse, per opere pubbliche che diano ossigeno alle imprese del territorio; non ammettono che vogliono il nucleare, anche a Caorso».
Come deve “contraccare” il Pd?
«Svelando che qui i leghisti fanno i padani nei week-end ma durante la settimana sono in più romano centrici di tutti - da due anni sono la vera stampella di Berlusconi e del governo.
Senza inseguirli sul loro terreno, dobbiamo avere sempre un nostro punto di vista ed essere un partito popolare e riformista, con un linguaggio semplice, pragmatico, senza puzza sotto al naso».
Come giudica Udc e grillini, che annunciano ricorso contro il terzo mandato di Errani?
«Rosy Bindi ha chiarito efficacemente che il problema non esiste. E io sono veramente sorpreso dalla debolezza delle proposte di Favia sui problemi veri dei cittadini: lavoro, imprese, scuola, welfare. Vorrei che venisse con me nei tanti incontri fatti con cassintegrati, precari, insegnanti per vedere se sono più interessati al terzo mandato di Errani o invece al fatto che la Regione non li abbandoni. L’Udc? Galletti è uno dei pochi che non ama la rissa e con cui ci si può sempre confrontare sul merito. Anche quando non siamo d’accordo».
Errani parla di innovazione. Gli avversari ribattono: governa da troppo, è un limite intrinseco. Quale segnale dare, dopo il voto, in questa direzione?
«Mi aspetto che anche la futura squadra di governo regionale dia segni di innovazione. Quanto al Pd, entro l’estate terremo 7 congressi territoriali (Bologna compresa), in cui proseguiremo nel rinnovamento della classe dirigente. Nei prossimi mesi poi apriremo una scuola di formazione politica: una struttura flessibile, che non guardi a modelli pur gloriosi del passato, ma collabori con gli istituti già esistenti per dare ai nostri amministratori e dirigenti la possibilità di un'adeguata formazione».

giovedì 25 marzo 2010

In bici con Dario Franceschini


La sinistra a nudo (anzi, a nude look)


di mattiacarzaniga
Sms di amico francese sulla vittoria socialista (per capirci) alle ultime elezioni regionali: «Stesso entusiasmo che mi portò a commentare il nude look di Carlà qualche settimana fa. Il mio entusiasmo è bipartisan.» Questo per dire del presunto ritorno della sinistra in Francia, e dunque in Europa, e dunque – tutti sperano oggi, in nome di non so più quale proprietà – in Italia. Più che altro, leggendo il caso specifico, è la débâcle della destra xenofoba, come leggo via Pippo, e mettici pure l’astensionismo, ma tant’è. Vedremo.

mercoledì 24 marzo 2010

Rai per una notte


Giovedì 25 marzo dalle ore 20.30 il Partito Democratico di Santarcangelo organizza al "Teatro Supercinema" la proiezione della diretta Rai per una notte, dal Paladozza di Bologna.

La trasmissione sarà condotta da Michele Santoro, in segno di protesta (democratica) nei confronti delle censure messe in atto nelle televisioni pubbliche durante la campagna elettorale per le elezioni regionali.

Vi invitiamo a partecipare numerosi, per dare un segnale di solidarietà e di sostegno ad una battaglia, quella dell'informazione libera e diffusa, messa sempre più in difficoltà da una politica del pensiero unico e del messaggio unificato.

Sanità Usa, la svolta di Obama: ecco i contenuti della legge


Una riforma "storica", nella quale nessun presidente americano era finora riuscito. Ecco di seguito, in sintesi, il contenuto della legge sulla riforma della sanità che la Camera dei rappresentanti si appresta a votare oggi a Washington. Una volta approvato il testo - identico a quello già votato dal Senato - andrà alla Casa Bianca per la ratifica. Gli emendamenti sui quali la Camera è chiamata a pronunciarsi saranno invece oggetto di un voto successivo del Senato, con la sola necessità della maggioranza semplice grazie al meccanismo della "riconciliazione", di norma utilizzato per la legge finanziaria.

Quanti saranno assicurati. La legge rende accessibile una copertura assicurativa al 94% (il 95% con l'emendamento) dei cittadini non anziani, espandendo il servizio medicaid e offrendo dei benefici fiscali senza i quali molte persone troverebbero difficile permettersi un'assicurazione.

Obbligo per i singoli. E' fatto obbligo di acquistare una copertura sanitaria individuale, pena una multa di 750 dollari oppure - se la cifra dovesse risultare maggiore - del 2% dei redditi entro il 2016 (695 dollari e il 2,5%, con l'emendamento).

Obbligo per i datori di lavoro. Il testo del Senato non lo include, ma richiede alle aziende con 50 o più impiegati di contribuire alla spesa se questa è a carico dei contribuenti. L'emendamento prevede per le stesse imprese una tassa annuale di 2mila dollari, ma applicabile solo a partire dal 30simo impiegato.

Aborto. La copertura assicurativa può includere l'interruzione di gravidanza, ma come un servizio a parte per il quale si paga in modo separato; non è previsto alcun emendamento.

Finanziamento. La copertura finaziaria alla legge è assicurata dai tagli al programma medicare e a nuove tasse, comprese quella sulle coperture assicurative che superano i 23mila dollari per una famiglia di quattro persone, nonché le coppie con un reddito superiore ai 250mila dollari l'anno. L'emendamento ritara l'impatto fiscale ma prevede anche una tassa sugli investimenti del 3,5% sempre per le coppie con un reddito superiore ai 250mila dollari l'anno.

Medicaid. Il servizio per i cittadini indigenti verrebbe ampliato fino a coprire chiunque guadagni meno del 133% della soglia di povertà a livello federale (circa 29mila dollari l'anno per una famiglia di quattro persone). L'emendamento viene incontro alle esigenze dei governi statali aumentando il contributo federale alla copertura dei costi.

martedì 23 marzo 2010

Impietoso confronto


Sopra la piazza del 1 maggio 2009 (dove erano presenti 250000 persone) e sotto quella della manifestazione
(a uso televisivo) del PdL di sabato scorso.
Quello che vorrei tanto sapere, e purtroppo non sapremo mai, è quello che è successo nelle tre ore abbondanti trascorse tra la faraonica autocertificazione di Verdini («Siamo più di un milione») e la generosa concessione della Questura («150 mila»). Così possiamo solo immaginare il vorticoso giro di telefonate, le pressioni sul questore da parte del governo, la trattativa sui numeri come a un mercato rionale, e alla fine il penoso compromesso dei 150 mila che non farà contento Gasparri ma comunque raddoppia – o triplica – quello che, visto dall’alto, palesemente non superava il pubblico di una partita di medio richiamo a San Siro.

lunedì 22 marzo 2010

Intervista a Filippo Pecci


Tra i tanti ragazzi della Giovanile Democratica riminese che si sono distinti, Filippo Pecci (quello nella foto, a sinistra) ha svolto un ruolo particolarmente attivo nella riuscitissima manifestazione del 1 marzo scorso. Ovviamente la gestione della manifestazione e' stata completamente condivisa con molti altri gruppi attivi sul fronte dell'immigrazione, ma ci e' parso da subito estremanente positivo che ragazzi attivi all'interno del PD, fossero altrettanto attivi "all'esterno". L'intervista che vi proponiamo (cosi' come era successo in occasione di quella con Lorenzo Certelli) da' un'idea davvero entusiasmante della qualita' di questi ragazzi.

1)Perché ti impegni (e sottolineo la parola impegni) nel PD?
Perché non riesco ad accettare che ciò che non funziona non si possa cambiare e migliorare. Il PD, al contrario di quanto pensano tanti miei coetanei, è il vero veicolo del cambiamento possibile. Per questo mi impegno in questo partito, perchè penso che sia la miglior occasione che la sinistra ha per cercare di cambiare davvero qualcosa.

2) La tua percezione della provincia di Rimini intesa come territorio socio/culturale/economico?
Penso che molti aspetti della nostra provincia siano migliori rispetto ad altre zone di Italia. Chiaramente però non mancano alcune ombre. Ad esempio: io abito a Montescudo, quindi nell'entroterra. La sensazione qui, ai confini della provincia, è che le amministrazioni ed i partiti concentrino tutti i loro sforzi e le loro attenzioni verso il mare ed il turismo, lasciando questi territori a sé stessi. In più mi sembra evidente che il malcontento per gli ultimi anni di amministrazione del territorio sia abbastanza diffuso, quindi penso che sia necessario un vero e proprio colpo di reni, per far ripartire la tanto conclamata politica del buongoverno.

3)Essere della generazione nata con la nascita del PD e' un dettaglio o un tratto fondamentale (i DS e la Margherita quasi non sai cosa fossero...)?
Penso sia una nostra caratteristica fondamentale. La nostra generazione è la vera generazione PD, siamo slegati da tutte le logiche che appartengo al passato, e abbiamo ben chiaro cosa il PD debba essere : un partito riformista, laico, che sappia interpretare la realtà, rispondere ai problemi del nostro tempo.

4)Cosa ti ha spinto a impegnarti nel co-coordinamento della manifestazione del 1 marzo? E da uomo-PD (anche se non in veste ufficiale) come sono stati i rapporti con le altre organizzazioni?
Lo scorso inverno, grazie alle attività del gruppo Diritti e Libertà(gruppo di lavoro della conferenza programmatica), ho iniziato ad interessarmi alle problematiche legate all'immigrazione, ho letto qualche libro, ho ascoltato molto. Poi quando si è presentata l'occasione di partecipare a Rimini all'iniziativa del Primo Marzo, ho subito deciso di impegnarmi in questo comitato. Il Primo Marzo è stata davvero la grande novità dell'inverno, dal punto di vista politico e sociale. Per la prima volta cittadini italiani e stranieri si sono uniti, per una battaglia di civiltà, pacifica ed antirazzista.
E' stata per me una fantastica “scuola” ho imparato a confrontarmi con tante diverse realtà, a conoscere i diversi punti di vista di tutte le organizzazioni che hanno partecipato. I rapporti con le altre associazioni sono stati buoni. Grazie all'apporto dato dagli altri ragazzi della giovanile, abbiamo dimostrato che il PD sa essere presente in prima fila su temi importanti, che siamo capaci di mobilitarci e che non risparmiamo testa e gambe.

5) L'esperienza dell'organizzazione della manifestazione del 1 marzo ti ha sicuramente dato la possibilita' di farti un'idea piu' precisa del mondo dell'immigrazione: quali sono le sue declinazioni riminesi?
Rimini non è Verona o Treviso, ma anche qui ci sono diversi problemi legati all'immigrazione.
Tanto per cominciare i luoghi dell'integrazione. A Rimini, ci sono tante associazioni che svolgono un lavoro di assistenza fondamentale per tanti immigrati, sostituendosi, di fatto, ai vuoti lasciati dallo Stato e dalle amministrazioni. Fin'ora la sede di tante di esse è stata la Casa della Pace, un luogo purtroppo fatiscente, ma comunque sufficiente ad accogliere tante attività importanti per quanto riguarda l'integrazione. Ora è sotto sfratto, e non è ancora stato trovato una nuova sede adatta ad ospitare tutto ciò che prima si faceva alla Casa della Pace. Il primo passo deve essere la riqualificazione dei luoghi destinati alle attività di integrazione e di assistenza ai migranti.
In secondo luogo, una delle cose che mi ha più colpito è il fatto che, purtroppo, le comunità di migranti sono a volte troppo isolate tra loro, e tendono a essere molto chiuse, rendendo difficile anche il passaggio delle informazioni a tutti i membri. Ad esempio a noi del comitato Primo Marzo, è risultato difficile contattare il singolo cittadino migrante e coinvolgerlo, molte informazioni troppo spesso si sono fermate ai presidenti delle associazioni o a pochi intimi.

6)Eri gia' parte della Giovanile Democratica e hai condiviso gran parte del percorso ad ostacoli che ha portato al vostro congresso: cosa speri che scaturisca da questo gruppo?
Ho grandi aspettative per questo gruppo. Da qui deve partire il cambiamento, da questa Giovanile deve nascere una classe dirigente che possa prendere per mano il partito e trascinarlo fuori dall'empasse nella quale si trova, anche a Rimini. Dobbiamo riuscire a coinvolgere tanti ragazzi e mostrare loro che c'è un luogo nel quale possono esprimere il loro pensiero e confrontarsi con tante tematiche interessanti ed importanti.

7) Per completare il quadro vorremmo che ci indicassi un uomo politico, un libro e un tuo "luogo dell'anima" (non che ce ne sia solo uno per categoria, ovvio, ma ne vorremmo sapere uno...)da tenere come punti di riferimento?
Un libro
: non è un libro che parla di politica ma ha segnato il mio percorso di vita fin'ora. L'ultimo Teorema di Fermat di Simon Sight, che ho letto per la prima volta qualche anno fa, restando affascinato dalla matematica. Adesso studio matematica, sono al secondo anno, e quel libro ha segnato l'inizio della mia passione. Il libro racconta di come il matematico Andrew Wiles abbia dimostrato uno dei teoremi più misteriosi della storia, restato senza soluzione per secoli. Ad ogni esame non superato, ne rileggo alcune parti, giusto per ricordarmi perchè studio matematica.
Un luogo importante per me, è una città: Padova, ci vivo da un anno e mezzo ed è lì che trascorro la maggior parte della mia vita.
E' difficile trovare un uomo politico a cui io sia particolarmente legato, perchè in realtà non ce n'è davvero uno: più che gli uomini politici tengo come punti di riferimento alcuni principi come la laicità, la giustizia sociale, il diritto di ciascuno a ricercare la propria felicità.
Dal mio punto di vista credo che Zapatero abbia rappresentato e rappresenti tutt'ora il mio ideale di riformismo: lucido, capace di rispondere ai problemi della società e di innovarla.

domenica 21 marzo 2010

Temporali


"Era la stagione dei tuoni. L’aria odorava di violenza messicana, di uragani o colpi di stato. C’erano tuoni mattutini provenienti da cieli burrascosi e indecifrabili, messaggi cupi e sinistri da cittadine del sud della contea dove nessuno era mai stato. E tuoni di mezzogiorno da cumuli solitari a zonzo per cieli altrimenti sereni. E c’erano i tuoni più seri di metà pomeriggio, con onde compatte di nuvole verde mare ammassate a sud-ovest, con il sole che si faceva più vivido e il caldo più pesante come se sapessero di avere poco tempo. E il grande spettacolo di una bella esplosione serale, con temporali ammassati in tutti gli ottanta chilometri del raggio d’azione del radar come grossi ragni in un barattolo, nubi che si rimandavano boati dai quattro angoli del cielo, e ondate di gocce grosse come monete che arrivavano simili a pestilenze, mentre il paesaggio alla finestra diventava bianco-e-nero e sfocato, alberi e case vacillavano fra i lampi, i bambini con costumi da bagno e asciugamani fradici si precipitavano in casa come profughi. E poi i rulli di tamburo nel cuore della notte, il fracasso dell’artiglieria dell’estate in marcia".–

Jonathan Franzen, Le correzioni - Giovanni De Mauro su Internazionale

sabato 20 marzo 2010

E D'Alema fa pace con Vendola: è stato più bravo di noi


È Massimo che aspetta Nichi nell'atrio del vecchio teatro Kursaal (1927) e quando Nichi entra gli porge la mano, proprio sotto al manifesto ingiallito di Amarcord. Ma qui non si tratta di nostalgia, a parte il fatto che Nichi Vendola si iscrisse alla Federazione dei giovani comunisti nel 1972 e che Massimo D'Alema di lì a poco ne sarebbe diventato il segretario. C'è uno che ha vinto, Vendola, governatore della Puglia in carica e trionfatore alle primarie per scegliere il candidato governatore del centrosinistra e uno che ha perso, D'Alema, che voleva al suo posto Francesco Boccia, anche in nome di un accordo con l'Udc. Così, ieri è stato il lungo pomeriggio della pace fra il freddo stratega, 61 anni e il caldo sognatore, 52 anni, ottimi oratori entrambi.
Il giorno dopo la manifestazione di piazza del Popolo, con un barlume di nuova alleanza fra le forze del centrosinistra. «In questa regione — ha detto D'Alema — c'è un tasso di vivibilità e di creatività su cui si può costruire un progetto politico. In questo Vendola è stato più bravo di noi e io glielo riconosco». L'organizzazione del dibattito «Diritti al voto» era del Pd e il teatro si è riempito di applausi, perché non è facile ascoltare autocritiche da chi è ai vertici della politica. Ma D'Alema, più avanti, precisa: «Non mi pento di ciò che ho fatto. Come Don Giovanni non mi pento e mi faccio inghiottire dalle fiamme. Noto tuttavia che per un disegno della Provvidenza, qui si sono create le condizioni per stravincere». Già, dato che l'Udc non si è legato al centrosinistra, a causa del candidato Vendola, ma neanche al centrodestra e andrà a togliere voti da quella parte, con la sua candidata Poli Bortone. Sarà Vendola il candidato presidente del Consiglio per il centrosinistra?, chiede il moderatore Giuseppe De Tommaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno. «Io spero che prima del 2013 l'Italia possa essersi liberata dell'ipoteca Berlusconi», risponde Vendola. Poi, ipotesi di ritiro: «Per quanto riguarda me, vorrei andarmene a vivere in santa pace. Ma voglio far nascere una nuova classe dirigente, come già in questa campagna elettorale, con le "Fabbriche di Nichi", centinaia di giovani al lavoro in tutta la Puglia». E D'Alema, tagliente: «Le discussioni sul leader del futuro lasciano il tempo che trovano. La politica è una direzione di marcia, non previsione di ciò che accadrà fra tre anni».
Poi, di nuovo conciliante: «In Puglia si tiene una sfida nazionale, e Nichi gioca qui una possibile affermazione di leadership meridionale nel centrosinistra». Quale centrosinistra? D'Alema immagina «una coalizione attorno a un grande partito», il Pd naturalmente. Vendola entrerà nel Pd? «Non è questo il problema», dice Nichi. «Casomai, è un'opportunità», punge col fioretto D'Alema. «Posso pensare che il Pd entri nel mio partito, Sinistra ecologia e libertà... In realtà nessuno di noi, piccoli e grandi, è in grado di uscire da solo dal tunnel, di affascinare le nuove generazioni», ribatte Vendola. Alla fine, si danno anche un timido bacio sulle guance, sotto gli occhi di Linda, moglie di Massimo e di Antonietta, mamma di Nichi. Assente invece il sindaco di Bari Emiliano, che era annunciato. Aspirava ad essere il candidato governatore e avrebbe da poco fatto pace anche lui con Nichi. «Adesso, con D'Alema, faremo campagna elettorale per Vendola pancia a terra — assicura Nicola Latorre —. La Puglia rischia di diventare l'unica regione meridionale governata dal centrosinistra».

Dal Corriere della Sera del 16 marzo

venerdì 19 marzo 2010

Frase del giorno


«Berlusconi mi manda a fare in culo ogni tre ore»
(Giancarlo Innocenzi spiega il suo lavoro al figlio)

Salvaliste a un soffio dalla bocciatura alla Camera. Salvato dalle assenze nell'Udc.


Franceschini furioso. L'Udc salva il decreto "salvaliste". E' stato solo grazie alle assenze nel gruppo dei centristi che oggi alla Camera la maggioranza è riuscita a bocciare le tre pregiudiziali di costituzionalità presentate dalle opposizioni. La Camera le ha bocciate con 259 voti a favore contro 272, sei solo in più della maggioranza richiesta. «Una maggioranza risicata», commenta Bersani. E il capogruppo del Pd Franceschini, che in questi giorni aveva lavorato di concerto con tutte le opposizioni per garantire una presenza parlamentare massiccia contro il decreto, è furioso con i centristi. A Montecitorio si racconta di una sfuriata di Franceschini con i vertici dell'Udc. «Se fossimo riusciti a bocciare quel decreto oggi, per il Pdl la campagna elettorale si sarebbe messa male», ha tuonato. Dei 39 deputati dell'Unione di centro, solo ventidue hanno votato. Degli altri 17, due erano in missione: il leader Pier Ferdinando Casini e il presidente Rocco Buttiglione. Quindici invece i deputati che non hanno partecipato al voto e tra loro il segretario Lorenzo Cesa e il vicecapogruppo Michele Vietti che pure era stato il primo firmatario di una delle tre pregiudiziali che chiedevano lo stop all'iter del dl. In aula erano presenti 532 deputati, di cui uno non ha votato, e la maggioranza richiesta era di 266 voti. Quasi compatta è stata la presenza del Pd: mancavano in aula solo tre deputati. E al gran completo era la compagine dell'Idv. Tutti e 24 i deputati dell'Italia dei valori erano presenti e hanno votato. Nel Pdl mancavano 51 deputati su 268, di cui 25 in missione. Dei 60 deputati della Lega nord 9 erano assenti e 5 di questi perchè in missione. «Il leader Udc Casini ci spiega ogni giorno in televisione che la battaglia contro il governo non si fa nelle piazze ma in parlamento: peccato che proprio oggi avrebbe avuto una straordinaria occasione per contribuire ad una fondamentale vittoria parlamentare. La sua assenza, insieme a quella del segretario Cesa e si altri 15 deputati dell'Udc, ha determinato la bocciatura della pregiudiziale di costituzionalità al decreto salva liste. Ecco, dunque, cosa accade quando si predica bene e si razzola male», attacca Roberto Giachetti, segretario d'aula del gruppo del Pd a Montecitorio.L'esame del decreto è stato rinviato a dopo le regionali. A oggi non risulta ancora calendarizzato.


Dall'Unita' del 16 marzo

mercoledì 17 marzo 2010

Intervento di Roberto Maldini



Domenica scorsa e ieri sono comparso nelle cronache cittadine in 2 articoli sugli incarichi e siccome si mette in gioco la mia professionalità e la mia moralità,
è opportuno mettere i puntini sulle i.

Cercherò di essere il più sintetico possibile, come la natura del blog impone.

Per prima cosa:
Ho svolto e svolgo il mio incarico di tipo professionale a supporto delle attività che fanno capo alla Segreteria del Presidente della IV Commissione Assembleare, nell’ambito delle competenze professionali che mi sono proprie, e cioè quelle che fanno parte del mio percorso di studi, sono laureato in Scienze della Comunicazione con successivo Master alla RAI con borsa di studio per merito,
e quelle che fanno parte del mio percorso professionale da quando lavoro – ritengo con competenza e capacità - prima a Milano e dal 2003 a Rimini.

Per secondo:
Nell’ambito di questo incarico il mio ruolo di supporto è stato svolto intervenendo sull’impostazione della comunicazione, sulla definizione delle modalità più efficaci nel comunicare temi e risultati in una fase importante di un ente – e dunque anche di una presidenza di commissione - che è quella di fine legislatura.
Ed ora – per completezza - a conclusione del mio incarico che terminerà il 31 Marzo, sto ultimando la presentazione multimediale che illustra in sintesi le linee dell’attività di commissione, uno strumento di divulgazione sul funzionamento e le competenze relative alle “Politiche per la Salute e Politiche Sociali”.

Gestire e indirizzare la comunicazione come sviluppare prodotti di comunicazione è il mio lavoro, è la mia professione che svolgo da sempre per committenze private e pubbliche, molto prima del mio impegno politico.

Terzo: vengo al dato politico.
Nelle stesse cronache il mio nome viene associato in modo costante al mio essere stato referente di mozione (Marino) nella fase congressuale del PD. E’ un’etichetta che – come, forse, comprendo – serve a esemplificare e a inquadrare una persona poco nota. Ma che, a mesi dal congresso e dallo scioglimento della mozione, devo rifiutare.
Dalla sera stessa del 25 ottobre scorso – come sempre ho sostenuto durante la campagna congressuale -, mi sono spogliato della parte, come giusto che fosse, così come la mozione si è sciolta.
Tutto ciò ha avuto per me un valore di coerenza e di rispetto nei confronti di un PD fatto di persone e non di correnti. Questo lo voglio ribadire ancora una volta e di nuovo con forza, perché da quel 25 ottobre scorso Roberto Maldini non rappresenta alcuna area o corrente o anima di partito. Men che meno nella fase di selezione delle candidature che si è svolta secondo il regolamento regionale* e non secondo l’accordo o l’impallinamento tra correnti o la compravendita di possibili avversari interni.

Il mio incarico è professionale e mette in atto proprio quel principio del merito e della competenza per cui mi sono sempre battuto: altre logiche "prima" e "dopo" l'incarico non mi appartengono, anzi sono le stesse logiche che fintantochè starò nel PD - e grazie al PD - non cesserò mai di contrastare.

Roberto Maldini


* ovvero: indicazione della direzione su proposta della segreteria del candidato uscente Roberto Piva e dei criteri di definizione delle altre 2, quindi consultazioni dei circoli, quindi investitura delle candidature. Questo il metodo che ha individuato i tre candidati Piva, Ciaroni, Rossi.

Il criceto della libertà


Pubblicato come post da Olgiata
E' il segno dei tempi, certo. Se non partecipi almeno a un reality, non ti riconoscono neanche lo status di disoccupato. Ci avevano anche abituati alla riffa per un posto di lavoro. Ci siamo quasi: presto sarà tele-democrazia. La vita, oltre il vetro del televisore; sul divano di casa, invece, sguardo fisso, cervello piatto e pollice semovente per non esagerare neanche con lo zapping. Se poi sei disoccupato o casalinga, il cerchio si chiude: il criceto della libertà non potrà che riconoscere se stesso nella ruota finta della tv.I dipendenti della Vinyls di Porto Torres si sono autoesiliati all'Asinara. Sull'Isola dei cassintegrati nessuno è famoso, ma tutti sono senza lavoro. Forse è nato un nuovo format. Di certo sono saltate tutte le categorie e non solo perché il GF è davvero specchio dei nostri tempi. Le cose sfuggono, come la sabbia della pubblicità dell'Eni. Ma quanti neuroni si bruciano a mettere in relazione la Vinyls con l'Eni?

L’affitto del sole si paga in anticipo prego


8 marzo 2010 di mattiacarzaniga
Per chi ha seguito anche solo un po' gli Oscar di quest'anno, Kathryn Bigelow non si è sognata di dire «I’m the queen of the world», ché lo sa che poi il mondo ti volge le spalle quando vuole, gli Icari cadono, anche se hanno pagato caro per raggiungere il sole (purché fatto in digitale, e da vedere con gli occhialini 3D). Questo per dire che non ho visto muso lungo più fintamente mascherato di quello di James Cameron, questa mattina alle sei, dopo una notte di grandi momenti che neanche ai Telegatti (guardare qui, in alto a destra), grandi assenti, e grandi ciotole di fagioli verdi, usati per scacciare qualunque possibilità di vittoria di quei cosi blu del James di cui sopra. Neanche Walter dopo il giro delle sette chiese e delle cento province aveva quella faccia. La notizia è che non si sta avverando la più grande profezia che ci hanno venduto a inizio millennio: La Rivincita Dei Nerd. Quelli che si fidano (di te, di chiunque), e non sono mai disposti a perdere.

martedì 16 marzo 2010

Il Pdl in marcia contro se stesso


di ILVO DIAMANTI
Mancano due settimane alle elezioni regionali ma raramente si è assistito a una campagna così accesa. A una mobilitazione altrettanto ampia. E un'attenzione ai temi locali così ridotta. Ieri la grande manifestazione del centrosinistra, a piazza del Popolo, contro gli interventi del governo sulle regole elettorali - e non solo. Sabato prossimo, ancora a Roma, la manifestazione del Pdl, con un obiettivo simmetrico: protestare contro i giudici e la sinistra. Accusati di impedire alla maggioranza di presentare le proprie liste. Anche in questa occasione, dunque, le elezioni "regionali" hanno assunto un significato politico "nazionale". In fondo è sempre successo, dopo la fine della prima Repubblica. Da allora, infatti, le elezioni regionali hanno funzionato come una sorta di primo turno rispetto alle elezioni politiche dell'anno seguente. Anticipandone, puntualmente, l'esito. Nel 1995 il centrosinistra si è imposto in 9 regioni su 15. L'anno successivo, l'Ulivo, guidato da Prodi, ha vinto le elezioni politiche. Viceversa, nel 2000 il centrodestra, guidato da Berlusconi, ha prevalso in 8 regioni su 15 (ma in Molise la consultazione verrà successivamente annullata). Provocando le dimissioni di D'Alema. Per poi vincere le elezioni politiche del 2001. Infine, nel 2005, l'Unione di centrosinistra ha travolto il centrodestra, conquistando 12 regioni su 14. Premessa alle politiche dell'anno seguente, quando si è imposta, per quanto di misura. Questa volta, però, la situazione appare molto diversa. Dieci anni di elezione diretta hanno garantito ai Presidenti grande visibilità. Mentre, dopo vent'anni di discorsi sul federalismo e sull'autonomia, il voto regionale è divenuto importante, per i cittadini. Infine, soprattutto, le elezioni non si svolgono un anno prima delle politiche. Non costituiscono, dunque, l'avvio di una lunga, intensa e unica campagna elettorale. Tanto più per un governo che ha stravinto le elezioni del 2008, dispone di una maggioranza parlamentare molto larga. Ed è guidato da un premier che sostiene di avere la fiducia di tre quarti dell'elettorato. Con un'opposizione incerta. Visto che il Pd, negli ultimi due anni, ha cambiato tre segretari. E oggi appare, comunque, lontano, in quanto a peso elettorale, dal Pdl. Il partito del premier. Il quale, però, proprio per questo, rischia più di tutti, alle prossime elezioni. Che possono alimentare nuove tensioni nel suo schieramento, ma anche nel suo partito. Creando ulteriori problemi alla sua leadership personale. Solo così si spiegano la crescente pressione sui media, il silenzio imposto ai programmi di infotainment e di politainment. Che mischiano, cioè, informazione, intrattenimento e politica.
L'insofferenza verso Santoro. Così si spiega la tracimazione del tempo occupato dagli uomini del centrodestra nei tigì Rai e Mediaset. E ancora: la mobilitazione di piazza, agitando la teoria del complotto, per trasferire sugli altri - i giudici, i radicali, la sinistra - le responsabilità dei propri militanti e del proprio partito riguardo all'esclusione delle liste Pdl in provincia di Roma. Tanto movimento, tanta determinazione servono a contrastare la frustrazione dei propri elettori. A contenere la tentazione, di molte fazioni locali e personali del Pdl, di "remare contro" - altre fazioni locali e personali del loro stesso partito. A frenare il disimpegno possibile di decine di candidati (esclusi). Il loro risentimento contro i veri colpevoli di questa situazione. Non gli avversari politici, ma i loro stessi compagni di partito. In definitiva: Berlusconi teme il maggior nemico con cui abbia dovuto misurarsi, dal 1994 fino ad oggi. Più insidioso dell'Ulivo e del Pd, della sinistra e dei radicali, di Prodi, D'Alema, Di Pietro, Pannella, Casini e la Bonino. Teme l'astensione. Principale causa del risultato deludente alle elezioni europee del 2009. Ma anche del tracollo alle regionali del 2005. Quel bacino di elettori di centrodestra - molto ampio: circa un terzo del totale - che per votare hanno bisogno di buoni motivi. Ma a cui bastano pochi motivi per non votare. Oppure per votare "contro". Non tanto la sinistra - da cui si sentono antropologicamente distanti. Ma contro la loro parte. Il centrodestra. Il Pdl. Quelli, cioè, che, per protestare, votano (lo hanno già fatto) per la Lega. E che potrebbero scegliere perfino gli "estremisti" (sic!) di centro. Come recita uno slogan dell'Udc. Insomma, il premier teme l'indebolirsi del suo partito, già attraversato da divisioni personali e di gruppo. (Da ultimo: l'esodo di Micciché verso il Partito del Sud di Lombardo). Teme gli effetti di un risultato negativo. Che restituisca fiducia al Pd. Alla stessa Udc (tanto più se risultasse determinante in regioni come la Puglia o il Piemonte). Ma, soprattutto, teme la Lega. Sua alleata forte. Dopo queste elezioni potrebbe divenire perfino "troppo" forte. Rendendo vistosa - e imbarazzante, nel confronto - l'immagine di un partito - il Pdl - senza territorio. Disorganizzato. Proprio perché al comando c'è un uomo solo. Troppo solo. A capo di un partito grande. Troppo grande. Troppo frammentario. E troppo diviso. Berlusconi, per tenere insieme la sua galassia, ha bisogno di rinnovare - perennemente - la leggenda del leader vincitore. Quello che non si arrende mai. Cade e si rialza. Contro ogni previsione. E contro ogni auspicio. Di nemici e amici. Ma oggi governa da solo, con una maggioranza larga e un'opposizione debole. Davanti, ancora tre anni di governo. La crisi che incombe, una catena di vicende giudiziarie da affrontare - e schivare. La Lega a capo del Veneto e magari anche altrove. Tre anni sono lunghi. Senza altre elezioni da affrontare. Per mobilitare la base. Alimentare un'organizzazione che non c'è. Per questo, oggi, a Berlusconi conviene usare l'antiberlusconismo come un'arma contro gli altri. Giudici, comunisti, la Repubblica, Di Pietro. Per raccogliere gli elettori intorno a sé. Tutti uniti. Tutti in piazza. Come titolava, in modo icastico, il Foglio nei giorni scorsi: "Nel Pdl manifesteranno tutti convinti, ma non capiscono bene perché". La risposta è semplice: "Contro - e per - se stessi".

lunedì 15 marzo 2010

L'ultimo giorno (che poi è il primo)


L’ultimo giorno della campagna elettorale è, in realtà, il primo, per importanza, per significato, per visibilità. Gli elettori dopo qualche ora si recano alle urne e ciò che vien detto il venerdì precedente ha molta rilevanza sulle scelte delle persone e in generale sull’impronta politica che si vuole lasciare, in occasione di elezioni importanti come quelle del 28 e del 29 marzo. Per questo, l’ultimo giorno della campagna elettorale dovremmo dedicarlo ai temi del lavoro e di chi, nel lavoro, soffre di più. C’è la questione aperta dell’articolo 18 e bene ha fatto Sergio Cofferati a segnalare la pericolosità della norma recentemente approvata dal Parlamento, che va nella direzione sbagliata e opposta rispetto a quella che dovremmo prendere. Perché noi dovremmo tutelare di più e meglio il lavoro, concepire un sistema più solido e aggiornato che sappia estendere i diritti, non privare dei diritti i lavoratori che possono ancora goderne. Quella della destra è una norma pasticciata e confusa che introduce arbitrariamente l’arbitrato, che penalizza chi è più debole e toglie potere contrattuale ai lavoratori in un momento in cui la loro posizione è sotto attacco, per le condizioni economiche complessive e per alcune scelte sbagliate che ora possiamo valutare fino in fondo. E ci sono i giovani precari che sono stati i più penalizzati dalla crisi, una generazione intera da rappresentare che chiede risposte e garanzie e che, da quando c’è Berlusconi, è come se non esistesse. E, ancora, si parla di persone che hanno una famiglia, i figli da mandare a scuola e un mutuo da pagare e si trovano in cassa integrazione o senza lavoro. Per questo vorrei che in tutta Italia il Pd si mobilitasse perché l’ultimo giorno di questa campagna elettorale, venerdì 26 marzo, fosse esplicitamente dedicato agli ‘ultimi’ destinatari delle politiche del governo: i lavoratori italiani. La democrazia funziona solo se sa rispondere ai bisogni di chi è più in difficoltà, solo se sa rinnovare un patto sociale e un’alleanza tra generazioni. Solo se non mette i giovani contro gli anziani, ma dà loro qualche certezza sul presente e sul futuro. Solo se sa prendere di petto la questione della disuguaglianza, non per aumentarla, com’è successo in questi anni, ma per riequilibrare un sistema iniquo e cattivo con chi non ce la fa. Contro la crisi che aumenta la precarietà, contro l’inerzia del governo e contro i suoi errori, rimettendo in ordine le priorità di un Paese sbandato e incerto. A loro non interessa, a noi sì. Questa è la differenza.


Dal Ciwati

domenica 14 marzo 2010

Il secolo asiatico è un'invenzione

Spettacolare riflessione di David Rieff, da Internazionale 834, 18 febbraio 2010


Mi vergogno a dirlo: seminascosti in un angolo della mia libreria ci sono una decina di libri, tra le centinaia scritti sull’argomento negli anni settanta e ottanta, che annunciavano l’inarrestabile ascesa del Giappone come potenza economica globale. E che prevedevano, come inevitabile corollario, il declino degli Stati Uniti. Il boom tecnologico americano e l’incapacità del mercato azionario giapponese di riprendersi dal crollo del 1987 misero fine a quell’euforia. Non è finita invece la convinzione che l’Europa occidentale e il Nordamerica siano in declino e che il futuro appartenga all’Asia, e in particolare a Cina e India. Il secolo dell’Asia 1.0 è morto, viva il secolo dell’Asia 2.0. Temo che questi libri scritti oggi dalle cassandre occidentali o da alcuni asiatici trionfalisti saranno illeggibili tra dieci anni come i miei vecchi volumi sul boom del Giappone.Chi ha qualche dubbio può dare un’occhiata a uno degli esempi più noti di questo genere, e cioè Imagining India: the idea of a renewed nation. L’autore, il produttore di software e miliardario indiano Nandan Nilekani, racconta l’ascesa inesorabile del suo paese, fornendo un perfetto esempio di una vecchia battuta che risuonava un tempo nelle aule di Oxford e Cambridge: “Ciò che è vero è evidente, e ciò che non è evidente non è vero”. Il libro è diventato ovviamente un best seller internazionale.Dati significativiL’India è un paese dove il tasso di malnutrizione infantile è del 47 per cento: quasi 20 punti in più dell’Africa subsahariana, dove è dell 29 per cento. Eppure le élite indiane continuano a dire che è l’ora dell’India. “Inarrestabile India”, dice lo slogan di una delle tante tv economico-finanziarie che proliferano nel paese. In realtà gli ultimi vent’anni hanno dimostrato che il fenomeno più inarrestabile del subcontinente è la fame. All’ultimo summit economico mondiale di Davos, quelle stesse tv hanno celebrato l’affermazione globale del “brand India”. E questo, bisogna ammetterlo, non è un fenomeno unicamente indiano: è solo che le tv indiane sono appena nate e quindi sono un po’ più rozze nel loro modo di fare pubblicità. Ma chiunque guardi regolarmente la Cnbc sa bene quanto viene esaltata la cosiddetta “classe degli investitori” nelle tv commerciali americane. Io la chiamerai semplicemente “classe dominante”, se il significato delle parole contasse ancora qualcosa. Ma questo è un mondo in cui il linguaggio non conta più, altrimenti sarebbe più facile distinguere la propaganda dall’informazione. Oggi la pubblicità commerciale e quella politica (spesso indistinguibili) hanno tolto valore alle parole. E la colpa è sia della destra sia della sinistra: per capire perché basta leggere i libri di un liberal come George Lakoff, che esalta il framing – le scelte linguistiche che finiscono per influenzare l’0pinione pubblica – sopra ogni altra cosa.Stiamo pagando a caro prezzo la nostra mancanza di rispetto per la verità. In India la borghesia sembra avere più a cuore il destino delle tigri selvatiche che l’aumento incessante dei bambini malnutriti, dei contadini senza terra e dei miserabili che abitano le bidonville intorno alle grandi città. Negli Stati Uniti il Partito democratico – per quanto la pretesa possa apparire assurda – sembra davvero intenzionato a presentarsi come il paladino degli interessi dei poveri e dei lavoratori. Una casta globale. La realtà non è che l’India e la Cina prenderanno il posto degli Stati Uniti o dei paesi dell’Unione europea. È ovvio che vivremo in un mondo dove i centri di potere si moltiplicheranno, ma la storia ci insegna che questa non è una novità. E certamente l’Asia sarà uno di quei centri. Ridurre tutto a una successione storica di imperi – dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti e dagli Stati Uniti alla Cina – significa non capire la radicalità della globalizzazione. Stiamo assistendo alla nascita di una casta globale che condivide un insieme di comportamenti culturali: diritti per i gay, ma non per i lavoratori; più sgravi fiscali per le grandi imprese e i ricchi, ma meno sussidi per i poveri. Questa casta è stato-centrica solo in modo residuale: su quasi tutte le questioni importanti è indipendente da qualsiasi nazione. E come potrebbe essere altrimenti? Un programmatore di software della città indiana di Chennai ha molte più cose in comune con un creatore di moda di Berlino che con l’ex contadina diventata operaia nel cantiere a pochi metri dal suo ufficio. È questa la vera universalizzazione del nostro tempo: la politica dell’identità che pesa davvero ed è in grado di durare. Come diceva lo scrittore francese Nicolas Chamfort in uno dei suoi noti aforismi: “Bisognerebbe ingoiare un rospo vivo a colazione per star certi di non incontrare niente di più disgustoso nel corso della giornata”. Ecco, dovremmo tutti accumulare una buona riserva di quei rospi: ne avremo bisogno.

sabato 13 marzo 2010

Roma, 13 marzo. All together now


Se non ora, quando? Verso la manifestazione del 13 Marzo. Tutti insieme: Popolo Viola, PD, IDV, Radicali, Sinistre.
"Se non ora, quando?", titola oggi il sito de Il Popolo Viola. Dopo decreto ad listam e legittimo impedimento, la manifestazione del 13 Marzo mostrerà la vera piazza al (finto) premier. La piazza che si auto organizza, che si auto mobilita, che non ha "capo" ma un corpo di tantissime teste. Questo è il Popolo Viola. Scenderà per le vie di Roma insieme a PD, a Italia Dei Valori, Radicali e Sinistra-Ecologia-Liberta'. Sarà finalmente una novità, questo assemblarsi di opposizioni parlamentari e opposizioni. movimentiste.

Ancora sulla Giovanile e il 1 marzo

















Riceviamo da Giulia una piccola, ma significativa, galleria di immagini della manifestazione del 1 marzo e della partecipazione che i ragazzi della Giovanile Democratica riminese (gran parte di quegli stessi che hanno fornito la spettacolare prova di coraggio politico nel congresso di sabato).

Diverse centinaia di immigrati, sotto la splendida regia del Comitato 1 marzo (nel quale Filippo Pecci per la Giovanile Democratica ha svolto un ruolo di primissimo piano), hanno saputo mettere in piazza un'iniziativa in cui, all'inizio, ben pochi credevano.
















Vedere attivi su questo fronte i ragazzi della Giovanile Democratica (ed ovviamente anche noi del Coircolo di San Giuliano, anche se con ruolo minore) fa' bene al futuro di Rimini e infonde fiducia in chi ha sempre creduto che, nel PD, magari le persone che sono il presente non siano sempre adeguate, ma che l'idea e' quella giusta.




















Complimenti poi a Giulia Fiori per la qualita', come dire, artistica, delle foto. Alcune, su tutte questa qui a sopra, sono davvero molto belle. Solo per necessita' di sintesi, abbiamo dovuto operare una drastica sintesi.





venerdì 12 marzo 2010

Beato lui...


"Sulla soglia dei 90 anni mi accorgo che questa non è l’Italia che vagheggiavo a 20 anni. Allora ci svegliavamo ogni mattina convinti che avremmo fatto un passo avanti. Oggi ci accorgiamo ogni giorno di aver fatto un altro passo indietro."

Beato lui...

Carlo Azeglio Ciampi, 9 marzo sull'Unita'

Riclicla e sostieni




E' difficile anche solo da credere, ma Mr.Bucci, passando allegramente da uno schieramento all'altro (da Forza Italia per Storace Presidente, all'Italia dei Valori...), lo fa' con lo slogan elettorale di "Riclicla e sostieni" (click the link to have a look, please...). Pare chiaro che il primo riferimento dello slogan sia verso se' stesso. A partire dalla foto.
(Note di Spinoza su Facebook)

giovedì 11 marzo 2010

Sondaggi regionali: 8 a 5 per il centrosinistra



Nelle rilevazioni delle ultime settimane il centrosinistra conduce in 8 regioni. Nordovest, Italia centrale più Basilicata e Puglia al Sud. I margini sono molto risicati in Piemonte e Liguria, mentre in Lazio e pure in Campania la partita è molto aperta - gli ultimi sondaggi rilevano la Bonino in testa, e De Luca è estremamente competitivo.
Andrea Mollica
P.S. E ancora non e' quantificabile l'effetto "firme false"...

mercoledì 10 marzo 2010

La bersanizzazione, finalmente

A furia di insistere, ieri finalmente Pierluigi Bersani si è comportato da leader (non conto-terzi) del PD, come il suo mandato comporta. Non piu' chiacchiericcio con il Governo, ma opposizione. Siamo finalmente lieti. Ora resta un ultimo tabù da infrangere: il Presidente della Repubblica è un uomo, e come tutti gli uomini a volte ci prende e a volte no. E' normale, succede.


Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Un "trucco vergonoso, inaccettabile". Pier Luigi Bersani, dalla manifestazione Pd di Genova trasmessa da Youdem Tv, ha ribadito tutte le sue critiche alla maggioranza per il Dl interpretativo sulle regionali. "Loro al primo, secondo passaggio vogliono subito la norma, e inventano una furbizia, una chiave interpretativa", ha detto il leader del Pd parlando di "norme che sono uno schiaffo percepito non solo nella nostra opinione pubblica. Ho segnali chiari, e' stato percepito nell'opinione pubblica vasta". Un comportamento, secondo Bersani, che sara' sottoposto al giudizio del voto: "C'e' l'occasione elettorale, perche' io non sono per gli aventini".