giovedì 10 dicembre 2009

Il tema dell'innovazione: centrale a Rimini come nel resto del paese


di Alberto Rossini

Vorrei tornare al tema dello sviluppo e dell’innovazione. Riprendo le considerazioni di Rossano soprattutto lì dove sottolineava il rapporto tra territorio e innovazione. Nel senso che c’è un’innovazione di prodotto, una che riguarda i processi produttivi ed una, potremmo dire più recente, che riguarda il rapporto tra un prodotto o un servizio ed il contesto in cui avviene. Nel settore dei servizi questo può essere un punto fondamentale. Ad esempio nel turismo dove l’offerta è l’insieme delle tante differenti cose che si propongono: dall’albergo alla sicurezza, passando per la raggiungibilità o la qualità dell’ambiente.
Una strategia innovativa nei servizi può essere un modo nuovo di distribuire le merci. Con l’obiettivo di inquinare meno, risparmiare energia, aumentare la qualità delle aree più pregiate dal punto di vista urbano. Sto pensando ai transit point o ai centri di distribuzione urbana che consentono di avere un soggetto che realizza il ricevimento, il confezionamento e la consegna delle merci per i negozi, i pubblici esercizi e gli alberghi. Esistono cose del genere a Londra, a Copenaghen, ma anche a Padova e Siena.
Credo, però, che occorrano alcune condizioni di base per favorire l’innovazione legata al territorio. Una senza dubbio è legata alla composizione sociale degli occupati nelle imprese. Insomma alle caratteristiche della forza lavoro, alla tipologia degli occupati, alle peculiarità del lavoro che svolgono e delle condizioni in cui lo svolgono. Può essere vero che l’innovazione non nasce solo all’interno della grande impresa, però occorre che nel lavoro vi sia stabilità di rapporti, possibilità di sperimentare soluzioni nuove che necessariamente implicano, in un modo o nell’altro, percorsi formativi, acquisizione di nuovi saperi. Mi pare che tutto questo non possa avvenire se nel mondo del lavoro aumenta quella che viene definita flessibilità che però nella stragrande maggioranza dei casi significa precarietà. Sto dicendo che se la composizione sociale degli occupati è sempre di più costituita da lavoratori a tempo determinato, da lavoratori atipici, cioè da lavoratori occasionali, e da lavoratori autonomi che svolgono mansioni proprie del lavoro dipendente, introdurre innovazioni territoriali nel campo dei servizi o dei prodotti diventa particolarmente difficile.
Quello che vale per una impresa vale anche per un territorio. Un’azienda che non dedica tempo e risorse alla innovazione non arriverà mai ad avere prodotti innovativi. Indipendentemente dal modo in cui ciò avviene. Non necessariamente ci deve essere in un’impresa il settore “Ricerca e Sviluppo” ma se c’è solo personale avventizio e pochi dipendenti in pianta stabile sarà molto difficile che si depositi un sapere aziendale e che questo produca cambiamenti positivi.
Invece nella struttura sociale del lavoro in Italia è andata proprio così. Negli ultimi dieci anni il numero dei lavoratori atipici e dei lavoratori con contratti a termine è aumentato. E’ questa la nuova struttura sociale del lavoro in Italia. Cito solo un dato per spiegare cosa è successo: quasi la metà dei lavoratori a tempo determinato ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni. Il che vuol dire che tra le generazioni più giovani quel tipo di lavoro è poco diffuso. Il 40% dei lavoratori atipici si trova nella fascia di età tra i 30 e i 39 anni (da M.Megatti e M.De Benedittis, I nuovi ceti popolari, Feltrinelli). Da noi com’è la situazione? Tralasciamo i dati sull’occupazione (peraltro più bassa rispetto alla media dell’Emilia Romagna) e concentriamoci sui rapporti di lavoro con riferimento al 2008. I dati mostrano (Rapporto Excelsior ), relativamente ai nuovi ingressi nel mercato del lavoro, una netta preminenza di quelli a termine, che riguardano quasi 78 mila avviamenti, ossia circa tre quarti (74,7%) del totale delle assunzioni dell’anno. Tale dato segna un netto e significativo incremento fra il 2007 e il 2008 dell’incidenza di queste forme contrattuali. I contratti di lavoro a tempo indeterminato riguardano meno del 14% del totale degli avviamenti registrati a Rimini nel 2008, mostrando un decremento del peso percentuale superiore a 2,5 punti rispetto al 2007. Se cresce molto la precarietà del lavoro come è possibile fare innovazione? Non è forse su questo duro scoglio che si infrangono le aspettative di un rilancio strategico della nostra struttura economica e sociale? E non è da qui che dovremmo iniziare una discussione su ciò che siamo e su ciò che possiamo essere tra dieci o vent’anni? Oppure pensiamo che la struttura sociale conti davvero così poco? Scandagliare il fondo del mare aiuta a capire se e come è possibile uscire dall’apnea. Pare che a porsi la domanda sia rimasto solo il Censis di De Rita…

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