La polemica sui Tremonti bond e sul presunto credit crunch ha ripreso vigore di recente. (1) Da una parte, il ministro dell’Economia accusa le banche che non utilizzano il finanziamento pubblico di andare contro l’interesse generale del paese; la Confindustria, per voce della sua presidente, continua a imputare alle banche di strozzare le imprese e sostiene che Basilea 2, il regolamento sul capitale delle banche entrato in vigore di recente, contribuisce ad aggravare la stretta sull’offerta di credito. Dall’altra, i banchieri non hanno alcuna fretta di ricorrere al sostegno pubblico e sostengono che è la domanda di credito a essere debole, non l’offerta. Chi ha ragione? Per una volta, diamo ragione alle banche, e spieghiamo perché.
OFFERTA E DOMANDA DI CREDITO
Quando si osserva una forte riduzione della dinamica del credito, e il tasso di crescita dei prestiti bancari nell’area euro è passato dall’8,5 per cento di settembre 2008 all’1,5 per cento di giugno 2009 dicono i dati Bce, occorre distinguere tra fattori di offerta e di domanda. Naturalmente non è facile, perché quello che si osserva è solo la quantità scambiata, che è il risultato dell’interazione tra domanda e offerta. Tuttavia, esistono indicatori indiretti. Attualmente, questi ci dicono che è la domanda di credito da parte delle imprese a scarseggiare, mentre i vincoli dal lato dell’offerta hanno scarso peso.Una indagine della Bce, Euro Area Bank Lending Survey di luglio 2009, sulla base di un questionario inviato a un campione di circa 120 banche europee, ci dice che la netta maggioranza degli operatori bancari segnala una riduzione della domanda di credito da parte delle imprese, soprattutto a causa del calo degli investimenti. Riconoscono che vi è stato un irrigidimento nei criteri di concessione dei prestiti (credit standards). Tuttavia, il fenomeno è già in fase di attenuazione nel secondo trimestre del 2009 rispetto alla fase più acuta della crisi; inoltre, non è dovuto a scarsità di risorse finanziarie o a vincoli patrimoniali, ma alle incerte prospettive della congiuntura economica e di alcuni settori in particolare. Sempre secondo i risultati dell’indagine, l’accesso ai mercati finanziari è migliorato nei mesi recenti. Un altro dato interessante: la maggior parte delle risposte segnala un impatto pressoché nullo di Basilea 2 sui credit standards. In parole povere: le banche hanno capitale a sufficienza e molti soldi da prestare, ma sono prudenti nel farlo perché il rischio di credito è aumentato, a causa della recessione.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
L’abbondanza di liquidità è peraltro ben nota, ed è da ricondurre alla politica monetaria fortemente espansiva attuata dalla Bce, che sta inondando le banche di prestiti a basso costo. In presenza di una domanda di credito debole, l’effetto di questa politica è quello di creare le condizioni per un finanziamento monetario dei debiti pubblici. Quanto alla situazione patrimoniale delle banche italiane, non è brillante, ma non sembra tale da vincolare significativamente la concessione di prestiti: il coefficiente medio del sistema è superiore ai minimi regolamentari (dati Banca d’Italia, fine 2008). Anche nei singoli casi in cui può rendersi necessario un rafforzamento patrimoniale, questo può avvenire ricorrendo al mercato. Il relativo costo, variabile a seconda degli strumenti emessi, difficilmente può superare quello dei Tremonti bond: questi prevedono una cedola annuale compresa tra il 7,5 e l’8,5 per cento per i primi anni, poi crescente gradualmente, mentre il costo di una recente emissione di debito subordinato da parte di una grande banca italiana si collocava poco sopra il 5 per cento. (2)In conclusione, la tesi secondo cui le banche dovrebbero ricorrere ai Tremonti bond per avere le risorse sufficienti a finanziare le imprese e allentare così la stretta sul credito è tutta da dimostrare. (3) In realtà, sulla stretta creditizia si osservano segnali contrastanti, e quelli più recenti sembrano indicare che è la domanda di credito debole, non l’offerta. Inoltre le banche non sembrano avere bisogno del sostegno pubblico per rafforzare il patrimonio. Ma allora perché insistere? Certo, finanziarsi al 4 per cento, ad esempio emettendo un Btp a dieci anni, e investire all’8,5 per cento in un Tremonti bond sembra effettivamente un buon affare: sì, ma per il Tesoro, non per gli azionisti delle banche.
(1) I Tremonti bond sono strumenti ibridi di patrimonializzazione delle banche, sottoscritti dallo Stato. In pratica, sono strumenti di finanziamento a lungo termine, che rientrano nel patrimonio della banca beneficiaria (anche ai fini della vigilanza). Se una banca ne fa richiesta al ministero dell’Economia, si avvia una complessa procedura, che coinvolge anche la Banca d’Italia. Il finanziamento è subordinato all’adozione di alcuni impegni da parte della banca, tra cui: (i) favorire il credito alle imprese, soprattutto piccole e medie, e alle famiglie; (ii) sospendere per un anno la rata del mutuo ai lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidio di disoccupazione; (iii) adottare un codice etico. Il ministero intende monitorare il rispetto di questi impegni.
(2) Si tratta di debito a lunga scadenza, il cui rimborso - in caso di fallimento dell’emittente - è subordinato al rimborso degli altri debiti della banca: depositi, obbligazioni, eccetera. Può essere incluso nel calcolo del patrimonio di vigilanza complessivo della banca emittente.
(3) Così si legge nel comunicato stampa del ministero (25/2/2009), che accompagnava il decreto relativo ai Tremonti bond: “L’obiettivo è accrescere le opportunità di finanziamento all’economia grazie alla maggiore patrimonializzazione delle banche.
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