Schiavi della comunicazione?
Dalla mattina alla sera imperversa il “dibattito”. Cosa ha detto Berlusconi, cosa ha risposto Franceschini, cosa dirà Fini. E poi ancora quale trasmissione va in onda, quale articolo tiene banco, chi c’era in quello show e chi si è visto in quel reality. Mi aspetto che si avvii una riflessione sugli effetti della crisi che non sono contingenti ma, come si sarebbe detto una volta, strutturali. Invece no, dominano le vicende delle escort, la tv di Vespa, le partite di Champions, i talk show.
Nel nostro tempo sono venuti meno i fatti. Non nel senso che intende Travaglio, ovvero non ci sono più per colpa della censura preventiva che li nasconde e basterebbe del buon giornalismo e più libertà per farli tornare. No, è che dei fatti noi non sappiamo più che farcene. I fatti non li vogliamo né vedere, né sentire. Non vogliamo più farne esperienza. Li rifuggiamo punto e basta. Siamo arrivati al punto di chiamare reality, trasmissioni costruite sull’assillante ripresa televisiva di persone che vivono recitando. Se però sull’autobus accade qualcosa, una rissa, un furto o due che si baciano, guardiamo dall’altra parte perché la realtà fa paura e non sappiamo come affrontarla.
Ogni schermo (tv, videotelefonino, monitor pc, ecc.) ci attrae perché rinvia alla finzione o ad una visione mediata dei fatti. Siamo nella caverna di Platone, ma nessuno ci tiene in catene, le catene le mettiamo noi stessi. Quello che non capisco è come si possa dire che una volta c’erano le ideologie che ci impedivano di cogliere la realtà delle cose, mentre oggi saremmo finalmente liberi. Mi pare invece che mai siamo stati così dentro un’ideologia dominate come quella che ora pervade l’Italia e non solo. Siamo dentro un’enorme fiction in cui tutti siamo spettatori.
Ciò accade nell’epoca della comunicazione di massa che avrebbe dovuto renderci più liberi con la proliferazione delle tv, con i telefonini che catturano le immagini, con le radio che possono trasmettere da qualsiasi posto e dovunque. Invece le immagini che vediamo sono sempre le stesse. Neppure sul web, che ha enormi potenzialità, c’è qualcosa di differente. Dell’Afghanistan, delle guerre in corso, o dei disastri ecologici sappiamo davvero qualcosa? Nessuno può vedere come si vive in posti che, a dispetto della tecnica, sono lontani come un secolo fa. Non ce le fanno vedere queste immagini o siamo noi che non vogliamo vederle? Quanti di noi “vedono” i poveri di Rimini, i disoccupati, i senza casa, i malati?
Noi rimuoviamo tutto, convinti che a noi non succederà mai niente di male. Lo Stato ci protegge e la scienza ci aiuterà a risolvere tutti i problemi. E’ questa l’ideologia dominante: gossip quotidiano e incrollabile fede nelle “magnifiche sorti e progressive”.
La comunicazione è salvifica. Non è né vera, né falsa. Né buona né cattiva. Semplicemente indifferente. Passa alla velocità della luce. Muore nell’istante in cui nasce. E’ l’attimo che non lascia traccia. Siamo immersi in un eterno presente che non ha storia e non ha futuro, in cui tutte le cose hanno lo stesso peso e lo stesso valore. Sono solo messaggi, immagini, informazioni che immediatamente fruite perdono ogni interesse.
Finisce per esistere solo ciò che la comunicazione veicola, tutto il resto è finzione. Il fatto si dissolve in notizia, l’evento diventa un simulacro al di là del vero e del falso, l’azione si liquefà in comunicazione. In questo mondo il presidente del consiglio non può che essere Silvio Berlusconi.
Dalla mattina alla sera imperversa il “dibattito”. Cosa ha detto Berlusconi, cosa ha risposto Franceschini, cosa dirà Fini. E poi ancora quale trasmissione va in onda, quale articolo tiene banco, chi c’era in quello show e chi si è visto in quel reality. Mi aspetto che si avvii una riflessione sugli effetti della crisi che non sono contingenti ma, come si sarebbe detto una volta, strutturali. Invece no, dominano le vicende delle escort, la tv di Vespa, le partite di Champions, i talk show.
Nel nostro tempo sono venuti meno i fatti. Non nel senso che intende Travaglio, ovvero non ci sono più per colpa della censura preventiva che li nasconde e basterebbe del buon giornalismo e più libertà per farli tornare. No, è che dei fatti noi non sappiamo più che farcene. I fatti non li vogliamo né vedere, né sentire. Non vogliamo più farne esperienza. Li rifuggiamo punto e basta. Siamo arrivati al punto di chiamare reality, trasmissioni costruite sull’assillante ripresa televisiva di persone che vivono recitando. Se però sull’autobus accade qualcosa, una rissa, un furto o due che si baciano, guardiamo dall’altra parte perché la realtà fa paura e non sappiamo come affrontarla.
Ogni schermo (tv, videotelefonino, monitor pc, ecc.) ci attrae perché rinvia alla finzione o ad una visione mediata dei fatti. Siamo nella caverna di Platone, ma nessuno ci tiene in catene, le catene le mettiamo noi stessi. Quello che non capisco è come si possa dire che una volta c’erano le ideologie che ci impedivano di cogliere la realtà delle cose, mentre oggi saremmo finalmente liberi. Mi pare invece che mai siamo stati così dentro un’ideologia dominate come quella che ora pervade l’Italia e non solo. Siamo dentro un’enorme fiction in cui tutti siamo spettatori.
Ciò accade nell’epoca della comunicazione di massa che avrebbe dovuto renderci più liberi con la proliferazione delle tv, con i telefonini che catturano le immagini, con le radio che possono trasmettere da qualsiasi posto e dovunque. Invece le immagini che vediamo sono sempre le stesse. Neppure sul web, che ha enormi potenzialità, c’è qualcosa di differente. Dell’Afghanistan, delle guerre in corso, o dei disastri ecologici sappiamo davvero qualcosa? Nessuno può vedere come si vive in posti che, a dispetto della tecnica, sono lontani come un secolo fa. Non ce le fanno vedere queste immagini o siamo noi che non vogliamo vederle? Quanti di noi “vedono” i poveri di Rimini, i disoccupati, i senza casa, i malati?
Noi rimuoviamo tutto, convinti che a noi non succederà mai niente di male. Lo Stato ci protegge e la scienza ci aiuterà a risolvere tutti i problemi. E’ questa l’ideologia dominante: gossip quotidiano e incrollabile fede nelle “magnifiche sorti e progressive”.
La comunicazione è salvifica. Non è né vera, né falsa. Né buona né cattiva. Semplicemente indifferente. Passa alla velocità della luce. Muore nell’istante in cui nasce. E’ l’attimo che non lascia traccia. Siamo immersi in un eterno presente che non ha storia e non ha futuro, in cui tutte le cose hanno lo stesso peso e lo stesso valore. Sono solo messaggi, immagini, informazioni che immediatamente fruite perdono ogni interesse.
Finisce per esistere solo ciò che la comunicazione veicola, tutto il resto è finzione. Il fatto si dissolve in notizia, l’evento diventa un simulacro al di là del vero e del falso, l’azione si liquefà in comunicazione. In questo mondo il presidente del consiglio non può che essere Silvio Berlusconi.
Alberto Rossini
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