mercoledì 30 settembre 2009

La nouvelle vague del Pd riminese


Questa tornata di congressi (o convenzioni...) merita davvero che ci si soffermi sui dati che hanno fatto emergere.

L'aspetto certamente più importante è un'affluenza di tutto rispetto anche a Rimini ai seggi organizzati dai vari circoli (oltre 2000 presenze), a testimonianza di un'attenzione attorno a questo congresso che va ben oltre l'opprtunistico silenzio televisivo con cui tutte (o quasi) le reti nazionali hanno, o meglio non hanno, trattato il congresso dell'unico partito italiano che decide di sè stesso tramite un congresso.

Siamo diversi (e spesso migliori) da tutte le altre forze politiche anche per motivi come questo.

Certamente un altro dato da ascrivere a un percorso di maturità politica intrapreso dal PD sta nell'aver visto, tra le due mozioni maggioritarie sfumare finalmente (almeno in parte, ma è gia' un inizio...) quella contrapposizione ex-DS con Bersani e ex-Margherita con Franceschini. Sia a livello nazionale che a livello locale diversi esponenti provenienti da un campo si sono schierati in quello opposto (anche se non sempre per motivi cristallini). Sia a livello nazionale che locale.

Direi piuttosto che queste due mozioni abbiano pagato, rispettivamente, un altro scotto.
Parlando di Rimini, la mozione Franceschini ha probabilmente contato troppo sul "bacino d'utenza" dell'area ex-margherita (n.d.r chi scrive ha aderito a questa mozione e per essa è delegato provinciale, ovviamente per questo circolo). Tra ex sindaci e ex onorevoli e un coordinamento sicuramente capace, la mozione Franceschini riminese puntava sicuramente a strappare qualcosa di più (ben al di sotto del 30%). La percezione della mozione sul territorio è stata, per molti versi, quella della "mozione dei dinosauri", che nonostante la statura, anche storica, dei suoi rappresentanti e i temi a sostegno (a partire dalla struttura aperta del partito fino alla sua vocazione maggioritaria) ha pagato la lontananza di molti suoi aderenti dalla politica sul territorio, come se si percepisse che si aderiva alla mozione non per i suoi temi, ma per un senso di appartenenza, una sorta di "deriva correntizia". Il tutto senza poter quasi contare sull'appoggio della potenza di fuoco di amministratori in carica.

Evidentmente (lo dicono i numeri) tale approccio ha mostrato il suo limite.

Da notare come invece laddove c'è stato il cosiddetto voto disgiunto (tra voto nazionale voto regionale) questo è stato il più delle volte a farvore di Mariangela Bastico.


Sulla potenza di fuoco degli amministratori in carica ha invece potuto contare (e a piene mani) la mozione Bersani. La sua affermazione non è mai stata in discussione. Se mai sono le proporzioni dell'affermazione a confermare come, nonostante quasi tutti i pezzi da 90 del partito fossero in campo in prima persona (da cui la ormai stra-abusata definizione di "mozione degli assessori", valida un po' per tutta la regione, s'intende), il consenso sia stato tutt'altro che bulgaro.

Per tanti versi valgono, anche per la mozione Bersani, le medesime considerazione fatte sulle adesione alla mozione Franceschini. Ovviamente a parti inverse. Cioe' si contava sul "bacino d'utenza" complementare, ovvero quello ex-DS. Bacino evidentemente piu' ampio di quello ex-Margherita.

Ma anche in questo caso il conto non torna. Certamente la mozione-Bersani ha vissuto soprattuto di rendita: da un lato, grazie a un radicamento ancora maggioritario (anche se sempre piu' residuale) e dall'altro grazie all'artiglieria mediatica (chiariamo: perfettamente legittima) dei suoi esponenti, che poi sono la quasi totalita' delle cariche istituzionali della citta' e della provincia.

Insomma, le prerogative per un trionfo senza prigionieri c'erano tutte. Ma e' un trionfo zoppo.

La percezione di quella "deriva correntizia" di cui dicevo sopra, ha spinto un numero imprevisto di iscritti a mettere in discussione, anche per i bersaniani, la mozione e i suoi argomenti.

Evidentmente (e anche in questo caso lo dicono i numeri), tale approccio ha mostrato il suo limite.
La vera novita' (e parlo di novita' riminese) e' l'affermazione della mozione Marino.
Un 12% che e' stato preso senza avere, appunto, "bacini d'utenza", senza contare su padri e padrini, ma solo su argomenti e capacita' mobilitatrice. Nonostante io non vi abbia aderito, ho visto da vicino come, finalmente, soggetti nuovi hanno (seppur timidamente) debuttato sul palcoscenico politico.

Un esempio? I giovani.

Finalmente qualche ragazzo e qualche ragazza ha sentito di potersi spendere per il PD. Iniziative sul territorio, uso del web (questo blog ha visto esplodere il numero dei suoi contatti!) , argomenti e passione. Questi gli elementi che hanno prodotto il successo della mozione Marino, che pure non e' certamente priva di difetti, soprattutto in quanto eventuale forza di governo del PD e di sintesi tra le varie anime del PD.

Tale successo e' anche il successo di un metodo. Ovvero dei circoli. Cioe' di quel metodo che sulla carta doveva essere la spina dorsale del PD e che in troppi casi ha stentato.

Il 12% di Marino e' l'urlo nel silenzio. E' l' "eppur si muove" di galileiana memoria. E' finalmente il segnale di un disagio politico che non si manifesta con l'anti-politica o che alimenta derive qualunquiste, ma che vuole incidere nella vita politica della nostra citta' attraverso il PD.

Se i riflessi di questo successo arriveranno dove meritano, allora si potra' invertire la tendenza di una politica sempre piu' in crisi e di partiti che davanti a questa crisi sono sempre piu' impotenti.
Gli organi cittadini e provinciali che il PD si accinge a eleggere nei prossimi mesi ne sarnno la cartina di tornasole.

Le forze sane e capaci sono ovviamente presenti in tutte le mozioni (ci mancherebbe...) e la capacita' di sintesi dei vari esponenti dovra' essere in grado, democraticamente, di esprimere oltre che le persone, un metodo e non delle correnti.

Un metodo che, grazie anche a questo congresso, oggi conosciamo.


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