martedì 24 febbraio 2009

LA CRISI ECONOMICA E IL PTCP














La crisi cambia gli scenari
La crisi economica e finanziaria che prepotentemente si è imposta sulla scena del mondo globale, come oggi lo conosciamo, ha spazzato via molte certezze, molti luoghi comuni in cui per conformismo o per convinzione ci eravamo rifugiati. Siamo tutti costretti a ripensare al futuro. Dobbiamo avere nuove categorie, nuovi strumenti, con cui guardare il mondo. Non possiamo pensare che usciremo dalla crisi esattamente come vi siamo entrati. Molto cambierà. Non è scritto da nessuna parte che cambi in meglio. Le crisi sono delle opportunità, certo. I rapporti di forza, però, possono mutare. Muteranno tra gli Stati e al loro interno tra le classi e le forze sociali. Qualcuno ne uscirà più forte, qualcuno più debole. Lo scontro è già in atto ed i diversi e contrapposti soggetti sociali, politici ed economici lo stanno affrontando, nonostante che il senso stesso dello scontro il più delle volte venga occultato. Quasi che accecati dalla società dello spettacolo non fossimo più in grado di vedere la violenza che fonda i rapporti sociali.

Il PTCP: vincoli ed opportunità
In questo contesto noi, come territorio, come comunità, come stiamo? E cosa possiamo aspettarci? Per rispondere occorre partire dalle strategie per il futuro. Il disegno che ci può guidare è contenuto nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale recentemente approvato. Non a caso, viste le ragioni di fondo della crisi, il punto di partenza del Piano è la consapevolezza del raggiungimento dei limiti. Le risorse naturali, aria, acqua, terra, non sono infinite. Non possono essere usate per sempre con consumi perennemente in aumento.
L’utilizzo pro capite di acqua è di 317 litri, la previsione al 2024 lo stima a 412; la produzione totale di rifiuti in provincia è di 242.000 tonnellate, ipotizzate in 460.000 tra 25 anni. Il settore delle costruzioni è aumentato nel periodo 1991/2001 del 60%, mentre l’agricoltura è diminuita del 20%.
Il tasso di crescita tra il ’71 ed il 2001 è stato del 17%, il più alto di tutta la Regione, Reggio Emilia che è seconda è al 13,5%. Se proseguisse il trend attuale di crescita demografica, che vede un aumento della popolazione di quasi 4.000 persone ogni anno, tra venti anni avremmo l’equivalente due nuove città come Riccione. Sono sufficienti questi pochi dati a capire che non possiamo continuare così.
Ecco perché il PTCP dice basta al consumo di territorio, pone dei freni ad ogni nuova edificazione. Assume come confine invalicabile le previsioni di espansione contenute nei Piani Regolatori vigenti. Occorre puntare su una “città compatta” nella fascia della costa, da Bellaria fino a Cattolica, riutilizzando i contenitori esistenti, magari crescendo in altezza.
Non deve essere compromesso il territorio verso l’entroterra, nelle colline e ai margini dei fiumi. Nel PTCP è forte la tutela degli aspetti naturalistici, del paesaggio, dei fiumi, della sicurezza idrogeologica, della gestione della costa e della difesa del mare.
Nelle aree rurali è favorita l’agricoltura ed i servizi complementari (agriturismi, fattorie didattiche, prodotti di filiera) come forma di presidio attivo del territorio. Vi sono, invece, regole precise per sfavorire gli insediamenti residenziali.
Insomma non si deve più ripetere quello che fino ad ora è avvenuto: il proliferare di edificazione sparsa. Quanto è accaduto rappresenta la negazione della capacità di programmare.
Il risultato è avere residenze che non hanno servizi: dal trasporto pubblico, alle scuole, ai servizi per il tempo libero. Non si tratta di condannare una fase del nostro passato, ma di assumere la consapevolezza che quel modo di fare non è più possibile.
Da qui occorre ripartire, dobbiamo ricercare una migliore qualità urbana. Ogni nuova realizzazione di aree residenziali deve prevedere una dotazione di servizi minimi ineliminabili. L’incremento costante del pendolarismo nasce dal fatto che i servizi alle persone sono spesso lontani dall’abitazione. Un discorso diverso va fatto per le funzioni più avanzate che debbono essere pianificate per poli funzionali omogenei evitando sprechi e diseconomie.
Il principio ispiratore del ragionamento che vale per la qualità della vita dei cittadini, vale anche per il mondo economico e per le imprese.

PTCP ed imprese: l’importanza del capitale sociale
Nel mondo imprenditoriale l’epoca della crescita più o meno selvaggia è finita. L’idea del singolo capannone costruito lungo la strada per sviluppare più facilmente la propria attività è perdente. Non è di questa libertà che ha bisogno l’impresa. Il modello del lasciar fare, non tiene più. Lo dimostra la crisi di quelle aree, come il Veneto, dove si era pensato che non porre limiti urbanistici agli imprenditori avrebbe creato vantaggi. Dove in passato a tutti è stato concesso di tirare su il proprio capannone oggi c’è il massimo della delocalizzazione.
Gli imprenditori dell’area del nord est sono stati i primi ad andare in Polonia in Romania e poi in Cina. Chi ha puntato tutto sul prezzo ha dovuto inseguire la manodopera a basso costo. Nelle regioni in cui si è investito sui servizi questo fenomeno, non c’è stato o c’è stato in misura ridotta. La scelta dei poli produttivi di rilievo sovracomunale presente nel PTCP va in questa direzione. Realizzare aree di un certo rilievo in cui sia molto alta la dotazione di servizi: dall’energia prodotta con fonti rinnovabili alle mense; dal trasporto pubblico al riciclo dei rifiuti, fino all’attenzione per la qualità dell’aria.
Ciò obbliga a pianificare e nel breve comporta costi maggiori, ma consente di sviluppare politiche e strategie di servizi comuni e quindi rende più competitive le imprese e forse ne attrae anche da altre province e regioni. E’ necessario essere consapevoli che ormai la competizione non avviene più solo tra imprese ma si concorre a livello di distretti e ciò che conta è l’organizzazione, è l’esistenza di un tessuto sociale coeso, capace di affrontare le sfide proprio in virtù del proprio “capitale sociale”, di quel tesoro che è rappresentato dai valori intorno ai quali, per cultura e per tradizione una comunità è capace di ritrovarsi.
A Rimini questa dote esiste. Il Censis ci individua quale uno dei luoghi di eccellenza nazionale. Recentemente è stato pubblicato uno studio di Roberto Cartocci sul capitale sociale, inteso come il “tesoro nascosto”, in cui emerge la relazione che lega i cittadini ad una comunità. Tra le 103 province italiane siamo tra le prime realtà del paese, con cifre e percentuali che vedono la nostra provincia ottenere risultati migliori di città come Milano e Roma, o di molte altre province del Veneto o della Lombardia. Questa buona posizione è comune, peraltro, a tutte le province dell’Emilia Romagna a dimostrazione di una strategia e di un’ idea del territorio che è propria della nostra Regione.
L’obiettivo complessivo del PTCP è la sostenibilità ambientale che si deve conciliare con la sostenibilità economica e sociale. I presupposti esistono e nel Piano ci sono direttive, norme e prescrizioni per provare, molto seriamente, a stare sulla strada giusta, coerentemente con uno sviluppo che non può e non deve essere solo di tipo quantitativo. Tutto ciò vuol dire che non corriamo dei rischi, Che possiamo stare tranquilli?
Certamente no. Il PTCP è un piano che per funzionare, per dispiegare le proprie potenzialità, deve essere attuato. Abbiamo la fortuna, se così si può dire, di poter affrontare questa crisi, avendo già ragionato dell’idea del futuro, di come vogliamo stare all’interno di un mondo e di un mercato globale che non può prescindere dal locale, dalla forza e dalle peculiarità dei territori.
Sarebbe grave non dare corso al Piano: pensare che la crisi sia meglio affrontarla riducendo gli investimenti per i servizi, dando più libertà di azione alle singole imprese, giocando tutte le carte sui prezzi bassi nel turismo come nell’industria. Assecondando un’idea di società in cui la coesione e l’integrazione non siano comportamenti da seguire ed incoraggiare. Le recenti scelte governative in materia di politiche dell’immigrazione, di sicurezza e convivenza sociale la dicono lunga sui pericoli che stiamo correndo.

Quale futuro per la città?
Per stare nei confini di casa nostra, è chiaro che le scelte concrete dei prossimi mesi ci diranno se abbiamo la forza di tenere salda la rotta tracciata dal PTCP. Riccione e Cattolica hanno tradotto le indicazioni del PTCP nei Piani Strutturali Comunali (previsti dalla Legge Regionale 20 del 2000) altri come Verucchio, Santarcangelo, San Giovanni in Marignano, Bellaria Igea Marina lo stanno facendo. Da come lo faranno ed in quanto tempo, si capirà che cosa saranno le nostre città e come saremo noi stessi. Rimini sta avviando solo ora l’iter per arrivare al proprio PSC, deve recuperare il tempo perduto.
Secondo me le città devono avere una propria armonia, devono possedere un fascino, devono saper sedurre. Devono essere belle, pensando alla bellezza “come un solido fondamento oggettivo e non soggettiva adesione estetica” (Cacciari).
Dobbiamo trovare la via d’uscita da uno scontro che contrappone la rendita, sotto varie forme, alla ricchezza sociale. E’ questo conflitto irrisolto che negli ultimi anni ha bloccato in tutta Italia ogni accenno di mobilità sociale, di sperimentazione di nuove forme del vivere sociale, di innovazione nella produzione e di ricerca nella scuola e nei luoghi del sapere. E’ la causa del nostro essere fermi. Le città, anche le nostre, vivono questa crisi. Dobbiamo uscirne. Come farlo è il compito vero e più alto della politica a livello nazionale e locale.
Concludo: suggerisce Joseph Rykwert che il “successo delle città non può essere misurato in termini di crescita finanziaria o in base alle fette di mercato che può essere riuscita a conquistare, ma dipende dalla forza intrinseca del suo tessuto e dall’accessibilità di questo tessuto per le forze sociali che plasmano la vita dei suoi abitanti”.
Ce la faremo a valorizzare il territorio e le persone che lo vivono senza comprometterlo ulteriormente, né dal punto di vista fisico né da quello delle relazioni sociali?


Alberto Rossini

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