venerdì 10 luglio 2009

La scelta



Come altri membri circolo PD di San Giuliano voglio contribuire al dibattito congressuale. Ovviamente lo faccio a titolo personale.
La natura del PD non può non essere quella di darsi il fine ultimo della governabilità e di darselo in quanto partito guida di uno schieramento, spingendosi fino al limite del bipartitismo. Un partito che non ambisca a ciò non è il mio partito.
Il risvolto politico di quanto sopra, che vorrei fosse una convinzione condivisa da tutto il partito, porta con sé la necessità di un allargamento delle base del partito, di una penetrazione nella società che non lasci il campo ai sacerdoti del “partito liquido”, di un partito leaderistico o meramente mediatico. Leader e rapporti mediatici dovranno essere funzionali all’obiettivo, non viceversa.

Questo, e pochi altri, sono temi da congresso. Chi continua a brandire la “necessità di argomentare piuttosto che discutere di leader” finge di non capire come la prossima segreteria avrà un compito molto gravoso se vuole percorrere la strada della crescita politica ed elettorale del PD.
Il tema della natura del partito che vogliamo è IL tema.

Porsi l’obiettivo di intercettare interi segmenti della società che, volontariamente o gioco forza, sono esclusi dall’elettorato del PD dovrà essere la stella polare della nuova segreteria. I tanti (troppi) elettori che a giugno hanno votato PD turandosi il naso non dovranno avere la sensazione che ancora una volta hanno sprecato il loro voto. L’astensionismo di sinistra (e stiamo parlando di un buon 10%) è una dannazione che non è inattaccabile, non è un problema irrisolvibile, non è una contingenza storica, è un problema che tutti i partiti popolari e socialisti (le ultime europee hanno evidenziato questo dato in tutta Europa) dovranno affrontare.

Il leader che andiamo a eleggere dovrà incarnare questo tema.
Inutile pensare che un volto noto, connotato come “uno dei soliti”, possa anche essere identificato come l’uomo nuovo, come l’uomo della svolta, del partito che vuole crescere in politica e in consensi. L’ineludibile fattore mediatico, la necessità di una riconoscibilità popolare non è prescindibile.
Debora Serracchiani è stato uno pochissimi dati positivi delle ultime elezioni europee. Lo è stata per il modo in cui la sua notorietà è esplosa (al di fuori dei circuiti televisivi, o almeno solo in un secondo tempo), per le sue argomentazioni (che gran parte degli elettori condividono e che il successo alle elezioni europee hanno clamorosamente confermato) e per il fatto che, almeno sulla scena nazionale, è nuova. E ricordiamocelo bene tutti, la sua credibilità risiede prima di tutto in questo sua essere, a torto o a ragione, nuova.
Che è come dire che tutti i soliti noti, dai candidati Bersani e Franceschini, da D’Alema a Fassino, da Rutelli a Rosy Bindi fino a Veltroni, proprio per essere il gruppo dirigente che ha portato il PD a essere un partito che ha tirato un sospiro di sollievo per aver perso “solo” il 10% (più o meno), non sono credibili. (Questi sono giudizi politici, non tecnici. Che Bersani sia stato il miglior ministro dell’ultimo governo Prodi o che Rosy Bindi sia stata la migliore ministro della sanità della storia della Repubblica poco importa).
L’ulteriore aggravante alla eventuale scalata alla segreteria di uno qualsiasi dei suddetti sta nel dito puntato verso il gruppo dirigente del PD dai tanti elettori che lo accusano senza sconti di autoreferenzialità, di essere sempre più corresponsabili del solco che si sta allargando giorno dopo giorno tra governo e cittadini, tra amministratori e amministrati. In particolare va detto che la mozione sviluppata attorno a Bersani (candidato conto-terzi, per D’Alema) sta raccogliendo consensi bulgari tra le fila degli amministratori locali, in particolare in Emilia Romagna (con Rimini in prima fila). Che si tratti di scelte di campo tutt’altro che politiche, ma che siano semplicemente opportunistiche scelte a tutela della propria (piccola, spesso piccolissima) carriera è qualcosa di più di un sospetto.
L’unico volto in grado di incarnare quello “spirito delle primarie” dei tempi della fondazione del PD è Debora Serracchiani. E di questi ne sono ben più che coscienti tutti quei grigi politici ( o sedicenti tali, và…) del sottobosco PD che da anni (da quando erano DS o Margherita), senza merito alcuno, ma solo per fedeltà al piccolo leader di corrente, pretenderebbero un posticino al sole e si vedono invece improvvisamente sorpassare dalla ventata di freschezza di Debora Serracchiani.

Come vedete, le mie considerazioni sono tutt’altro che leaderistiche, nonostante si stia ragionando su quale mozione appoggiare in termini di congresso nazionale. Il punto resta il tentativo di far sì che nuovi strati di popolazioni identifichino il PD come qualcosa di vicino, qualcosa in cui poter sperare con un certo entusiasmo. Dovrà quindi essere percepito necessariamente come nuovo.

Appoggerò quindi la mozione di Dario Franceschini nella concreta speranza che il suo sodalizio politico con Debora Serracchiani sia fautore di un processo politico che si porrà il traguardo di un partito che vuole crescere sul territorio e non solo nelle giunte, che voglia radicarsi e voglia dare spazio a quei talenti che, come Debora, non si sono appiattiti in coda alla claque di una corrente o dell’altra, ma l’hanno sfidata.

Infine due parole su Ignazio Marino e i piombini. La loro è la vera novità di questo congresso e spero che in quanto tale sappia ritagliarsi uno spazio importante, ciononostante vedo nella scarsa notorietà di Marino il limite alle possibilità di allargare il campo di gioco, di far sì che in tanti si identifichino con lui. Non so quanti e quali strati, soprattutto popolari, potrà intercettare Marino, anche se le argomentazioni e le persone che ha saputo aggregare attorno a sé sono di davvero di grande qualità.
Un progetto di radicamento sul territorio difficilmente si innescherà senza quella consacrazione, anche mediatica, che, in modo del tutto inatteso, ha portato sulla ribalta nazionale Debora Serracchiani, unico motivo della mia adesione alla mozione di Dario Franceschini.
Rossano Lambertini

8 commenti:

  1. Caro Rossano è curioso come partendo da analoghe premesse si sia giunti a conclusioni diverse.
    Se non ho male interpretato le tue parole riconosci nell’opportunità di governare lo scopo precipuo del PD e nell’allargamento della base (concetto nel quale inglobi tanto il recupero delle disaffezioni quanto la conquista di zone dell’astensionismo ancora inesplorate) il mezzo più adatto a tale scopo.
    Inutile dire che approvo senza alcun indugio queste finalità generiche e che troverei discutibile la posizione di chi non le condividesse.
    Consentimi però di mettere l’accento su alcune questioni che, dal mio punto di vista, non possono non essere poste allorché ci si accinga a definire l’elenco delle priorità.
    Dire che il fine ultimo è quello della “governabilità” o meglio (se ben intendo) della possibilità di andare al governo non deve implicare che tutto sia sacrificabile a tale scopo e che, purché si governi, “anything goes” (come direbbe l’anarchico epistemologico Paul Feyerabend).
    Poiché ogni partito in parlamento vorrebbe andare o permanere al governo, salvo casi di schizofrenia politica, il fine ultimo non può essere semplicemente l’“andare al governo” ma farlo in un certo modo piuttosto che in un certo altro. Ed è su questa differenza di “stile” e di “contenuti” che mi sembra tutto quanto debba ruotare.
    Ho l’ardire di supporre che il PD di Bersani, quello di Franceschini e quello di Marino “vogliano” andare al governo con eguale determinazione ma questa volontà presa per se stessa non mi aiuta affatto a decidere per un candidato o per l’altro. Quel che mi preme sapere e che ritengo decisivo è cosa intendono fare i tre candidati per perseguire il loro obiettivo e cosa farebbero una volta raggiuntolo.
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  2. Non escludo che le tue fossero considerazioni probabilistiche (in fondo sei un uomo di scienza) e forse il candidato Franceschini ti sembra quello che più degli altri può creare consenso trasversale sotto di sé (anche in virtù della carta Serracchiani) e quindi, nel medio o lungo periodo, riportare il partito al governo.
    Ma anche in questo caso la domanda che si offre è la stessa: di quale governo stiamo parlando e di quale partito? Come possiamo prescindere da questo punto proprio in una fase così critica?
    Votare Franceschini perché rappresenta il polo d’aggregazione più promettente (cosa per altro tutta da dimostrare) rischia di costringerci al circolo vizioso di perpetrare lo status quo perché è lo status quo.
    Favorire un candidato per il solo fatto che si ritiene abbia maggiori probabilità di raccogliere grandi fette d’elettori significa di fatto votarlo a scatola chiusa.
    Possiamo in un momento decisivo come questo permetterci un atto di fede così acritico?
    Noi dobbiamo sapere per cosa votiamo e gran parte delle recenti disaffezioni del PD sono legate al fatto che il progetto del partito democratico e della società che esso vuole promuovere sono tutt’altro che chiari.
    Abbiamo visto in più occorrenze che il voto opportuno e il voto “utile” non ci portano da nessuna parte laddove non si chiarisca preliminarmente e fino in fondo il senso della presunta utilità: utile a chi? utile per che cosa?
    Scrivi che l’exploit mediatico della Serracchiani costituisce l’”unico motivo della” tua “adesione alla mozione di Dario Franceschini”.
    Non è un po’ poco?
    Qui, Rossano, faccio veramente fatica a seguirti; peraltro ho come il sospetto (ma la mia è niente più di un’intuizione, assai suscettibile d’errore) che proprio l’outing di Debora ne comprometta (in parte) la popolarità e l’”effetto”.
    La repentina ascesa della Serracchiani (lodevole innanzitutto per aver detto le cose giuste al momento giusto davanti alla giusta platea) è legata al fatto che molti di quei soggetti che faticano ad accettare l’attuale assetto del partito si sono riconosciuti in lei, nelle sue considerazioni, nella sua freschezza (come dici) e in quella sua rabbiosa insoddisfazione che è anche la nostra e quella di molti esuli. Debora ha incarnato lo sconforto e la voglia di nuovo che aleggiano in ampie zone della costellazione democratica.
    Pensi che la sua popolarità sia rimasta inalterata dopo l’outing?
    Ritieni che gli scontenti del PD continuino a riconoscersi incondizionatamente in lei anche dopo la sua adesione incondizionata (e per ora poco motivata) alla mozione di Franceschini?
    Non è invece verosimile che molti siano i delusi e che la scelta (sia chiaro, assolutamente legittima) di Debora Serracchiani implichi un ridimensionamento del suo appeal e una perdita di quel potere d’aggregazione che ha dimostrato di possedere alle ultime elezioni?
    In più occasioni ho scritto che un conto è votare Franceschini appoggiato da Debora e tutt’altro è votare Debora direttamente (appoggiata da Franceschini o da chicchessia): un ripiego difficilmente assimilabile nel primo caso, una novità rivoluzionaria nel secondo.
    Gli scontenti sono stufi di buttar giù bocconi indigesti e tu stesso sottolinei come “l’uomo della svolta” non possa per intrinseca natura essere “uno dei soliti”.
    Franceschini è agli occhi di molti “uno dei soliti”, con o senza Debora Serracchiani.
    Come potrà questo volto noto ricucire le ferite, recuperare i dispersi e convincere gli scettici? Basterà l’ombra della Serracchiani a camuffarlo da “novità”?
    [continua...]

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  3. Ora, Rossano, non vorrei darti un’impressione sbagliata: io stesso sono attraversato da mille dubbi e incertezze sulle candidature e su cosa sia più opportuno fare. Ma questo deve rappresentare un buon motivo per approfondire “stili” e “contenuti” senza lasciarsi andare a conclusioni affrettate o facili soluzioni. Se davvero crediamo nella possibilità del rinnovamento non possiamo legare le nostre scelte a mere (e pur sempre presunte) considerazioni quantitative... (anche perché in tal caso forse la mozione da votare dovrebbe essere quella di Bersani). Ma noi non possiamo accontentarci di questo. Qui c’è da riedificare un partito su più solide basi e le motivazioni di una scelta (per risultare poi fondanti) dovranno essere motivazioni forti. Dobbiamo entrare nel dettaglio, analizzare le posizioni dei diversi candidati sui vari temi, confrontarle e capire quale delle tre proposte rappresenti la base più solida di contenuti condivisi e contestualmente il miglio progetto di società.
    questo almeno è il mio punto di vista.
    ciao
    filo

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  4. Con l’intento di capire meglio le posizioni in campo, ieri sera sono stato a marina di Ravenna per sentire Ignazio Marino e sono rimasto profondamente colpito.
    Intanto dallo stile. Quello di Marino è uno stile asciutto, rigoroso, analitico, scientifico e nondimeno infarcito di un profondissimo senso di umanità (forse mutuato dalla sua professione di chirurgo).
    Marino ha chiarito che la laicità non rappresenta lo scopo della sua azione politica bensì il metodo di lavoro. La laicità non è tema di dibattito politico come potrebbe esserlo l’innalzamento dell’età pensionabile o il precariato, è invece il terreno che rende possibile qualunque dibattito politico, il campo semantico della discussione.
    L’accusa di eccessivo laicismo diventa quindi o tautologica o vuota; sarebbe come imputare a qualcuno di essere troppo ligio alle regole. Cosa significa essere troppo rispettoso delle regole?
    Tutto questo detto da un cattolico.
    Di grandissimo interesse (ed molto coinvolgenti) ho trovato le considerazioni che Marino ha proposto sulla “meritocrazia” in politica e nella società. Dalle sue parole emergeva un “modello” di società nuovo e per certi versi rivoluzionario (non perché inedito in genere, ma perché del tutto assente nel nostro paese). Se c’è una cosa di cui il Partito Democratico ha bisogno è proprio l’immagine di un mondo possibile e considerazioni generiche sulle politiche energetiche o del lavoro non costituiscono un modello sufficientemente organico ed efficace.
    ciao
    filippo

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  5. Filippo, le tue argomentazioni, come sempre, sono pungenti e appropriate. Il mio voto per Franceschini è la voglia di vedere finalmente un ceto popolare rispecchiarsi nel PD.
    Se nel mio piccolo circolo di amicizie faccio un brevev e inaffidabile sondaggio, vedo che l'elettore medio del PD conosce sì franceschini e bersani ( e li connota entrambi come "i soliti"), ma non sa (proprio non sa...) chi sia Ignazio Marino. E' invece vero che più di qualcuno conosce Debora Serracchiani e la connota "nuova". Nel bene e nel male. Probabilmente il suo essersi schierara con franceschini ha indebolito la sua carica eversiva nel Pd. Ma lei resta l'unica praticabile via che, sempre il fantomatico elettore medio, può percepire come nuovo e dico questo perchè, l'ho già ripetuto fino alla noia, se non si arriva a connotare come "nuovo" questo PD la prossima volta saremo soddisfattissimi di aver perso "solo" un altro 5% e via così.

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  6. Ma stiamo comunque parlando di un congresso. Ovvero voti, da raccogliere tra chi vota. Il nostro sforzo (tuo e mio) è traguradato a mettere in minoranza (almeno al primo turno) il mainstream di Bersani. Su questa siamo daccordo, suppongo.
    Per fare ciò sarà indispensabile che Franceschini + Marino facciano almeno il 51%, ragionevolmente mi pare difficile che MArino possa arrivare oltre un 10%. Il resto è sulle spalle di franceschini che, in termini di "bacino di utenza" dovrà ottenere un buon 40%. Diciamo che teodem, ex margherita e seconde linee sia l'acqua in cui nuota la mozione di franceschini. Bene, a me pare poco per arrivare a quel 40%. La chiave di volta, mi pare evidente, sta nella serracchiani e nella sua capacità di convogliare una parte di quei "votanti" che, magari avulsi dal web, e volendo "qualcosa di nuovo" possono trovarlo solo lei. Infatti non credo che i voti che porterà debora li "ruberà" a Marino(giustamente notavi il ridimensionamento della carica eversiva), ma il mix tra la sua indiscutibile novità e la notorietà clamorosamente confermata alle europee siano il punto della questione.
    E poi? E poi spero che ad un ballottaggio si palesi come quasi inevitabile una confluenza tra franceschini e marino (ovviamente via serracchiani-civati).
    Non voglio neanche pensare che la montagna partorisca il topolino, cioè una confluenza tra poteri forti, bersani-franceschini a chiudere le danze. Sarebbe roba da stracciare la tessera.
    So di essere stigmatizzato spesso per quello che richiama alla pragmaticità, ma un congresso (e in particolare questo che è il primo) è un appuntamento di "numeri" che bisogna avere e con cui noi, generazione che politica nata col PD, non siamo abituati a fare i conti.

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  7. Sulle ipotesi numeriche che prospetti, Rossano, sono d’accordo con te e certo non sarò io a condannare il tuo senso pratico.
    Suppongo però che quanti più voti prenderà Ignazio Marino tanto più interessante e movimentata risulterà la fase congressuale.
    Pragmaticamente parlando un Ignazio Marino al 2% non avrà molto peso ma al 15% sarà decisivo (D’Alema lo sa ed è lì che si rode, dato che Marino è stato lui a introdurlo nel PD).
    E anche nell’ipotesi di una confluenza con Franceschini, un buon risultato conferirà al candidato Marino maggiore potere contrattuale.
    Se teniamo al rinnovamento del partito e vogliamo indebolire la nomenklatura è fondamentale che Marino ottenga un buon piazzamento.
    Non credi?
    Voglio richiamare poi la tua attenzione su un paio di cose.
    1) Ignazio Marino è nuovo tanto quanto Debora Serracchiani e in termini di contenuti è particolarmente ben fornito. Come ti dicevo per telefono al momento è l’unico candidato che ha un modello di società organico, nuovo e coerente da proporre al popolo del PD (un modello tutto costruito sul concetto di meritocrazia)
    2) Debora Serracchiani ha raggiunto livelli di massima notorietà in un pomeriggio (due ore prima era una sconosciuta due ore dopo un leader). Perché non potrebbe accadere lo stesso per Ignazio Marino? Perché non provare a lavorarci sul candidato Marino?
    Ora però vado a letto.
    ciao
    filo

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  8. Io che a letto invece non vado proseguo imperterrito il dibattito...
    Che Marino (e Civati, non dimentichiamo...) siano la vera novità non c'è dubbio. E proprio perchè sanno di essere nuovi predicano il nuovo. E fanno bene. Al di là del modello meritocratico (che ce ne fosse...) la candidatura di Marino è finalmente i giovani-che-danno-la-scalata-al-cielo. Volente o nolente con questo gruppo dei piombini i conti ce li dovranno fare. E li dovrenno fare su 2 ordini di problemi:
    1) comunque vada, la visibilità che il congresso nazionale avrà li consacrerà ad una platea finalmente popolare (la tv cattiva maestra che stavolta diventa gioco-forza alleata);
    2) la loro capacità organizzativa, tutta sul web segnerà inevitabilmente un punto di non ritorno. Mentre la serracchiani ha goduto di un effetto tutto sommato inatteso, i piombini hanno davvero sfruttato la rete in senso canonico. Come dicevamo oggi a proposito dell'onni-citato Obama, ci stiamo avvicinando a grandi passi ad un uso comunicazionalmente scientifico del web e non più estemporaneo (vedi i siti creati ad hoc per le elezioni). Per fortuna che una volta tanto un mezzo così innovativo è di casa tra i promettenti giovani del PD e non altrove!

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