domenica 19 aprile 2009

Verba docent, exempla trahunt \7


Nel nostro paese (e non solo nel PD), che è bloccato anche a causa della classe dirigente più vecchia d’Europa, sembra, a sentir loro, che i politici siano sostanzialmente "condannati" a fare sempre lo stesso lavoro. I più fortunati di solito a fine carriera dopo aver servito partito e paese per alcuni lustri vengono risarciti (leggasi sistemati) con delle forme avanzate di welfare che chiameremo “pensioni di tipo elettivo” (il cimitero degli elefanti o degli ex sindaci) e di cui certamente da qualche parte si sta discutendo con passione proprio in queste ore. Lontano, molto lontano da qui (leggasi Stati Uniti), esistono paesi in cui le cose vanno diversamente e dove magari, dopo esser stato segretario di stato (leggasi Condoleeza Rice), ritorni tranquillamente ad insegnare all’università e ti rifai una vita seguendo le tue passioni e valorizzando le tue competenze. Caratteristiche di cui, evidentemente, i nostri beneamati difettano.
Va da sè che non crediamo negli improvvisatori della politica, nei fenomeni da campagna elettorale, nei nani e nelle ballerine (con tutto il rispetto). Il politico è una figura 9 enon un mestriere, please) per la quale è necessario essere molto preparati, seguendo un percoso di crescita che sviluppi e accresca capacita' professionali e culturali. E' il basso profilo di certi (troppi) politici a rendere inausicabile, e quindi sospetta, la figura del politico. Il percorso di carriera di un politico dovrebbe avere un inizio e una fine. Intendiamoci, sono tante le categorie prive di tale percorso (per fare un esempio i docenti universitari che, sempre stare negli Stati Uniti, non lo sono mai a vita o nella stessa Universita'), ma il politico di oggi ne è l'archetipo.
Quando la fine non c'è (della carriera), siamo legittimati a pensar male.
Ispirato a un post di Marta Meo

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