Le discussioni sulla trasmissione di Santoro e le decisioni prese dal direttore generale della Rai, andando alla sostanza riguardano il tema della censura e quindi rinviano alla questione che ogni tanto timidamente si affaccia su qualche organo di informazione: in Italia c’è un regime?
O meglio c’è una limitazione del pieno esercizio dei diritti propri di uno stato democratico?
Non so rispondere. D’istinto mi verrebbe di dire di no. Non mi sono mai sentito frenato o bloccato nell’esprimere un opinione o un giudizio. Eppure la continua presenza, in occasione del terremoto, del capo del governo in televisione, così ben accompagnata dalla sequela di interviste ai ministri, induce al dubbio.
Forse ho visto poca televisione in questi giorni ma i collegamenti con le aree del sisma più che mostrare le immagini delle città martoriate e dei crolli o dei volti delle persone che hanno perso sotto le maceria parenti ed amici, hanno troppo spesso mostrato il primo piano di Berlusconi.
Sarà frutto della distorsione della memoria, ma rivedo più nitidamente i cumuli di case del Belice e di Gemona che le case crollate dell’Aquila.
Continuo, in ogni caso, a non avere risposta. Però mi viene in mente il paradosso del calvo.
Se togliete un capello dalla folta chioma di qualcuno, non diventa calvo. E se ancora gli togliete un secondo capello, nemmeno. E se proseguite con un altro e poi con un altro non potette dire che sia calvo. Potete continuare a togliere i capelli uno alla volta, ma quando quell’uomo sarà calvo? Forse fino a quando avrà un solo ultimo capello non sarà mai calvo.
Ecco anche per noi è così. Fino a quando si può dire che conserviamo i nostri diritti democratici? I nostri “democratici” capelli?
Difficile dire. Le questioni logiche hanno poco a che vedere con la pratica, ma ci possono aiutare a capire che i limiti, i confini, sono labili, quindi occorre fare grande attenzione e non dare mai nulla per scontato. Altrimenti si può facilmente passare da un regime democratico ad uno caratterizzato dalla presenza di un dittatore benevolo. Il limite è sottile, ma c’è differenza tra le due forme di governo. L’espressione dittatura benevola, non è mia e neppure di qualche sovversivo o post comunista è di Jean Paul Fitoussi, professore parigino e membro di molti consigli di amministrazione di grandi aziende e di banche. Vuole significare che nel mondo globale che impone decisioni immediate prese da poche persone è facile l’affermarsi di un governo che agisce come un dittatore benevolo. Agisce per il bene ma con poco rispetto delle regole democratiche.
C’è in questa riflessione il tema della trasparenza delle decisioni e del diritto alla conoscenza e non da ultimo c’è il problema della corretta informazione.
Torniamo così alla domanda iniziale, come è stata gestita l’informazione sul terremoto in Abruzzo? Che cosa abbiamo visto? Cosa sappiamo di quello che è avvenuto e di qual è la situazione lì oggi?
Il problema non è Santoro è che abbiamo molte immagini, ma ci manca un disegno, una visione d’insieme. Abbiamo sentito molte voci, ma ci manca un racconto.
Il paradosso è che nella società della comunicazione di massa tutti parlano, ma nessuno racconta.
Non so rispondere. D’istinto mi verrebbe di dire di no. Non mi sono mai sentito frenato o bloccato nell’esprimere un opinione o un giudizio. Eppure la continua presenza, in occasione del terremoto, del capo del governo in televisione, così ben accompagnata dalla sequela di interviste ai ministri, induce al dubbio.
Forse ho visto poca televisione in questi giorni ma i collegamenti con le aree del sisma più che mostrare le immagini delle città martoriate e dei crolli o dei volti delle persone che hanno perso sotto le maceria parenti ed amici, hanno troppo spesso mostrato il primo piano di Berlusconi.
Sarà frutto della distorsione della memoria, ma rivedo più nitidamente i cumuli di case del Belice e di Gemona che le case crollate dell’Aquila.
Continuo, in ogni caso, a non avere risposta. Però mi viene in mente il paradosso del calvo.
Se togliete un capello dalla folta chioma di qualcuno, non diventa calvo. E se ancora gli togliete un secondo capello, nemmeno. E se proseguite con un altro e poi con un altro non potette dire che sia calvo. Potete continuare a togliere i capelli uno alla volta, ma quando quell’uomo sarà calvo? Forse fino a quando avrà un solo ultimo capello non sarà mai calvo.
Ecco anche per noi è così. Fino a quando si può dire che conserviamo i nostri diritti democratici? I nostri “democratici” capelli?
Difficile dire. Le questioni logiche hanno poco a che vedere con la pratica, ma ci possono aiutare a capire che i limiti, i confini, sono labili, quindi occorre fare grande attenzione e non dare mai nulla per scontato. Altrimenti si può facilmente passare da un regime democratico ad uno caratterizzato dalla presenza di un dittatore benevolo. Il limite è sottile, ma c’è differenza tra le due forme di governo. L’espressione dittatura benevola, non è mia e neppure di qualche sovversivo o post comunista è di Jean Paul Fitoussi, professore parigino e membro di molti consigli di amministrazione di grandi aziende e di banche. Vuole significare che nel mondo globale che impone decisioni immediate prese da poche persone è facile l’affermarsi di un governo che agisce come un dittatore benevolo. Agisce per il bene ma con poco rispetto delle regole democratiche.
C’è in questa riflessione il tema della trasparenza delle decisioni e del diritto alla conoscenza e non da ultimo c’è il problema della corretta informazione.
Torniamo così alla domanda iniziale, come è stata gestita l’informazione sul terremoto in Abruzzo? Che cosa abbiamo visto? Cosa sappiamo di quello che è avvenuto e di qual è la situazione lì oggi?
Il problema non è Santoro è che abbiamo molte immagini, ma ci manca un disegno, una visione d’insieme. Abbiamo sentito molte voci, ma ci manca un racconto.
Il paradosso è che nella società della comunicazione di massa tutti parlano, ma nessuno racconta.
Alberto Rossini
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