mercoledì 26 maggio 2010

Quei giovani...



Marco Damilano sull'Espresso

I magnifici sette del Pd, li aveva esaltati il “Foglio” una settimana fa: «Una squadra di giovani e intelligenti capi del Partito democratico, un gruppo di intraprendenti democratici che ci ha conquistati con le loro idee con cui hanno l’intenzione di portare il proprio partito fuori dal terriccio scivoloso in cui sembra essersi cacciato. Bisogna dirlo: ci hanno sorpreso».

Bisogna dirlo: con una presentazione così era grande l’attesa che i magnifici sette, i giovani leoni (?) si facessero valere nella due giorni dell’assemblea del Pd alla Fiera di Roma. Andrea Orlando («faccia da attore»), Stefano Fassina («folti capelli neri ben pettinati su un viso squadrato simile all’attore americano Robert Ryan»), Andrea Martella («anche lui faccia d’attore»: anche lui?), Alessandro Maran, l’ottimo Nico Stumpo, Matteo Orfini l’uomo del sondaggio tarocco e il trombatissimo Francesco Boccia… (tutti i piu' ansiosi in attesa di cooptazione). Della serie ci sono giovani e giovani, e non a caso al Foglio preme identificare i giovani del PD con "questi dirigentini". Con tutti queste volti da Hollywood ti saresti aspettato una grande interpretazione, se non da protagonisti almeno da comprimari d’eccezione. E invece, niente: neanche le comparse. Hanno parlato, ma di notte, nelle commissioni. Sul podio dell’assemblea plenaria, invece, neppure uno. Davanti alle telecamere e ai giornalisti si sono alternati come negli ultimi venti anni D’Alema, Marini, Franceschini, Fioroni, Fassino… In questo clima chi avrebbe qualcosa da dire o non è venuto (Matteo Renzi) o ha preferito non intervenire (Civati e Serracchiani perche' anche i giovani del PD non sono tutti uguali, anzi...). Gli altri, i magnifici di largo del Nazareno, sono stati confinati nel retropalco, a rilasciare interviste a Youdem. O ad agitarsi nei corridoi. O a preparare, chissà, nuove sorprendenti paginate per il “Foglio”... E, come se non bastasse, sono stati fucilati sul palco da una feroce definizione del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca: «I nostri giovani dirigenti sembrano fallofori in processione». Fallofori? Per gustare appieno la cattiveria di questa citazione letteraria andate a vedere cosa ne dice wikipedia.

Insomma, lo sbarco in massa alla guida del partito sarà per un’altra volta. Anche perché la parola chiave uscita dalla due giorni del Pd non è cambiamento. È un’altra: rassicurazione. È questa la bandiera con cui il principale partito di opposizione pensa di costruire l’alternativa al berlusconismo. Rassicurare la base, i militanti, gli iscritti (rassicurarsi tra i dirigenti, soprattutto...) che il partito c’è, è vivo e unito. Rassicurare, soprattutto, la società italiana. Una società stanca, impaurita, stressata, che attende nuovi sacrifici. «Non è vero che il paese vuole l’innovazione: cerca rassicurazione e anche conservazione. E noi dobbiamo trovare un punto di equilibrio: rassicurare sui punti fondamentali e all’interno di quei punti spingere per la massima innovazione possibile», ha detto Bersani nelle conclusioni. È questa la sua lettura della realtà italiana. E il biglietto da visita del suo Pd.

Se l’andazzo è questo, non c’è da stupirsi poi se l’unico intervento in grado di turbare qualche solida certezza sia arrivato da un signore classe ‘49. Un sessantenne chiamato a parlare a nome degli invisibili, a risvegliare dal torpore la platea e a far irrompere la realtà, con la sua durezza. I nuovi esclusi: i giovani senza diritti sul mercato del lavoro. I non rappresentati, dai sindacati e dalla politica. Quelli che non hanno bisogno di essere rassicurati perché ogni giorno sono costretti a cambiare lavoro, vita, case, città, amori. Li ha raccontati così Pietro Ichino nel suo intervento, dopo aver tentato invano di far passare in commissione il suo progetto di contratto unico, annacquato nel più vago concetto di diritto unico.«Immaginate che quarant’anni fa il Pd in Sudafrica avesse detto ai neri vittime dell’apartheid: il nostro progetto è un vostro graduale inserimento nei diritti di cittadinanza… E oggi noi l’apartheid ce l’abbiamo nel cuore del sistema produttivo. Alle porte di Milano c’è una grande azienda editoriale con mille assunti regolari e quattrocento paria che fanno lo stesso identico lavoro ma prendono 300 euro al mese. Se c’è da lavorare fino alle tre di notte ci sono loro, se c’è da fare un taglio all’azienda licenziano loro. Non hanno la chiavetta del computer, non hanno il parcheggio. E se c’è l’esercitazione anti-incendio non partecipano, perché non esistono. A questi paria il Pd dice: vogliamo un vostro graduale inserimento. Che partito è un partito che dice di fondarsi sul lavoro, ma parla solo a metà della forza lavoro?»

Già: e che partito è quello dove la voce dei giovani la esprime un professore di sessant’anni? Dove i "dirigentini" restano acquattati nel retrobottega nell’eterna attesa della cooptazione (i "magnifici sette" appunto, quelli non a caso vengono citati dal Foglio, ovvero quelli che meglio fanno il gioco dello scetticismo verso il PD...)? Dove abbondano i giovani vecchi già smaliziati nella manovra e lontani dai drammi della loro generazione? Forza ragazzi: la prossima volta sorprendeteci davvero. E basta con le falloforie.
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