
di Ernesto Galli della Loggia
E' senz'altro vero che non si puo' navigare a vista senza una strategia volta a far cadere, con ogni mezzo, Berlusconi e questo governo "pitreista", ivi incluso sfruttare le sue clamorose spaccature. E' pero' altrettanto vero che allo stesso tempo si deve, appunto, sviluppare la linea politica (che parole antiche, eh...?) di "un'altra Italia" e magari farlo con qualche parola chiave ( "in poche parole, un'altra Italia"... ricordate?)
Gia' la Giovanile ha affrontato l'argomento: le alleanze affascinano senz'altro piu' i dirigenti che gli elettori.
Un po' piu' di politica piacerebbe forse di piu'.
Non si puo' certo chiedere tanto ad un'allenza che (oggi come oggi) dovrebbe andare da Vendola a Casini passando per (non riesco neanche a dirlo...) Fini, ma questo passa il convento: e' bene infatti tenere a mente che solo i voti di Futuro e Liberta' potranno (a loro insindacabile giudizio!) fare cadere questo governo e se dovesse davvero farlo cadere certamente non lo farebbe gratis, ma con una prospettiva precisa... Soprattutto per questo, qualche argomento, per di piu' fortemente strategico anche in termini di marketing elettorale, secondo me scalderebbe il cuore e costituirebbe i tratti distintivi del PD in un futuro che vada oltre le immediate contingenze, magari per vincere le prossime elezioni (visto che prima o poi si votera' e si potra' pure correre il rischio di vincere visti gli scenari) e per fare un'Italia quanto piu' possibile lontana dai 16 anni di Berlusconi che abbiamo vissuto, indipendentemente da Grande Alleanza o vocazione maggioritaria.
Esempi: sul lavoro e sulle relazioni industriali come la pensiamo (su queso blog, per il paradigmatico caso Fiat, abbiamo gia' ammesso la nostra monomaniacalita'...)? Sull'acqua pubblica fino a qualche mese fa dovevamo presentare un disegno di legge in alternativa sia al decreto Ronchi che al referendum, ma non se ne sa piu' nulla (o almeno io non ne ho trovato traccia)? Sulle intercettazioni siamo tutti daccordo? Ma soprattutto, quale legge elettorale proponiamo visto che questa dovra' essere il pilastro del "doppio cerchio"? Quanti sono daccordo con questa (che comunque e' l'unica di cui si sia concretamente parlato)?
Poi aggiungo che vorrei vedere rispolverata quella che fu la Bindi-Pollastrini (o pensiamone un'altra se quella pare datata, ma pensiamola!) in modo da avere un perno su cui incernierare quell'immenso partimonio che laici e cattolici hanno in comune, almeno tra gli elettori del PD, e non lasciare che l'opportunismo clericale che questa destra evoca sempre e solo a comando, ci colga impreparati.
Et in cauda venenum: sull'anomalia del conflitto d'interessi mettiamo un freno alle parole in liberta' di qualche eterno "giovane"!
Intanto, qui sotto, Bersani viene in Emilia Romagna (tra i fedelissimi...) a presentare il "doppio cerchio".
Bersani viene qui, in Emilia, a spiegare meglio il suo disegno. Pontelagoscuro di Ferrara, Reggio, Ravenna, davanti a tutti emiliani come lui. Il segretario del Pd vuole un «nuovo Ulivo», che metta assieme le forze progressiste (dall'Ulivo di Prodi e Veltroni, nel '96, Rifondazione era fuori). E vuole un'«alleanza democratica» con questo Ulivo e con le forze contrarie al berlusconismo e preoccupate per la democrazia. Per fare un governo d'emergenza e anche per un patto elettorale. «Doppio cerchio», lo ha chiamato ieri il segretario. E se l'Ulivo rinnovato si può pensare con Pd, Di Pietro, Vendola, socialisti e pezzi di società civile, l'«alleanza» si allarga all'Udc di Casini, ad aree come quella rappresentata da Montezemolo. Fino a Gianfranco Fini? «Tutti quelli che...», ha risposto il segretario e voleva dire sì, fino anche a Fini, se ci sta a portare fuori l'Italia dalla deriva populista di Berlusconi. E al presidente del Consiglio, che lo accusa di rilanciare «ammucchiate da Prima repubblica», Bersani risponde così: «È lui che pretende di governare con una compagnia che si insulta e si manganella tutti i giorni. La sua è un'ammucchiata».
La fisica della politica non è una scienza esatta.
Nel nostro circolo dove sono iscritti o comunque partecipano molti giovani (ventenni e trentenni), ci siamo sempre appassionati al tema: come dire, abbiamo studiato.
Anzi, immeritatamente ci siamo spesso anche dovuti sorbire noiosi pipponi sul nuovismo, sull’usato sicuro e via dicendo. Ma ci sta.
Come ci sta il banner che campeggia da sempre su questo blog: il ruggito del peluche, liberamente tratto da un articolo di D'Avanzo del 2008, e che a ben vedere – e da sempre – è stata la nostra visione delle cose, sul tema dello spazio/tempo anagrafico nella fisica della politica (per chi sa leggere clicchi qui).
Per cui mi stimola il piccolo dibattito nato –in questo scorcio d’estate – sul tema del rinnovamento - che per sintesi e media aritmetica (20+40=60/2=30) - chiamerò, per esemplificazione, il tema o la riscossa dei "trentenni" ripreso ampiamente - per esempio - sul blog dei Giovani Democratici.
Rifletto allora sul significato di innovazione e sul dato anagrafico.
Io credo che l’innovazione passi davvero per il ricambio generazionale.
Ma le generazioni - nella fisica della politica - come le misuro?
E postulo, sennò non mi interessa a priori, quanto segue: che l'innovazione serve a risolvere i nuovi problemi, non a fare nuovi dirigenti.
Allora, qual è questa generazione che deve andare alla riscossa? 2 ambiti per identificarla e per capirci: quello delle politiche del lavoro, e quello più in generale della rappresentanza politica.
Parto dal tema più importante: il lavoro, la precarietà.
In Italia, la media di età dei contratti a gestione separata (i cosiddetti para subordinati, i contratti di collaborazione o partite Iva più o meno per forza) è di 42 anni. Questo significa - a far i conti della serva - che probabilmente in Italia la vita di molti 30enni e 50enni ha le stesse condizioni, senza contare che uno dei fenomeni più complicati che saremo chiamati come comunità a gestire è e sarà nei prossimi mesi la re-immissione sul mercato del lavoro di molti over 50 che il lavoro l'hanno perso, con tutte le difficoltà che questo - è ovvio - comporta. Quello che in gran parte del resto d'Europa più facilmente può essere ricondotto alla categoria della flessibilità - lì davvero generazionale perché coincidente con un periodo fisiologico e davvero anagraficamente circoscritto - per noi è tema invece di una precarietà sempre più cronica che tocca un 30enne come un 50enne. Qual è questa generazione?
Sul piano della rappresentanza politica, della partecipazione alla vita politica, invece torno a metter nero su bianco quello che da sempre (cioè dalla nascita del PD) abbiamo sostenuto e cioè che quello che importa è una generazione di trentenni (30, nel senso della solita media) che riempie i nostri partiti e la nostra politica, insomma un partito di giovani e non semplicemente una classe dirigente di giovani tout court (magari i soliti). Per dirla con Civati: "il Pd deve diventare il partito dei giovani italiani. Non il partito dei giovani dirigenti, ma il partito dei giovani elettori."
E comunque, per quanto riguarda anche la classe dirigente?
Bene: io credo davvero che ci siano in giro per l’Italia trentenni che stimo e che mi fanno sentire un po’ meno preoccupato quando si mettono in gioco e quando non demordono. Trentenni che in virtù del loro semplice essere trentenni – e cioè, per quasi fisiologica volontà, nuovi, dinamici e non omologati - stanno sul pezzo alla ricerca costante della nuova frontiera e non immobili nella trincea. Questi trentenni compongono il mio ideale partito dei giovani.
Così, nel mio ideale partito dei giovani, ci vedo per esempio quel trentenne di ottantacinque anni di Alfredo Reichlin, quel trentenne di trentacinque anni di Pippo Civati, quella trentenne di cinquantatre anni di Laura Puppato, quel trentenne di quarantanove anni di Gianni Cuperlo, quella trentenne di quarantasette anni di Concita de Gregorio, quel trentenne di trentacinque anni di Matteo Renzi, quella trentenne di quarantotto anni di Paola Concia e tanti altri trentenni e altre trentenni come loro.
Nel mio ideale partito dei giovani ci sono trentenni, di tutte le età, con denti (nel senso di D'Avanzo) e volontà tali da prendere in mano - assieme - questo paese, queste regioni, queste città, e dargli una speranza concreta di ripresa e di riscossa.
Spazio/tempo nella fisica della politica non sono riferibili ad una scienza esatta. Anzi porta a sorprendenti scoperte (come i giovani leoni senza denti di D'Avanzo).
Scriveva Emily Dickinson in una sua poesia, con molta semplicità, una cosa molto vera:
La distanza che c’è tra noi
non la conti in miglia e in mari
La distanza che c'è tra noi è determinata dalla Volontà
E non dall’equatore
E per quanto riguarda la fisica della politica, ciò è uguale certamente anche per il tempo, le generazioni e l’età.