domenica 10 maggio 2009

Il PD, seppure a fatica, ci sta provando.


Da Alberto Rossini a Ken Livingstone, temi e argomenti seguono un percorso che è ben più breve di quanto si creda.

Nel blog spesso viene sollevato il tema del rinnovamento del mondo politico, provo a dire la mia. La classe politica da tempo è finita sotto tiro. La critica agli esponenti politici è divenuto un luogo comune: sono un po’ ladri, un po’ faccendieri, un po’inutili, un po’ incapaci, un po’fannulloni. L’accusa ai politici è ormai un genere letterario consolidato. Da "La casta" in poi si moltiplicano i libri sull’argomento, con maggiore o minore fortuna. Certo ci sono fondati motivi. Da tangentopoli in poi di materia per poter scrivere ce n’è stata e ce n’è ancora molta. La fiducia nei politici è ridotta ai minimi termini. Tant’è che in un modo o nell’altro chi fa politica, quasi sempre, si propone come anti-politico. L’esempio eccellente è proprio il nostro Premier che ormai in politica dal ’94 si dipinge come un estraneo, come un outsider della politica, un modo eccezionale per catturare consenso, secondo un modello marketing oriented consolidato. Tale deriva pare non avere limiti. Sia a livello nazionale che locale risultano spesso incomprensibili molte delle scelte e delle quotidiane prese di posizione di questo o quel politico. Prevale così l’idea che chi fa politica ricerchi un proprio tornaconto personale, non importa di quale genere. Se il vantaggio non si ottiene per decisione del partito allora sembra legittimo cercarlo in maniera personale.
A volte cambiando partito, a volte minacciando di farlo, altre volte costituendo il proprio personale partito, oppure lanciando la lista fai da te. Gli eletti costituiscono propri gruppi, cambiano schieramenti, si aggregano o si scindono a seconda dei casi. Gli esempi sono molti, ciascuno costruisca il proprio inventario, come più gli piace.

Tutto ciò può accedere perché il legame, il rapporto che unisce il politico al proprio gruppo, al proprio partito, è in assai debole. Più deboli sono i partiti più questa pratica è diffusa. I partiti di opposizione soffrono in maniera più accentuata della sindrome evidenziata. La ragione la illustrava proprio ieri su La Repubblica Nadia Urbinati. Nel momento in cui il potere si concentra sempre più nell’esecutivo, il partito o la coalizione che esce sconfitta dalle elezioni, sembra non contare più nulla, perché non si capisce quale funzione abbia, in quanto non si prende in considerazione né il tema della rappresentanza, né quello della formazione delle decisioni. E’ evidente che in questo schema il Parlamento, il luogo strategico delle decisioni, è ridotto a misera cosa. Questo, però, è già un altro discorso. Il tema è come si può dare forza alla politica. Bisognerebbe capire come mai la politica sia divenuta così debole. Più la politica viene espropriata della propria specificità, più diviene debole. Più diviene debole e più hanno forza altri poteri e gli interessi di parte. L’essenza della politica sta nella res pubblica, che diversamente dalla cosa privata mette al primo posto il bene comune. Perché questo bene comune non rimanga un’astrazione occorre pensare di poterlo realizzare concretamente nella polis, a cui appunto la politica rimanda, ovvero nel luogo in cui siamo e nel tempo in cui viviamo. Un’idea, una visione, della città globale, che vorremmo, dobbiamo averla. Insomma non può esistere politica, quale ricerca del bene comune, se non c’è un’idea di come immaginiamo il mondo che sarà. Non quale desiderio utopico cui tendere, ma quale possibile luogo da realizzare per i cittadini: in cui ambiente, equità sociale, giustizia, crescita economica e diritti individuali siano in equilibrio tra loro. Non solo pensando alla responsabilità verso i nostri concittadini, ma anche verso gli altri che vivono lontani da noi, ma che comunque subiscono gli effetti delle nostre azioni. Così come il principio di responsabilità va pensato in relazione a chi verrà su questa terra dopo di noi.

Un simile progetto non si concepisce attraverso il ricorso ai sondaggi, non si verifica giorno per giorno, guardando i commenti in televisione. Senza una visione del futuro, senza un progetto di cambiamento, sul terreno del governo del quotidiano la destra, ci batterà sempre. Perché non ha un disegno da attuare, ma ha un equilibrio da mantenere. Abbiamo quindi bisogno di una politica forte, nel senso di autorevole, capace di essere l’elemento regolatore dei diversi ambiti sociali.
Ecco perché penso che ridurre tutto alle politiche del governo giorno per giorno sia perdente. Così come non ci serve l’esaltazione della concentrazione dei poteri, del rafforzamento dell’esecutivo.
Va affermato invece il tema della rappresentanza, a tutti i livelli, dal Parlamento al ruolo dei consigli regionali, provinciali e comunali. Così come assume importanza fondamentale la questione della trasparenza dei luoghi di discussione e degli organismi decisionali all’interno dei partiti.
Riavvicinare i cittadini alla politica e quindi rendere la politica più forte, passa da queste forche caudine. La democrazia non è un esercizio né facile né agevole.

Ora per non sembrare troppo teorico vorrei concludere con un esempio. Londra è ora governata da un sindaco conservatore, però per due legislature è stata amministrata da Ken Livingstone, detto “Ken il rosso”, che spaccò il partito laburista all’epoca della sua prima vincente candidatura e che poi fu riconfermato dal partito e venne rieletto incrementando il suo personale consenso.
Ecco Ken aveva una visione: rilanciare Londra attraverso un forte incremento dei servizi pubblici, in particolare con il potenziamento del trasposto pubblico teso a migliorare la qualità dell’ambiente e a rendere più vivibile lo spazio urbano.
Il proliferare delle liste generato dell’individualismo di coloro che non ci stanno se non gli viene assicurato un posto, non si supera con astratti rimandi all’etica o al volto umano della politica. Si supera rispetto all’adesione o meno ad un progetto, ad una visione strategica, non solo tattica, di ciò che intendiamo fare attraverso il governo della polis e al concreto esercizio dei diritti delle persone.
Esattamente secondo il metodo proposto da Livingstone.

Il rinnovamento della classe politica può avvenire partendo dalla discussione di questi temi, sui quali ognuno si può esprimere partendo dalle proprie competenze e dalla propria esperienza e non dal quantum di potere che rappresenta in quel momento. Formalizzare i luoghi di discussione, ad esempio i circoli e definire quali sono gli organismi decisionali e quali poteri specifici esercitano nel partito, aiuta a procedere in questa direzione. Il PD seppure a fatica, mi pare, ci stia provando. Bisogna proseguire con determinazione. Altrimenti che rimane? Rimane il partito padronale e/o personale…decisamente troppo poco.
Alberto Rossini

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