domenica 24 maggio 2009

Il cardinale Bellarmino e Galileo



Nessuno di noi sa come andranno le prossime elezioni sia a livello di voto per le amministrative che per le europee. Che tipo di risposta darà il Paese alle questioni che in questi giorni lo agitano? Ammesso che il Paese sia agitato. La percezione che abbiamo dell’Italia deriva dal modo in cui la guardiamo. Il cardinal Bellarmino guardando la luna con il cannocchiale non vedeva le stesse cose viste da Galileo. Oggi sappiamo che osservando un fenomeno, fisico o sociale, in qualche modo lo alteriamo, e quindi dobbiamo arrenderci al principio di indeterminazione della realtà. Eppure la domanda che ieri il Presidente Errani poneva continua a frullare nella mente: “che tipo di società vogliamo, di plastica o reale?”
Ci sarebbe molto da dire. Anche per il semplice fatto che andrebbe definito cosa è reale e cosa non lo è. Semplifichiamo un po’ le cose: ridotta all’osso la questione è capire che cosa conta di più in questo Paese. Conta di più il dibattito sulle veline e sulle frequentazioni del Premier o conta di più che il consumo al dettaglio sia diminuito negli ultimi tre mesi del 5,4%? Conta di più un passaggio da Vespa o che 6 studenti su 10 abbandonino l’università? Quanto pesa il fatto che il rapporto tra reddito da lavoro e rendita finanziaria si sia spostato di circa 10 punti a favore di quest’ultimo?
La responsabilità di questi dati di fatto a chi viene attribuita?
A seconda di come si risponde a simili domande si definisce un orientamento di voto, di scelta di campo. Certo conta molto il potere mediatico. Televisioni, radio, giornali, contribuiscono, non solo e non tanto attraverso l’informazione, a formare un immagine di cosa sia e di come stia andando il mondo. Eppure la “realtà effettuale”, il fenomeno della cosa rimane pur sempre presente.
Credo che il centro sinistra, passatemi questa espressione, sia riuscito negli anni ad affermare a livello locale un proprio modo di agire. Nelle amministrazioni locali, dal livello regionale al comunale, si è dispiegata una strategia di governo - dove abbiamo esercitato questa responsabilità - tesa da un lato ad offrire servizi di qualità medio alta ai cittadini: dalla sanità alle scuole materne; dalla cultura ai servizi sociali, ecc..Mentre dal lato dell’economia si è perseguita la strada, mai scontata, della collaborazione con le imprese, un po’ figlia di un sano pragmatismo un po’animata da una vaga idea di cogestione alla tedesca.
Forse questo modo di fare negli ultimi anni si è un po’ appannato, ma è ancora quello prevalente e ancora tiene. Concretamente è quello che consente alla nostra Regione di lanciare l’accordo con le banche per l’accesso al credito e di stanziare le risorse per l’edilizia convenzionata. Poi ci sono le lentezze, le difficoltà organizzative, le contraddizioni emerse anche su questo blog, ma il contesto in cui ci muoviamo è questo.
Mi pare che invece a livello nazionale le cose siano messe peggio, perché il dilagare del Berlusconi pensiero avviene in ragione dell’enorme spazio lasciato libero dal centro sinistra. E’ qui che sta complessivamente la nostra debolezza. In una società sottoposta a grandi pressioni e a spinte di cambiamento fortissime e velocissime non siamo in grado di indicare quale sia la nostra proposta.
Il più delle volte ci siamo ancorati al passato dando la sensazione di non intravedere il nuovo. Rispetto alla necessità o opportunità di cambiare la Costituzione, dopo aver frettolosamente a maggioranza, cambiato il Titolo V, abbiamo lanciato la parola d’ordine della difesa ad oltranza. Eleggendo a sommo custode del testo Oscar Luigi Scalfaro. Qualcuno vi intravede il nuovo mondo?
Vorrei, ad esempio, capire quale è la nostra idea di fondo del federalismo. Dobbiamo immaginare un sistema che alleggerisca il Nord dal peso di una fiscalità onnivora e che sia allo stesso tempo in grado di rilanciare il Sud, liberandolo dai potentati e dalle mafie. Il sistema della perequazione fiscale e sociale ci può aiutare, ma finora non siamo stati capaci di muovere un passo verso un obiettivo così ambizioso, seppure possibile.
Solo un altro esempio. Il nostro sistema formativo fa pena. Bisognerebbe una volta per tutte essere chiari. Su cosa puntiamo? La scuola costa, se lo Stato non ce la fa più bisogna che decidiamo a chi la vogliamo far pagare e come. Dare poco a tutti alla fin non conviene a nessuno, ed in ogni caso chi ha i soldi può sempre cavarsela.
Se il ragionamento che ho proposto ha qualche fondamento forse il percorso da fare è proprio quello del radicamento territoriale, dell’ancoraggio alle esperienze concrete e di successo che sono riuscite in qualche modo a segnare i territori. La buona pianificazione, lì dove c’è ancora; la scuola che funziona; la sanità che risolve problemi; il trasporto pubblico che innova; la ricerca che mette insieme imprese e università, solo per citare alcune buone pratiche. Qualcosa di ben diverso dal partito liquido. Non inseguiamo il leader carismatico da opporre a Berlusconi. Se vogliamo vincere alla plastica dobbiamo contrapporre la sostanza che emerge dall’attenzione ai fatti, interpretati e sorretti da una efficace e rigorosa teoria.
Non dimentichiamoci, mutatis mutandis, che alla fine Galileo ebbe ragione di Bellarmino.

Alberto Rossini

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