domenica 29 marzo 2009

IL PTCP E I COMUNI


Il confronto tra Gilberto Mangianti e Alberto Rossini si arricchisce di un nuovo approfondito intervento di quest'ultmo.

Questo ha l'ambizione di essere ben più che un percorso dialettico tra due intellettuali (almeno quei pochi che ci sono chiamiamoli con il loro nome!): sono portavoce di sensibilità troppo spesso divise dallo stereotipo dicotomico amministratore-cittadino (gli esempi che lo giustificano, non mancano certo...), ma in questo caso unite dal comune sentire di un'idea di territorio la cui forma di domani sarà il risulato delle scelte fatte oggi.

P.S. Quelli nella foto non sono Rossini e Mangianti, ma Carlos Alberto e Bobby Moore...

Ora che il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è in vigore dobbiamo chiederci quali effetti produrrà nei comuni. Sappiamo bene che la crescita urbanistica è considerevole e l’incremento demografico è costante. Dal 2007 ad oggi la popolazione residente è cresciuta di quasi 5000 unità. Nel 2008 abbiamo superato il tetto dei 300.000 residenti. Nel periodo 2000-2006 i comuni hanno concesso permessi di costruzione per 16.000 abitazioni suddivise in quasi 2.400 nuovi fabbricati ai quali si aggiungono 600 nuovi fabbricati non residenziali (fonte CCIAA).
La crisi sembra aver rallentato la corsa, ma il desiderio di avere una nuova casa o di aumentare il volume di quella esistente rimane forte. La trovata del “piano casa” proposto da Berlusconi lo dimostra. E’ semplice pensare agli interessi immediati. Più complesso ragionare sulle conseguenze che le nostre azioni avranno nel futuro.
Dobbiamo domandarci se è credibile che il PTCP possa, se non arrestare, almeno limitare il consumo del territorio. La scelta non è affatto ovvia. Perché bloccare lo sviluppo dell’edilizia? In fondo quali danni irrevocabili sono stati fatti?

In un Paese in cui il Governo, con grande disinvoltura, rilancia le centrali nucleari è difficile parlare di ambiente e di sostenibilità. Del resto la crisi sollecita la voglia di abbassare la guardia. C’è un sentire comune che invoca interventi urgenti e percepisce le norme a tutela dell’ambiente come un inutile ostacolo che frena ogni tentativo di ripresa dell’economia.
E’ difficile contrastare simili idee, per farlo occorre pensare al mondo come un sistema, considerare i fenomeni di lunga durata, valutare gli effetti irreversibili delle nostre azioni.

Il PTCP 2007 va in questa direzione. Afferma il principio di sostenibilità ambientale e sociale. Si vuole fare carico del futuro e cerca di tradurre in azioni concrete tali indicazioni. Dobbiamo dire basta alle case sparse; ai capannoni industriali disseminati sul territorio; alla trasformazione degli edifici agricoli in seconde case; all’ampliamento, moltiplicato per tre o per quattro, della stessa casa nel ghetto di campagna. Questo, in sintesi, dice ai Comuni il PTCP. Li invita a immaginare cosa vogliono essere tra quindici o venti anni e a realizzare obiettivi coerenti con la propria visione.
Una crescita della popolazione ai tassi attuali vuol dire essere 350.000 nel 2019. E’ bene ipotizzare quanti milioni di metri quadrati in più dovremo edificare, quanta acqua in più sarà necessaria, quante tonnellate di rifiuti in più dovremo smaltire, quanta ulteriore energia consumeremo. Oltre un certo limite non si può andare, dobbiamo esserne consapevoli.
I Comuni hanno quattro anni per adeguarsi al PTCP , ma prima di ogni altra cosa serve un cambio di mentalità.

I problemi vanno affrontati con un approccio nuovo superando la logica dell’emergenza, favorendo la ricerca di un’idea complessiva della città. Si parte da situazioni differenti. Ci sono comuni che da decenni perseguono la linea di uno sviluppo sostenibile ed hanno dimostrato un’attenzione particolare all’immagine della città, alla politica dei servizi, alla cura intelligente della campagna e del paesaggio. Altri, invece, hanno dato vita ad uno sviluppo incessante e caotico. I risultati, in questo caso, non sono lusinghieri. La qualità della vita ne ha risentito.
Certamente la discussione aperta nella fase di elaborazione del PTCP è stata utile, alcuni concetti sono diventati patrimonio comune dei cittadini, delle imprese, delle forze sociali. Qualche volta, tuttavia, agli amministratori fa comodo credere che i cittadini non siano disponibili al cambiamento, è un alibi per non compiere scelte coraggiose, per lasciare le cose come stanno. Se c’è un pensiero forte, autorevole, se c’è un’idea che riesce a tenere insieme l’interesse particolare con quello della comunità, si raggiungono risultati interessanti. E’ chiaro che bisogna avere una strategia, non solo una tattica. Perseguire un’idea di verità, non inseguire solo l’opinione corrente. Solo così possiamo distinguerci dalla destra ed in particolare dal Berlusconi pensiero.
E’ fondamentale riconoscere la complessità del mondo che soltanto la banalità e la violenza sulle cose, riduce e semplifica.
Il percorso dei Comuni per recepire il PTCP è avviato. Riccione e Cattolica hanno approvato il proprio Piano Strutturale Comunale. Verucchio, Santarcangelo, San Giovanni in Marignano e Bellaria Igea Marina, sono in fase di avanzata elaborazione. Rimini a breve conferirà l’incarico per avviare i lavori.

Nei Piani verranno recepite tutti i vincoli e le tutele idrogeologiche connesse alla sicurezza del territorio, mentre alcune norme del PTCP sono già in vigore in quanto sovraordinate: dal piano delle acque alle tutele paesaggistiche. Il PTCP indica obiettivi e metodi per ridurre il consumo energetico, per favorire l’uso delle energie rinnovabili, per incentivare la bio architettura.
Rimangono sul tavolo alcuni problemi. Il più importante è l’equilibrio tra lo sviluppo della costa e dell’entroterra. Il Piano sostiene l’idea della città compatta, per cui dove c’è una situazione di forte urbanizzazione, è il caso della costa, è possibile intervenire rendendo la città più densa. Nell’entroterra, invece, ci sono più vincoli. In parte dovuti alle tutele ambientali, in parte alla volontà di mantenere viva l’agricoltura e di preservare la campagna. I Comuni più vincolati chiedono, giustamente, di avere le risorse necessarie per sopravvivere. Le entrate dei piccoli comuni dell’entroterra derivano in gran parte dall’ICI e dagli oneri di urbanizzazione. Entrambe queste voci saranno ridimensionate, sia per effetto dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa che per effetto del PTCP.
Quindi se per davvero consideriamo la nostra provincia come un tutt’uno, va messa in campo una forma di perequazione territoriale che punti a riequilibrare il rapporto costa-entroterra. Va realizzata una sussidiarietà istituzionale che preveda che una parte dei nuovi introiti incassati dai comuni, in cui è possibile un maggiore sviluppo urbanistico, sia ridistribuito verso i comuni più vincolati.
La prossima amministrazione provinciale, seguendo quanto scritto nel PTCP, dovrà istituire un fondo di perequazione che consenta di effettuare interventi di interesse generale a vantaggio del territorio.
Così confermeremo nei fatti la dichiarazione di principio che l’entroterra è un valore prioritario e che il paesaggio non è un oggetto di contemplazione, ma un bene prezioso per tutti, come l’acqua o l’aria che respiriamo.
Non è affatto semplice raggiungere questi obiettivi, ma abbiamo il dovere di immaginare un mondo futuro che non sia simile a Blade Runner o Waterworld. Dobbiamo puntare ad avere città con un alto profilo qualitativo e con un elevato tasso di coesione sociale. Ecco perché sostenibilità ambientale e sociale si debbono coniugare tra loro.
Nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione e nella fase della loro attuazione è opportuno coinvolgere il più possibile la comunità locale, puntando ad una partecipazione che non sia solo formale. I luoghi che conosciamo ed amiamo possono continuare ad avere tracce di bellezza a suscitare emozioni e seduzione solo se sapranno comunicare una visione, se gli spazi architettonici che si realizzeranno saranno capaci di esprimere un’idea. Molti luoghi possono essere funzionali, ma rimangono incapaci di raccontarci lo “spirito del luogo” che non può essere il prodotto del desiderio di pochi, deve essere la volontà della comunità, o quantomeno deve rappresentare il sentimento di una parte significativa di quella comunità.

Per queste ragioni in campagna elettorale si dovrebbe, ripeto si dovrebbe, discutere di quale città e di quale territorio vogliamo per il nostro futuro. Altrimenti di che parliamo?

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