Il Sole 24 Ore - 19 gennaio 2010 di Piero Ignazi
Strano destino, come sempre del resto, quello dei radicali. In occasione delle elezioni del 2008 la tormentata contrattazione per il loro ingresso nelle liste del Pd divenne la cartina di tornasole della capacità di "aprirsi" del Pd. La loro esclusione avrebbe significato che il partito di Veltroni era oligarchico, chiuso, autoreferenziale e non sapeva cogliere le espressioni meno irregimentate della società civile (di cui si ritenevano i radicali espressione). Alla fine, con il plauso di tanti osservatori, l'accordo si fece. Quella scelta di integrazione così forte - non un apparentamento ma l'immissione diretta dei radicali nelle liste democratiche - non sollevò particolare sconcerto tra le fila dei cattolici del Pd. Qualche mugugno ma nulla più. Ben diversa fu la reazione delle gerarchie ecclesiastiche che tuonarono contro la presenza di anticlericali divorzisti, filoabortisti e quant'altro. Di conseguenza, come dimostrato dalle indagini postelettorali di Itanes, i cattolici si spostarono in massa verso altri lidi, soprattutto l'Udc. Oggi, nel Pd, di cattolici non ne sono rimasti molti. C'è sì molto ceto politico, entrato nei vari organismi di partito e nelle assemblee rappresentative grazie ai dosaggi contrattati al momento della nascita del partito. Ma elettori e militanti cattolici sono ormai ridotti a una piccola schiera. Per questi motivi - la fanfara suonata all'ingresso dei radicali nel 2006 e la successiva liquefazione del serbatoio elettorale e militante cattolico - è paradossale e quasi incomprensibile il fuoco di sbarramento alzato contro la candidatura di Emma Bonino alle regionali del Lazio. Le due maggiori critiche sono infatti contraddittorie o inconsistenti. Prima critica: la candidatura è venuta dall'esterno, anzi è stata addirittura "imposta"; e il Pd l'ha subita. E quindi il Pd è un partito debole e facilmente penetrabile. C'è da scommettere che se invece la proposta fosse stata respinta, gli stessi critici avrebbero usato un argomento di segno opposto: il Pd è un partito chiuso, settario, insensibile alle voci non allineate e così via. Insomma, ogni opzione non andava bene, "a prescindere". Seconda critica: allontana l'elettorato cattolico. Ma come il caso Marrazzo insegna, i candidati espressione dell'ambiente cattolico non garantiscono comportamenti in sintonia coni valori dichiarati. Le persone di fede apprezzano certamente di più chi dichiara a viso aperto di avere riferimenti culturali diversi, ma anche grande sensibilità verso le posizioni più lontane da sé, come tutta la storia dei radicali dimostra, rispetto a chi si dichiara allineato al mainstream confessionale e poi fa tutto altro. Se quindi i radicali andavano bene nel 2008, non si capisce perché siano diventati il diavolo due anni dopo. Infine, si dimentica che esiste un elettorato di sinistra radicale, assai più ampio di quello cattolico potenzialmente orientato verso il Pd, che rappresenta il vero bacino di riserva del partito di Bersani. Questo elettorato può essere recuperato dalla candidata radicale, mentre quello cattolico è in gran parte disperso anche perché i valori di riferimento dei "cattolici democratici" sono marginali nella chiesa ratzingeriana. Il caso Bonino ha messo in luce, una volta di più, la difficoltà del Pd a far convivere tradizioni culturali diverse in assenza di riflessioni degne della sfida; ma offre anche l'opportunità, proprio per il profilo della candidata, per una discussione vera su temi alti, dalla bioetica a stili e scelte di vita diversi da quelli codificati dalla religione e dalla tradizione, dal multiculturalismo alle nuove povertà, dall'anomia urbana alla sviluppo ecologicamente sostenibile.
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