martedì 2 agosto 2011

POLITICA PER DEFAULT


Per inquadrare la situazione, Roberto Napoletano ieri sul sole 24ore scrive:

La fuga dai depositi del 2008 non c'è e non è nemmeno all'orizzonte, per fortuna. L'interbancario mondiale vive una fase complicata, stare in campana è obbligatorio. La spia della delicatezza della crisi del debito americano, che purtroppo riguarda tutti, si chiama "Money Market Fund" ed è misurata dalla velocità con cui questi fondi monetari disinvestono dai titoli sovrani che hanno in pancia.Sono l'anello debole della catena del mercato finanziario mondiale e vivono l'incubo che milioni di investitori, soprattutto in assenza di un accordo bipartisan negli Stati Uniti, si presentino mercoledì tre agosto e chiedano indietro i loro soldi per trasferirli sui conti correnti bancari. Questi soldi i "Fund" oggi non li hanno, o non li hanno tutti, e fanno raccolta liberandosi dei titoli pubblici sovrani dei Paesi che ovviamente ritengono più fragili.

Questo è il rischio che si corre, la paura e l'incertezza prima di ferragosto. In questi giorni abbiamo imparato a misurarci con un fatto in parte inedito: il default politico più che economico di una nazione di riferimento per l'assetto geopolitico, della finanza e dell'economia mondiale (gli USA).

Fra qualche ora l'accordo bipartisan che salva gli Stati Uniti dal default dovrebbe essere suggellato. I quattro leader democratici e repubblicani di camera e senato han fatto i loro conti sul voto di un accordo di compromesso e hanno garantito al loro Presidente di spuntarla anche senza i voti - a sinistra come a destra - delle parti più radicali.

Obama - come più volte già sperimentato - si è appellato direttamente ai cittadini perchè "intercedessero" con i propri eletti, li convincessero a trovare la via politica e dunque l'accordo sul tetto del debito. La capacità di andare direttamente là dove il consenso si forma, Obama l'aveva già sperimentato, l'aveva già praticato: ma se fino a qualche tempo fa l'aveva fatto cercando un canale di comunicazione prevalentemente con la sua parte, in queste ore l'appello - anzi i numerosi e ripetuti appelli - sono stati indirizzati con un messaggio un po' generalista a destra come a sinistra. E gli Americani l'hanno accolto, esercitando la loro pressione, l'han fatto i cittadini Repubblicani come quelli Democratici col risultato di un accordo che sega le parti più estreme proiettando Obama verso un nuovo e indistinto centro moderato che sembra oggi essere il suo - se ci sarà - futuro bacino di consenso. Uno spostamento politico di non poco conto.

E' un atto politico, dunque, che ha un valore certamente per l'evolversi della politica interna americana a poco più di un anno dalle elezioni, ma è un atto politico che ha anche un valore nel renderci manifesto come stia principalmente nella politica la chiave per governare quei processi che oggi ci paiono ingovernabili a partire da chi specula sui mercati finanziari. Così come il sogno obamiano perde smalto, allo stesso modo parte dei cosiddetti neoliberisti - e proprio là dove il neoliberismo è ideologicamente più forte - devono cedere buona parte (se non tutta) della loro fede nella capacità del mercato di autoregolarsi. Perchè alla fine se qualcosa può salvare fra qualche ora gli Stati Uniti dal default è soltanto un atto politico.

Atterrare - per concludere - in Italia, sembra un volo pindarico, come voler fare un paragone tra soggetti sproporzionati: eppure non lo è del tutto. Quando sui mercati finanziari si "svendono" interi paesi (gli attacchi per esempio che con ritmo costante nel mese di luglio il nostro paese sta subendo) questa drammatica svendita avviene a scapito di quei paesi percepiti come più fragili. E la fragilità non è soltanto nel dato strutturale del paese, ma anche nella qualità delle sue scelte politiche. Che è quello che manca in Italia. E nella percezione della qualità delle scelte politiche ci stanno tutte le componenti, non solo quelle che riguardano scelte in materia economica o di tagli alla spesa, ma tutta la sfera della politica e della sua capacità di mostrare un paese capace di avere la schiena dritta, di avere l'autorevolezza - quindi il consenso - per affrontare i problemi, tutti i problemi con serietà. Il richiamo delle parti sociali, sindacati e confindustria, dei giorni scorsi non era del resto che questo. Il problema dell'Italia è se la politica, quella vera e autorevole, resta debole a destra come a sinistra. Ecco perchè -anche- votare subito, come la Spagna farà, probabilmente è quello che dovremmo chiedere senza più cedere alle sirene di chi crede che la melina infinita dei governi tecnici e di transizione possano risollevare quello che è politicamente e non solo economicamente non più sopportabile.

Per chiudere sempre con Napoletano:

Voto di fiducia sul processo lungo al Senato e ministeri fantasma a Monza appartengono a metodi e bizzarie che non ci piacciono per nulla. Non sono, di certo, la medicina migliore per placare l'ansia dei mercati e ridare speranza al Paese.

Nessun commento:

Posta un commento