Il Labour inglese torna a sinistra. Le ragioni della giustizia sociale e dell’uguaglianza sono state la bandiera della campagna di Ed Miliband, il più giovane dei due fratelli che si sono contesi fino all’ultimo voto la leadership della principale forza progressista del Regno Unito. Lo scontro in famiglia ha premiato il candidato partito sfavorito alla vigilia.
Come capita da un po' di tempo a questa parte e complice lo sbandamento dei partiti di centrosinistra in Europa, ogniqualvolta un nuovo leader s'affaccia con un po' di coraggio sulla scena politica progressista scatta il racconto agiografico. Con un po' di cattiveria si può dire che la sinistra democratica e socialista - costantemente alla ricerca di una nuova e mediamente stabile identità - sembra aggrapparsi con speranza crescente, di volta in volta, al nuovo leader-simbolo, al nuovo prodotto da lanciare sul mercato elettorale con un po' di studio di packaging e marketing politico.
Ed Miliband - almeno stando alle cronache di queste prime ore - sembra essere appunto il nuovo prodotto. Stupisce però la posologia di questo prodotto di sinistra, ma non troppo, socialista/progressista ma non internazionalista: sull'etichettta ci potete leggere "Indicato per capelli sensibili e progressisti o cuti irritabili da politiche di destra, ma cavatevi dalla testa troppi idealismi".
Tuttavia, questo modo di fare politica a sinistra come se la si facesse per organizzare i lavori nel giardino di casa, se non infiamma può insegnare molte cose.
Allora scrive Mario Rodriguez su Europa:
Quando si sente sapore di elezioni politiche torna a galla un tema che nasconde dentro di sé uno dei grandi “irrisolti” della politica della sinistra italiana. Un “irrisolto” che evidenzia molte riflessione incompiute, abbozzate, lasciate a metà. Problemi senza risolvere i quali difficilmente si saprà mettere in campo una proposta convincente, una metafora vincente, una frase che raccolga il senso della propria ragione d’essere.
E, come al solito, dietro queste difficoltà ci sono problemi di visione e di cultura politica (e di teoria sociale) dai quali non si sfugge solo con appelli alla concretezza.
Così ricompare l’idea di rivolgersi ai tanti che hanno rifiutato la tessera elettorale. La convinzione per il Pd, tutta da dimostrare, che la strada di una possibile vittoria elettorale sia quella di rivolgersi agli astenuti con una proposta più di “sinistra”, lasciando perdere la più difficile sfida di rivolgersi all’altro schieramento, ai delusi di Berlusconi, a quelli che potrebbero essere attratti da una proposta “centrista” non convince. E anche se gli elettoralologhi e i sondaggisti portassero dati a conferma di questa opinione, si potrebbe sostenere che la loro è una fotografia di quello che è già avvenuto e non esclude affatto che possano avvenire altre cose.
A livello locale, ad esempio, per l’elezione dei sindaci, sono all’ordine del giorno spostamenti consistenti anche nella stessa votazione. E poi, più piccolo è il flusso tra i blocchi (e nessuno nega che in una certa misura avvenga sempre) e più è determinante. Ma il problema è ben più consistente e attiene all’idea di società e a come si pensa che ragionino i cittadini. La società, pervasa dalla comunicazione, è sempre meno a compartimenti stagni, oggi più che mai. Non si può parlare a un’entità sociale come se fosse una persona a cui puoi sussurrare nelle orecchie senza che ti sentano altri. I soggetti sociali collettivi non sono assimilabili a individui singoli, non sono antropomorfi.
Le decisioni individuali di milioni di persone non sono paragonabili a quelle di una singola persona. Gli astenuti sono una realtà magmatica, complessa, contraddittoria, non una singola “intelligenza”: il problema è riuscire a trovare la chiave per parlare contemporaneamente a milioni di persone che compiono scelte individuali diverse. Allora non c’è altra possibilità che parlare a tutti con una proposta che crei fiducia in generale. L’idea di dover parlare a chi si astiene è quella che porta ad una spirale autoreferenziale che fa perdere di vista la necessità di conquistare la maggioranza.
In queste ore il giovane Ed Miliband, oltre a confessare la difficoltà di crescere con un padre che non credeva alla via parlamentare al socialismo, ha dato una bella lezione di quello che può essere il linguaggio di un leader emergente (e, per ora, nella competizione interna) vincente: ottimismo, battersi per la mainstream majority, sfidare la saggezza convenzionale (il senso comune), parlare per la maggioranza, modellare il centrocampo della competizione politica («to shape the centre ground of politics»).
Emerge la capacità di parlare di grandi cose con le parole della vita di tutti i giorni senza connotazioni ideologiche (e anche senza battute in dialetto): famiglie forti, tempo per i bambini, spazi verdi, la vita della comunità, amore e solidarietà. E sorprende anche il coraggio di farlo in prima persona, parlando di sé: nella loro cultura politica è assodato che «you are the message».