mercoledì 8 luglio 2009

UNA LETTERA

Abbiamo ricevuto questa lettera, inviata ieri a Franceschini e per conoscenza al nostro blog, forse è lunga per un blog ma merita di essere pubblicata e merita di essere letta.

On. Franceschini,
se mi rivolgo a lei è perché la ritengo persona di grande intelligenza e sensibilità politica. Immagino che il suo tempo, specialmente in queste settimane di febbrili attività precongressuali, sia risicato e prezioso. Ciò nondimeno le chiedo, con tutta l’umiltà di cui sono capace, di dedicare qualche minuto a questa lettera.
Quella che le rivolgo è una preghiera.


Al momento attuale il quadro delle candidature per la leadership del PD sembra delineato: Bersani, Franceschini, Marino. Come molti altri della “base”, mi sono domandato quale sia la proposta più funzionale allo sviluppo del progetto del nostro partito e all’uscita da quell’empasse terribile nella quale da alcune tornate elettorali siamo inesorabilmente invischiati. Le due cose non possono che andare di pari passo.

Non volendo fare dietrologia, do per scontato, a mo’ di premessa, che i tre contendenti siano egualmente interessati allo sviluppo del PD e, quantomeno, al recupero di quei quattro milioni di voti che si sono persi per strada. Suppongo che ciascuno ritenga di avere la formula più efficace a tal fine, una formula che contemplerà certo questioni chiave come il quadro delle alleanze, la conformazione della “squadra”, i contenuti programmatici, la posizione sui temi eticamente sensibili, la laicità, l’innovazione ecc.

Ora, a prescindere dalle soluzioni specifiche elaborate e dall’efficacia di ciascuna di esse, c’è un punto che mi pare logicamente prioritario.

Il fatto è che, se il quadro resta quello attuale, non ci sarà un vincitore.
Verosimilmente infatti nessuna delle tre candidature riuscirà a imporsi nettamente sulle altre e una vittoria per così dire “ai punti” non servirà a rilanciare il progetto, convincere gli scettici e scaldare i cuori.
Abbiamo tre candidature “forti” e ben distinte che si accaniranno fra loro sul filo del 30%. La prevalenza (inevitabilmente risicata) di uno dei tre candidati seminerà messi di delusi e molta incertezza nel partito. Non sono io a stabilirlo ma la legge dei numeri e anche gli pseudosondaggi che circolano in rete sembrano confermare questa oscura eventualità.
Lo smarcarsi di misura di uno dei tre candidati sarà vissuto dalla base come l’esatto contrario di un’entusiasmante investitura popolare capace di coinvolgere gli animi, rinsaldare le fila e recuperare i dispersi. Con quale forza e con quale incisività il candidato eletto (chiunque esso sia) andrà a costruire il “proprio” rinnovamento?

A questa considerazione di carattere quantitativo voglio affiancarne una qualitativa il cui esito mi sembra tuttavia analogo.
A cos’è dovuto lo scontento della base e di coloro che a piccoli passi si sono allontanati dal PD?
Naturalmente a infiniti e variegati fattori. Uno dei più rilevanti – come ha fatto ben notare Debora Serracchiani – è la mancanza di una soluzione di sintesi, di quella comunione fra istanze diverse che da tempo andiamo cercando (forse più nelle parole che nei fatti).
Bene, anche nell’attuale configurazione delle candidature – al di là dei proclami e delle intenzioni più o meno esplicitate – non si è osata una sintesi.
A ben vedere infatti le due opzioni - Bersani e Franceschini - sono mediamente percepite dalla base come megacorrenti che resuscitano rispettivamente gli spettri di DS e Margherita. E anche la terza via piombiniana di Ignazio Marino rischia a breve di trasformarsi, per sopravvivere in questo agone fra fantasmi, nell’ennesima corrente (arroccata sul segno distintivo della laicità).
Come tutte le approssimazioni anche questa fa violenza alla realtà effettuale, me ne rendo conto, nondimeno questo è ciò che molti (troppi) dalla base ritengono di percepire, la qual cosa già da sola dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme per la dirigenza del PD.
In tutta onestà poi ritengo che pure nelle percezioni più aberranti qualcosa di vero ci sia e anche solo a guardare la realtà locale nella quale vivo (Rimini) ho trovato impressionante riscontrare come, prima ancora che i candidati alla segreteria formalizzassero la loro posizione e prima che si iniziasse solo vagamente a parlare di contenuti, gli schieramenti e le distribuzioni fossero già stati fatti e ricalcassero a grandi linee e con sporadiche eccezioni la tripartizione ex DS, ex Margherita e “il nuovo” (che per il momento non è ex di niente ma rischia a breve di diventarlo).
In tutto questo il progetto del Partito Democratico è elusivo, assente, tace al di là delle dichiarazioni di intenti.
Sono i fatti che contano non le parole e rifondare il partito su più solide basi significa innanzitutto abolire la struttura a correnti e osare una vera fusione fra anime diverse, trovare accordi, costruire ponti e mediazioni, conquistare compromessi anziché rifugiarsi nell’ambito protettivo e angusto delle proprie certezze.

Vede on. Franceschini la base è molto più consapevole dell’essenza del PD di quanto non lo siano i vertici ed è proprio da questo differenziale di consapevolezza, dalla percezione frustrante di questa discrepanza (troppo spesso ignorata dai dirigenti) che nascono molte delle disaffezioni che oggi ci affliggono.
Il potenziale elettore del PD vorrebbe vedere azioni coraggiose, di largo respiro, lungimiranti, non manovre sotterranee o lo stridore insopportabile di vecchie logiche camuffate da novità. La gente è stanca dei tatticismi da salotto e dei rapporti di forza che minano il PD a livello nazionale e locale; non ne può più neppure delle facce, delle parole, delle formule reiterate e dei modi.
Servono una nuova spontaneità, un nuovo stile, novi linguaggi.
Dove trovarli?
Per una pura concomitanza di eventi fortuiti, un fato direi, abbiamo scoperto una persona che sembra avere grande presa sulla gente. Si chiama Debora Serracchiani. Non mi chiedo perché ciò accada, mi fermo per ora al dato di fatto: Debora semplicemente “funziona”, coinvolge le persone, scalda i cuori.
Come può il PD ignorare un fatto (radicato nella sfera dell’emotività collettiva) così eclatante?
Sprecare talenti è un errore autolesionistico, ma farlo in un periodo di crisi come questo sarebbe secondo me imperdonabile. I talenti vanno aiutati, sospinti, occorre dar loro coraggio, vigore, libertà d’azione.
La reazione sdegnata (uno sdegno senza dubbio pretestuoso e surrettizio) di alcuni big bersaniani all’intervista di Debora su Repubblica (“Sto con Franceschini perché mi è simpatico”) la dice lunga su quanto la sua popolarità sia temuta da una parte della nomenklatura (come dire: “uccidiamola da piccola così non avremo noie in seguito”).
Il fatto è che Debora può spostare molti voti.
Perché – mi domando allora – non raccogliere con entusiasmo questo chiaro ammiccamento del destino, questa rara opportunità che ci si offre?
Alcuni giorni fa Luca Sofri (riferendo del Lingotto) scriveva che, a dispetto di quanto sostenuto dalla Serracchiani sull’inutilità dei redentori, di un messia avremmo bisogno, benché al momento non ve ne siano in circolazione. E lo stesso Veltroni ha sottolineato più volte la necessità di un Barack Obama “di noialtri”. Allora mi viene da riesumare un’idea voltairiana: se il messia non c’è può sempre essere inventato. Anche l’inossidabile e perfettissimo Barack Obama sarebbe poca cosa senza la sua squadra, un apparato di coordinamento e controllo incredibilmente efficace e di inaudita precisione.
Obama è un talento sapientemente trasformato in leader.
Noi forse abbiamo il talento e ci manca il leader.
A stare agli pseudosondaggi che circolano in rete (e al suo notevolissimo risultato elettorale) Debora Serracchiani avrebbe potuto presentarsi da sola nella corsa alla segreteria e competere ad armi pari con gli altri contendenti. Ora, da questo dato difficilmente possiamo prescindere e anche il lucido razionalismo della neo eurodeputata non può evitare di confrontarsi con l’evidenza dei numeri. Debora rappresenta in questo momento una forza della natura la cui entità e repentinità sono un chiaro metro dello scoramento e della voglia di nuovo che aleggiano nel PD. Lei però non ci sta.
“Ma come?”, sono in molti a domandarsi, “Sei arrivata fino a questo punto e sul più bello ti fermi? Com’è possibile?”
È possibile, mi viene da pensare, per almeno due buone ragioni. La prima è che Debora è stata lasciata sola proprio da coloro che avrebbero dovuto lanciarla (quei piombiniani o lingottini nel cui pensiero tendenzialmente mi riconosco). Un grande errore e una grave leggerezza da parte nostra. Anche in questo caso hanno prevalso logiche personalistiche (anziché il buon senso) e forse una certa dose d’inesperienza.
Tutti al Lingotto si sono limitati ad aspettare passivamente l’annuncio di una sua candidatura, manifestando poi profonda delusione di fronte al rifiuto. Ma quale contributo concreto è stato dato da ciascuno di noi alla costruzione di quella candidatura? Dov’era la “squadra” che in più occasioni la Serracchiani stessa ha invocato? Dov’era il team di forze innovatrici? Non mi stupisce che Debora, persona tutt’altro che pavida, non se la sia sentita. Chiunque al suo posto non se la sarebbe sentita.
La seconda ragione è più politica. Sono certo che Debora Serracchiani crede profondamente al progetto del PD come momento d’aggregazione e fusione di diverse visioni del mondo. Per lei non è tanto importante promuovere le proprie convinzioni ma valorizzare convinzioni condivise, costruire sul campo la possibilità stessa della condivisione. Questo suo modo di vedere forse non ha trovato fra i piombiniani sufficienti riscontri (benché molti ve ne siano).
Così si è tratta da parte e prima ancora che i “giovani” esprimessero la terza via si è schierata al fianco del candidato Franceschini, al suo fianco.

Non posso fare a meno di domandarmi quanto questa scelta sia funzionale al progetto del PD e se altre scelte potrebbero rivelarsi più congeniali.

E qui viene la mia proposta concreta e forse, me ne rendo conto, ingenua.
Provi, on. Franceschini, a pensare di fare assieme a Ignazio Marino un passo indietro, rinunciando entrambi alle rispettive candidature, e di lanciare attraverso un comune accordo programmatico (con Marino e i piombiniani) la candidatura di Debora Serracchiani.
Provi a pensare alla portata politica e mediatica di un simile evento.
Unire due “megacorrenti” per abolire il concetto stesso di corrente.
Sarebbe nello stesso tempo “sintesi” e rinnovamento, cioè le due cose che gli elettori chiedono da tempo con maggiore insistenza.
Penso, come Debora, che il leader di un gruppo politico non sia tutto nella vita di un partito, ma, diversamente da lei, ritengo che anche le squadre migliori abbiano bisogno di un polo d’aggregazione “emotivo” che catalizzi le forze di coesione e smorzi le centrifughe. Chi, in questo momento, può impersonare tale ruolo meglio di Debora Serracchiani? Anche solo a stare ai sondaggi nessuno.
Provi a pensarci on. Franceschini: quale segno di rinnovamento potrebbe essere più incisivo agli occhi della base e del potenziale elettore del PD di una candidatura alla segreteria del PD di Debora Serracchiani appoggiata da Dario Franceschini e Ignazio Marino (che ne andrebbero a costituire l’anelata “squadra”)?
Debora è giovane, è donna, è telegenica, ha spirito, intelligenza e un grande “appeal” sulla gente. In questo momento incarna, più di ogni altro, la voglia di cambiamento e, opportunamente supportata, potrebbe rappresentare una fetta enorme di elettori del PD oltre che (aspetto da non trascurare) una parte consistente di coloro che nelle ultime tornate elettorali hanno disertato le urne.
Quest’inedita prospettiva sarebbe sì funzionale al progetto del Partito Democratico e i numeri, ne sono certo, le darebbero conforto.
Il “vero” rinnovamento non sta solo nei concetti e nelle idee, ma anche nella varietà dei linguaggi, nei volti, nello stile (Obama fa scuola) e nelle storie individuali.

Se il quadro delle candidature dovesse rimanere quello attuale, voterò Ignazio Marino perché il suo modo di porsi su temi a me cari è molto vicino al mio, ma voterei ancor più volentieri un ticket (cercato e costruito) Serracchiani/Franceschini/Marino perché rappresenterebbe quel concreto avvicinamento fra istanze e tradizioni diverse, quel tentativo di sintesi che è l’essenza precipua del Partito Democratico.
Voglio ancora sperare che non tutti i giochi siano stati fatti e che nulla sia ineluttabile fino al 21 luglio.
Servono però coraggio, abilità e grande generosità; è necessario, come scrive Mario Pirani su Repubblica, “sparigliare” e “volare alto” affinché le scelte del presente non ingabbino un futuro già fin troppo incerto.
La prego, on. Franceschini, ci pensi e provi con un colpo d’ali mai visto prima a volare alto.

Con stima
Filippo
(un iscritto al Partito Democratico – Rimini)

8 commenti:

  1. la posso far girare anche su facebook?

    ciao,
    i.

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  2. ciao iride,
    naturalmente puoi fare girare questa lettera come e dove ti pare in assoluta libertà (specie se ne condividi a gradi linee i contenuti). Chissà, magari circolando un po’ su internet anche il destinatario alla fine avrà modo di leggerla.
    Sia chiaro io l’ho spedita a Dario Franceschini però già mi immagino di quale superselettivo e cattivissimo antispamming possa disporre il segretario del PD.
    L’idea di scrivere direttamente a lui mi è venuta da un libro molto bello che ho letto di recente (Henning Mankell, “Scarpe Italiane”) in cui c’è una donna che manda missive infuocate e inquisitorie ai potenti della terra e puntualmente riceve fotografie autografate dei big.
    Mi aspetto da un momento all’altro Franceschini in formato cartolina.
    ciao
    filippo

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  3. A tratti la lettera mi commuove.
    Ebbene sì.

    Speriamo che il suo ghost writer non sia partito per le vacanze.
    Pare che risponda, comunque.

    robi

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. @robi
    io quasi mi commuovo al pensiero che una mia lettera arrabbiatissima di qualche anno fa non sia mai stata letta da bertinotti.
    avessi pure ricevuto una sua foto autografata, i miei nervi non avrebbero retto.

    @filippo
    diffondo subito la tua lettera, visto che, almeno in parte, la condivido. dico "in parte" perchè credo sia giusto che debora serracchiani vada a fare quello per cui è stata eletta. ma l'idea del passo indietro da parte di franceschini mi sembra proprio sana.

    @todos!
    vien quasi da trasferirsi a san giuliano, tanto siete belli.

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  6. E’ l’ora delle idee, dei valori e dei contenuti non più della ricerca dell’uomo (donna) “forte” da contrapporre nella prossima assise congressuale al candidato “di partito”.
    Tale ricerca ha rischiato (e rischia) di svilire e svuotare di contenuto la ricerca di un vero programma alternativo per un nuovo partito democratico popolare.
    Infatti, la storia insegna che ogni volta in cui il dibattito è stato spostato dai contenuti al contenitore ciò ha determinato una caduta della progettazione e del coinvolgimento consapevole delle persone a vantaggio di una militanza cieca e sterile che affida e delega a terzi il compito di elaborare e concepire il futuro.
    Io penso che le forze di rinnovamento presenti nel partito debbano essere il laboratorio e lo strumento da cui partire per la formazione e l’indicazione di persone che siano l’espressione finale di un programma: le buone idee camminano da sole (con la forza di chi le sorregge), non hanno bisogno di personificazioni.

    Ora è il momento di fare correre queste idee in modo che la gente comprenda che un futuro diverso (migliore), è possibile solo con il contributo di tutti.

    p.s.: la vera rivoluzione si può avere solo se la base, -la gente-, consapevolmente decide di cambiare.

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  7. Marco sei il mio Sandokan.
    E' del resto esattamente quello che hanno sempre detto i cosiddetti "piombini" o "lingottini". Sempre spostati sul programma piuttosto che sul candidato (che infatti arriva, ma per il rotto della cuffia).

    E' però vero che oggi anche il candidato diventa un contenuto, magari uno dei tanti della proposta politica, però è anche quello che la incarna e la trasmette per primo. Ecco perchè dispiace che Debora non si sia buttata.

    Come abbiamo detto più e più volte Debora ci è piaciuta subito perchè abbiamo visto in lei esattamente una di noi. Questo era già di per sè un contenuto potente, non ovviamente sufficiente, ma spendibile.

    Detto ciò, e non è per fare personalismi, ma se vogliamo che Marino arrivi almeno a misurare il suo programma/mozione con quella degli altri credo ci si debba dare una mossa e tesserare per allargare la base degli iscritti (la stessa base che a settembre poi torni nei circoli a votare per Marino).

    Ce la faranno i nostri eroi?
    Forse con l'aiuto di Marco Sandokan Brunori e di gente come lui, si.

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  8. Marco, io penso che i due aspetti (la ricerca del leader e delle persone da una parte e la determinazione dei contenuti dall’altra) possano procedere di pari passo senza necessariamente intralciarsi o elidersi a vicenda. Non vedo un’incompatibilità logica né materiale.
    Ci si può occupare del leader e contestualmente dei contenuti, specie quando, come in questo caso, il leader potrebbe essere portatore dei contenuti, “simbolo” vivente dei contenuti, o, come scrive Robi, contenuto esso stesso.
    E poi cosa sarebbero i contenuti di Obama senza lo stile di Obama o l’eleganza e la sicurezza che gli sono propri? E cosa sarebbero stati i contenuti di Enrico Berlinguer senza quel suo modo delicato di porsi?
    Quanto a quel che “insegna la storia” e ai presunti ammonimenti del passato, marco, sono un po’ scettico (l’essere scettico fa parte della mia natura) dato che spesso mi domando se “la Storia” (chiamata in causa come categoria generale) sia in grado di insegnare alcunché essendo priva di intenzionalità e sovente ho come l’impressione che nella storia possa essere trovato tutto e il contrario di tutto (un po’ come la Bibbia per gli aristotelici padovani). A quale particolare storia ci si sta riferendo?
    Sono pienamente d’accordo con te quando insisti sulla centralità dei contenuti e sulla necessità del cambiamento “dal basso” con il contributo di tutti.
    Sul fatto però che le idee valide siano in grado di “camminare da sole” nutro i miei buoni dubbi. Le idee, per come la vedo io, non sono entità a sé stanti collocate in qualche platonico cielo (topos ouranios) e pronte per essere percepite da un organo apposito di cui saremmo forniti. No, noi arriviamo a cogliere e trasmettere le idee solo per via indiretta, attraverso la mediazione della comunicazione. Le idee, anche le buone idee, richiedono un supporto concreto per navigare in mezzo a noi e la natura di tale supporto non è fattore ininfluente sull’efficacia dell’idea stessa.
    Per cui il “come” finisce per diventare importante tanto quanto il “cosa”.
    Metodo di comunicazione e idea comunicata non sono due isole a sé stanti, due variabili indipendenti tali da poter affermare che “se l’idea è buona, cosa vuoi che importi della comunicazione e delle persone”; sono al contrario due facce della stessa medaglia.
    Personalmente ritengo che un’idea mediocre ma ben presentata possa talvolta essere più efficace di una grande idea abbandonata a se stessa.
    Quante volte ci capita di andare al cinema, uscire un po’ delusi e pensare: “peccato, avrebbe potuto essere un bel film...” intendendo con ciò che il film lasciava intuire buone idee ma non riusciva a sfruttarle in maniera adeguata, a sviscerarle e comunicarle appieno.
    Per questo penso che la faccenda della leadership e delle persone non sia così irrilevante.
    Avere buone idee, ma non disporre di facce, linguaggi e stili adeguati a comunicarle potrebbe rivelarsi del tutto controproducente. Un inutile spreco di energia. Servono sia le idee che le persone giuste. E se la personificazione di un’idea che riteniamo buona dovesse favorirne la diffusione e incrementarne l’incisività ben venga anche la personificazione.
    questo almeno è il mio punto di vista.
    ciao
    filippo

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